Mese: Novembre 2017

Urban Trekking a San Giorgio Morgeto.

Domenica 26 Novembre Kalabria Experience propone un Urban Trekking nel fantastico borgo Medievale di San Giorgio Morgeto. Una giornata all’insegna della cultura, dell’arte Normanno-Bizantina e della riscoperta dei mestieri antichi che saprà regalarci senz’altro una visita davvero ricca di scorci interessanti, storie millenaria e tante altre curiosità da vedere, scoprire e fotografare.

All’interno  il Foto-Contest Instagram promosso da @IGreggiocalabria che come sempre ci affianca nelle nostre uscite culturali da ben due anni. Lo scopo sarà quello di cogliere i particolari di un borgo davvero suggestivo e caratteristico, allo scopo di promuoverne le sue bellezze e peculiarità nel mondo.
Le immagini scattate durante la giornata sarà possibile postarle sul proprio profilo Instagram utilizzando l’Hashtag #ig_sangiorgiomorgeto, gli scatti più belli verranno selezionasti e parteciperanno alla sfida dei Like, in premio una stampa dell’opera vincitrice che verrà consegnata al prossimo Instameet Mondiale #WWIM17 previsto per la prossima primavera a Gallicianò (RC). La partecipazione al contest è gratuita!

 

Cenni storici:

Le origini di San Giorgio Morgeto risalgono a tempi antichissimi. Il primo abitatore della Calabria sarebbe stato Aschenez, nipote di Jafet, figlio di Noè. Circa 850 anni prima della guerra di Troia, Enotrio e Paucezio avrebbero sconfitto gli Aschenazi scacciandoli dalla Calabria. Enotrio avrebbe regnato 71 anni lasciando come erede il figlio Enotrio-Italo, il cui regno sarebbe durato 50 anni e che avrebbe avuto come successore Morgete, il quale, per la consuetudine dei suoi predecessori, avrebbe cambiato il nome dell’Italia in quello di Morgezia. Fu in suo onore che venne fondata Morgeto dove egli veniva adorato come un Dio e da dove appariva in visione dalla sua sepoltura, ubicata nella parte più alta dell’abitazione, ai soli cittadini e non ai forestieri. Il nome Morgeto fu mutato in San Giorgio nel 1075, quando secondo la leggenda San Giorgio intercedette per salvare il paese mentre tutta la Calabria veniva messa a sacco dagli Agareni, dai Cretesi e dai Mori. San Giorgio crebbe molto in seguito alla distruzione della vicina città di Altano, poiché i suoi abitanti fuggirono qui dalla loro patria distrutta.

 

La Baronia

Ai primi del 1324 San Giorgio divenne una Baronia comprendente il feudo di Prateria, Polistena, Cinquefrondi, Anoia e Galatro.
Nel 1343 la Baronia di San Giorgio fu concessa in feudo dalla Regina Giovanna d’Angiò ad Antonio Caracciolo, insieme alla contea di Gerace.
Nel gennaio del 1458 la Baronia passò dalla famiglia dei Caracciolo a Marino Curreale di Sorrento e alla sua morte, nel 1501, a Giacomo Milano Alogno.
Questi nel 1503 dovette scappare in Francia a causa della vittoria degli spagnoli sui francesi. La Baronia fu quindi ottenuta, insieme al feudo di Terranova, da Consalvo de Cordova, che aveva sconfitto i francesi nei pressi di Seminara.
Baldassarre II° Milano si impegnò però per la riconquista della Baronia che nel 1568 passò di nuovo alla famiglia Milano nelle cui mani rimase fino al 1806 (anno in cui Giuseppe Bonaparte abolì il feudalesimo), anche se la famiglia trasferì  la propria sede nella vicina Polistena verso la fine del 600.
Nel 1783, sotto Giovanni III° Milano, San Giorgio fu sconvolta da un tremendo terremoto che provocò molti danni, per riparare ai quali, venne costituita la Cassa Sacra che avrebbe dovuto utilizzare le proprietà e le rendite della Chiesa e dei conventi.
Nel 1807 San Giorgio divenne Luogo, e nel 1811 fu elevato a Comune.
Dopo l’unità di Italia, nel 1864, il sindaco Giuseppe Bonini e i consiglieri decisero di aggiungere al nome di San Giorgio quello antico di Morgeto.
Nell’ottobre del 1922 venne costituito il fascismo e il primo podestà fu il Cav. Uff. Sigillò Eduardo nominato nel 1928, il cui successore fu il Cav. Uff. Giulio Verrini, podestà dal 1936 al 1939.
Caduto il fascismo venne nominato nel 19 febbraio 1944 l’avv. Correale Giuseppe, commissario prefettizio in sostituzione di Creazzo Giuseppe. 
Dopo la seconda guerra mondiale, gli abitanti chiamati a votare per il referendum, espressero la loro preferenza per la monarchia.

 

San Giorgio Morgeto oggi:

Oggi il territorio di San Giorgio Morgeto è uno dei più vasti della provincia di Reggio Calabria. Esso è costituito da 35 contrade rurali, tutte distanti dal centro storico. La popolazione attuale è di circa 3.500 abitanti. Caratteristiche sono le vie del centro storico che in un affascinante intreccio di tipiche scalinate e strette viuzze danno vita a estasianti escursioni che conducono in un passato ricco di cultura e magnificenza, grazie anche ai numerosi centri di culto, tra i quali spicca l’ex convento dei domenicani che fù importante centro di studi teologici e biblici e diede i voti e il nome di Tommaso (in onore di San Tommaso d’Aquino) al grande filosofo Campanella. Tra le tante curiosità da vedere a San Giorgio Morgeto ci sono:  la Fontana Monumentale, la Chiesa Matrice dell’Assunta e la Pietra Sacra, il cortile del palazzo nobiliare Fazzari del XVIII° sec; la via dei 70 scalini, il Passetto del Re – il vicolo più stretto d’Italia (40 cm)- la terrazza di Santa Barbara con vista panoramica in prossimità della statua dedicata alla Santa e martire della Chiesa cattolica.

 

Scheda tecnica:

Difficoltà: T (turistico) Facile
Percorso: circa 2km (A/R) tra i vicoli del borgo
Dislivelli: variabili e irrisori
Adatta ai bambini: Si (se accompagnati)

 

Programma:

Ore 07:15 Partenza Bus da San Lorenzo Marina (piazza della chiesa)
Ore 08:50 circa  Partenza Bus da Locri (Svincolo Ospedale) distributore Esso
Ore 09:30circa Arrivo a San Giorgio Morgeto (visita centro storico, vicoli, chiese, piazze, fontane e Castello)
Ore 12:30circa Pausa  pranzo (a sacco) presso il largo castello.
Ore 14:30 visita centro storico (botteghe artigiane)
Ore 16:00 Partenza per il rientro.
Ore 19:00 Circa arrivo a San Lorenzo Marina

* (il programma potrà subire delle modifiche o delle variazioni, attendersi sempre alle disposizioni degli organizzatori).

 

Come Partecipare:

Basta prenotarsi entro Venerdì 24 Novembre al numero: 347-0844564 fornendo i propri dati anagrafici (nome e cognome) confermando la propria adesione al responsabile dell’uscita. Non sono accettati (sms o messaggi sulla pagina facebook).

 

Cosa Portare:

Abbigliamento comodo adatto alla stagione, pranzo a sacco (da portarsi dietro), cappellino, macchina fotografica, acqua (1lt), k-way, impermeabile (se serve).

 

IMPORTANTE:

  • E’ prevista una piccola quota di partecipazione di 7€ a sostegno delle attività promosse da Kalabria Experience (per i soci il contributo previsto è di 3€).
  • Sono esclusi dalle quote i minori di 14 anni.
  • E’ possibile prenotare un posto nel mini-bus organizzato, con partenza da S. Lorenzo Marina (via Jonica SS106) al costo di 23€ (solo 16 posti disponibili) – la quota può variare se si è in numero inferiore-
  • Ognuno partecipa volontariamente esonerando l’organizzazione da ogni eventuale responsabilità derivante da infortuni nel corso della giornata.
  • LA VISITA SARA’ CONDOTTA CURATA DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “EDUKARE” DI SAN GIORGIO MORGETO CON UNA GUIDA STORICA A DISPOSIZIONE DEL GRUPPO.

*Le quote sono da versare direttamente al momento dell’appuntamento/incontro.

 

La lingua Italiana nasce grazie a Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato.

BARLAAM DI SEMINARA
Barlaam di Seminara, detto anche Barlaam Calabro (Seminara, 1290 – Avignone, 1º giugno 1348), è stato un matematico, filosofo, vescovo cattolico, teologo e studioso della musica bizantino. Scrisse, anche, di aritmetica, musica e acustica. Fu uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le Chiese d’oriente e occidente. È considerato insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri dell’Umanesimo. Barlaam fu maestro di greco e latino di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio che diede un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi greci, anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupperà il movimento umanista. È proprio l’umanista Giannozzo Manetti il primo a menzionare Barlaam nella sua biografia del Petrarca.

 

LEONZIO PILATO 
Leonzio Pilato (nato a Seminara, inizi XIV secolo – Mare Adriatico, 1364) è stato un monaco cristiano e traduttore italiano della Reggio Calabria bizantina.
Discepolo di Barlaam, fu uno dei primi promotori dello studio della lingua greca nell’Europa occidentale e traduttore di Omero. 
E proprio alla sua traduzione di Omero in prosa latina realizzata per Boccaccio e mandata in seguito al Petrarca che è legata molta della sua importanza, benché Petrarca rimanesse estremamente deluso sia dal personaggio che dall’opera finale, per lui, come Boccaccio quasi del tutto ignorante di lingua greca, unica possibilità d’avvicinarsi al testo. Ha anche fornito a Boccaccio il materiale per la sua opera Genealogia deorum gentilium libri, sulla genealogia degli dei pagani. Nell’inverno del 1358 Leonzio, per seguire corsi di studio, si reca a Padova, dove un giurista lo presenta a Petrarca, alla ricerca di un traduttore delle opere di Omero: Leonzio comincia a tradurre i primi cinque libri dell’Iliade ma interrompe il lavoro per recarsi ad Avignone, sulla tomba del suo maestro Barlaam, mortovi di peste. Nel 1359 si sposta a Venezia, preparandosi a passare ad Avignone in cerca di fortuna presso la Curia papale. Lo raggiunge Giovanni Boccaccio, inviatovi dal Petrarca nel tentativo di trattenerlo in Italia per continuare le traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea. Per convincerlo Boccaccio gli promette la cattedra di greco nello Studio Fiorentino e uno stipendio. Poiché le lezioni nello Studio Fiorentino iniziavano il 18 ottobre di ogni anno, è certo che Pilato continua le traduzioni dall’autunno del 1360 fino al 1362, periodo in cui tiene cattedra traducendo brani di Euripide, forse di Aristotele e, soprattutto, Omero, con un metodo – versione in prosa e «verbum de verbo» – che lascia perplesso il Petrarca, che ne seguiva le vicende. Nel novembre del 1362, terminata l’opera, Leonzio riprende la via di Venezia, presso Petrarca, senza consegnargli però le opere tradotte e commentate. Le porterà con sé pochi mesi dopo quando, inveendo contro l’Italia e gli italiani, si imbarcherà per Costantinopoli, da lui prescelta per la continuazione dei suoi studi. Non passò molto tempo, e il Petrarca ricevette una lettera di Leonzio che lo supplicava di farlo ritornare. Sembra però che il poeta non abbia risposto alla missiva. Sulla via del ritorno da Bisanzio, nel dicembre del 1365, percorrendo la traversata verso Venezia, la sua nave fa naufragio in prossimità del golfo di Venezia. Leonzio muore e, insieme a lui, spariscono i libri che probabilmente aveva con sé.

Quanto alla traduzione di Omero, il Petrarca la ricevette completa solo nel corso del 1368, inviatagli dal Boccaccio. Nel Quattrocento, un umanista milanese, Pier Candido Decembrio, scriverà che il poeta era spirato leggendo l’odissea di Pilato.

FONTE: Sebastiano Stranges

Pluviometria, il significato dei millimetri di pioggia.

BY Lorenzo Pasqualini

Perché nella misura della quantità di pioggia caduta si utilizzano i millimetri, e a quanto corrisponde ogni mm di accumulo? I millimetri vengono usati in maniera abbastanza uniforme nel mondo della ricerca scientifica perché permettono di risalire facilmente al volume di acqua caduto su una certa superficie.

La misura in millimetri corrisponde alla così detta altezza pluviometrica. Un millimetro di accumulo è pari come quantità a 1 litro caduto su una superficie di 1 metro quadrato. Dire ad esempio che la quantità di pioggia caduta in una certa località è di 20 mm, equivale a dire che su ogni area di 1 metro quadrato in quella determinata località sono caduti 20 litri di pioggia. Se si posizionasse al suolo un contenitore con una apertura di 1 metro quadro, troverei quindi al suo interno 20 litri. Per questo in alcune nazioni gli uffici preposti alla misura delle precipitazioni usano come unità il l/m2 (litro al metro quadrato). Ci sono poi le nazioni che usano il sistema di misura anglosassone, ed invece di usare i millimetri utilizzano i pollici (inches), ma ormai l’uso del sistema metrico è abbastanza uniforme nel mondo.

Questa maniera di misurare le precipitazioni permette facilmente di calcolare i volumi di pioggia caduti su estensioni areali più grandi. Ad esempio, per calcolare la quantità d’acqua che alimenta un determinato bacino idrografico, basterà conoscere i dati medi di pioggia caduta in un anno (in millimetri) su quel bacino e l’estensione areale che esso ha. Moltiplicando i due valori si ottengono i metri cubi di acqua caduti. Si tratta di un calcolo utilizzato anche dagli idrogeologi per calcolare la ricarica delle falde. Un calcolo utile anche per prevenire piene, perché sapendo in tempo reale quanto sta piovendo sul bacino si può prevedere a grandi linee quale sarà il volume della piena fluviale.

parigi-apocalisse-temporale6Qui però subentra il problema di quanto fitta è la maglia dei pluviometri dislocati sul territorio: in ogni punto infatti piove in quantità diverse, specialmente durante fenomeni temporaleschi caratterizzati da forte eterogeneità. Inoltre c’è molta differenza ad esempio fra zone montane e pianeggianti, ed in generale sulle nostre catene montuose vi è un aumento della quantità di pioggia media mano a mano che si sale di quota. Avere pochi pluviometri a disposizione può portare ad avere un dato sbagliato sulla reale entità delle precipitazioni in atto.

Chiunque può costruire in casa un proprio pluviometro, e chiunque può ricavare i millimetri di pioggia, nel seguente modo: immaginiamo di avere un contenitore con una bocca di una certa dimensione (i pluviometri usati dai Servizi Idrografici regionali hanno un diametro standard di 36 cm e quindi un’area di 0,1 m2) lasciato all’aria aperta sotto un temporale. Al termine della precipitazione si dovrà misurare la quantità d’acqua caduta, ad esempio con un recipiente graduato in centimetri cubi, di quelli che si usano in cucina. Si avrà quindi a disposizione il volume di pioggia. Dopo aver ricavato l’area dell’imboccatura del pluviometro (ad esempio se essa è circolare basterà usare la nota formula A=?r2 ), essa dovrà essere divisa per il volume di acqua raccolta, e si otterrà una misura in metri, o centimetri, da cui facilmente si ottengono per equivalenza i millimetri di acqua caduti. Ricapitolando, l’altezza di pioggia (mm) = area dell’imboccatura del pluviometro diviso il volume di acqua contenuta nel pluviometro.

STILL0010La misura ottenuta è universale, e non dovranno quindi essere forniti i dati di apertura dell’imboccatura del pluviometro. Detto questo ci sono però delle regole da seguire per il posizionamento dello strumento. I pluviometri dovrebbero essere installati sempre in aree aperte(quindi lontano da edifici o alberi che possano fare da scudo alla pioggia), con la bocca ad 1 metro e mezzo dal suolo. Inoltre non dovrebbero avere mai una imboccatura troppo piccola perché questo comporta un errore in difetto (specie in occasione di pioggia a vento, la bocca troppo piccola potrebbe non raccogliere tutta l’acqua in caduta). È per questo che i pluviometri ufficiali hanno una imboccatura standard di 36 cm di diametro. La neve e la grandine vengono misurate dopo il loro scioglimento nel contenitore(ma si usa una sorta di equivalenza per la quale 1 cm di neve è uguale a 10 mm di pioggia, anche se si tratta di un calcolo soggetto ad errore). Un dato da considerare se si vuole essere molto precisi è che i pluviometri, essendo situati al di sopra della superficie del suolo, non registrano le cosiddette “precipitazioni occulte”, cioè quella piccola quantità di acqua che arriva al suolo per la presenza di nebbia, rugiada, brina: si tratta però di quantitativi molto piccoli (inferiori al mm), che non incidono in modo particolare sui valori di altezza d’acqua.

Una volta conosciuta l’altezza di pioggia caduta in varie parti del territorio, possono essere costruite le carte di precipitazione, dove vengono tracciate le “isoiete”: così come in una carta geografica esistono le curve di livello (isoipse) per indicare le diverse altezze sul livello del mare, così le isoiete indicano aree dove è caduta una uguale quantità di pioggia. Questo permette una visione di insieme del territorio, e in poco tempo permette di capire in quali aree potrebbero esserci state criticità per piogge molto abbondanti.

Chiunque può esercitarsi calcolando in casa il volume di acqua caduto nella sua zona. Immaginiamo ad esempio il proprietario di un campo agricolo avente un’estensione di 10.000 m2(un ettaro). Se al centro del suo campo ha posizionato un pluviometro e da esso ricava che in un giorno sono caduti ad esempio 5 mm di pioggia (cioè 0,005 metri), potrà calcolare il volume di acqua caduta nel suo campo in questo modo: 0,005 m x 10.000 m2= 50 metri cubi. E poiché 1 metro cubo di acqua corrisponde a 1000 litri, otterrà la cifra di 50.000 litri di acqua. Di questa quantità una parte si infiltrerà nel suolo alimentando la falda, un’altra parte scorrerà in superficie andando ad alimentare i vicini corsi d’acqua, ed un’altra parte sarà soggetta all’evapotraspirazione (evaporazione durante il giorno e traspirazione attraverso le radici delle piante).

Ad esempio; applicando il calcolo a situazioni attuali, si può calcolare ad esempio il volume medio di acqua caduto nella notte passata sul centro di Roma: considerando un’estensione areale di circa 19 kmed il fatto che l’altezza di pioggia registrata stamane dal pluviometro di Collegio Romano (l’unico pluviometro ufficiale disponibile nel centro della Capitale) era di 15.2 mm, si arriva al dato di 288.800 metri cubi caduti sul territorio (cioè quasi 300 milioni di litri!).

La conoscenza della quantità di pioggia che cade sul territorio ha un interesse enorme per aspetti fondamentali della nostra vita quotidiana. Innanzitutto per il fabbisogno idrico. Una parte di quell’acqua si infiltra nel sottosuolo e va a ricaricare le falde: quanto più piove, tanta più acqua sotterranea avremo a disposizione per il consumo idrico. Quanto meno piove, tanto più dovremo razionare le riserve di acqua presenti. Ovviamente questo fattore dipende anche dalla permeabilità del terreno (se è coperto da cemento o se sono presenti sedimenti impermeabili, non si infiltrerà che una minima parte). In secondo luogo per il rischio idraulico: la parte di acqua che ruscella in superficie (cioè che scorre senza infiltrarsi) alimenterà i corsi d’acqua facendone crescere la portata e potrà causare piene, esondazioni.

Si tratta perciò di parametri importantissimi da considerare e da tenere costantemente sotto controllo per un miglior rapporto con il territorio.

 Fonte: meteoweb.eu

“Kalabria Experience” Laurea da 110 e lode per Alessandra Moscatello.

Alessandra Moscatello 24 anni di Brancaleone (RC) ha conseguito la sua laurea in scienze del turismo all’università di Messina lo scorso 21 Ottobre con un voto da 110 e lode, dal titolo: “Alla scoperta dei luoghi autentici progetto  Kalabria Experience”. Il progetto ricordiamo, è stato promosso a suo tempo dalla Pro-Loco di Brancaleone nel 2015 ma all’inizio di quest’anno ha cominciato il suo cammino come associazione indipendente. Tre anni di escursioni, e visite nelle eccellenze della Calabria come; borghi, montagne, fiumi, laghi e aree archeologiche che ha portato migliaia di Calabresi in giro per la Calabria, in un crescendo di successi e riconoscimenti che oggi approdano anche all’Università e su riviste dedicate al turismo. Per conoscere ed interpretare le ragioni della scelta di preparare la sua tesi, abbiamo estratto alcune informazioni dalla sua tesi.

Il mondo contemporaneo è caratterizzato da una sovrabbondanza di avvenimenti, corrispondente a una situazione che si potrebbe definire di “surmodernità” che ha come modalità essenziale l’eccesso. Questo è l’assunto principale da cui l’antropologo francese Marc Augé parte per esplicitare la sua teoria sul mondo in cui viviamo. In tutto questo eccesso , di tempo, di spazio e di ego, viene a mancare quello che è il luogo comune dell’etnologo, un luogo appunto, un luogo antropologico. Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale e storico uno spazio che non può definirsi identitario, relazionale e storico definirà un nonluogo”. Il termine fu coniato dall’antropologo francese Augé nel 1992 proprio per definire in maniera netta la contrapposizione al luogo antropologico. Il nonluogo è quello spazio tipico di transito, privo di qualsiasi identità, relazione o storia, uno spazio totalmente alienato ed alienante, che riunisce tutti un’unica massa omogenea e senza personalità, ma allo stesso tempo lascia ognuno nella propria solitudine ed individualità. Il centro commerciale, l’aeroporto, il treno ad alta velocità, l’autogrill: una pluralità di contesti accomunati da un’unica e generica parola. Sono numerosi gli spazi per il tempo libero privi di identità, facilmente riproducibili in modo esattamente identico in ogni parte del pianeta, piccole oasi market-oriented, create prettamente per essere vendute al turista amante dei pacchetti preconfezionati. Non solo le stazioni e i terminal per arrivare a destinazione, ma le destinazioni stesse tante volte sono nonluoghi. Anche la città stessa diventa, nell’ottica pessimistica di Augé, un nonluogo, ogni città diventa Trude. Trude è il simbolo dell’omologazione. La città invisibile di Calvino rappresenta un po’ tutte le città moderne, dove è possibile imbattersi nelle stesse insegne, nello stesso cibo, negli stessi alberghi. Grazie o a causa della globalizzazione oggi accade quello che l’autore aveva solo teorizzato: le città si somigliano tutte, hanno perso la loro identità e il turista si sente come se non fosse mai partito. Per alcuni, arrivare in una città distante dalla propria e trovare gli stessi negozi, gli stessi ristoranti e gli stessi loghi delle insegne può essere una sicurezza. Ci si può sentire confortati dal ritrovare gli stessi sapori e gli stessi odori della propria terra, come se si annullasse quel senso di smarrimento che si prova quando si è lontani da quel luogo a noi tanto caro che è casa nostra. Trude, però, diventa una sindrome, teorizzata dallo studioso Pietro Leoni dell’Università di Rimini, che colpisce sempre più il turista e le destinazioni che egli visita. Essa rappresenta appunto l’impossibilità di riconoscere l’identità di ogni singola città, che non ha più legami con il luogo, che non conosce tipicità del territorio, che non fa sentire la propria cultura. Si palesa dunque la spersonalizzazione delle città, dove invece dovrebbe emergere il risultato delle tradizioni, della storia, degli avvenimenti che l’hanno segnata. Ogni città oggi è come se, sopraffatta dai flussi di viaggiatori, ognuno con le proprie esigenze, nascondesse il suo volto, si celasse dietro una maschera, una maschera plasmata per ogni turista e in cui ognuno rivede i simboli che riconosce. Più che altro, il nascondersi dietro una maschera è necessario per accontentare tutti, ma così facendo perde se stessa. Più che cambiare le città, dunque, si dovrebbe pensare a cambiare noi stessi, a ripensare il viaggiatore in un’ottica diversa: non più distratto passeggero di una metropolitana, ma uomo che passeggia tra gli uomini, tra gli abitanti della destinazione che visita, tra i depositari della cultura del luogo. Se la perdita di fascino di una destinazione è causata dall’omologazione, la risposta forte sarebbe imporre la specificità del luogo. Soltanto grazie agli attori locali è possibile spingere il turista verso la ricerca del senso del luogo, in un’ottica di accoglienza ridisegnata a favore della cooperazione e della competizione tra diversi territori e diversi soggetti. Ripartire dal locale, dunque, anche nella città più globale che esista, grazie a chi si sente ancora fortemente legato a quella destinazione, nonostante la sua apparente perdita d’identità. Perché nulla si può cancellare così facilmente, il genius loci sarà dispettosamente nascosto dietro qualche insegna al neon, pronto a palesarsi davanti a chi vuole trovarlo, per tornare in scena all’improvviso più forte che mai. Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre immediate vicinanze, per imparare di nuovo a vedere. Il futuro del turismo?

Nei luoghi dove la gente possa riconoscersi, ha affermato lo stesso Marc Augé recentemente. Il turismo dovrebbe ripartire, dunque, dai luoghi dove poter vivere esperienze autentiche, dove sono ancora forti le testimonianze del tempo che è passato ed è tangibile la storia che si è sedimentata tra i loro vicoli; luoghi sempre diversi, dove ritrovare un’identità perduta, dove venire a contatto con la popolazione locale e con le tradizioni, dove ripartire più ricchi di quando si è arrivati. Ci sono destinazioni prive di grandi aeroporti, centri commerciali o parchi tematici, mancano addirittura grandi alberghi o servizi particolari per il turista: è su questi luoghi che si deve puntare maggiormente, con una buona azione strategica di turismo, affinché possano offrire un’alternativa competitiva alle destinazioni turistiche ormai mature e allo stesso tempo soddisfare il bisogno di autenticità del turista postmoderno. Questo bisogno di ritrovare la storia e l’identità dovrebbe essere proprio anche delle popolazioni locali, le prime ad essere consapevoli delle loro radici e dell’importanza che il loro territorio riveste. Negli ultimi anni è stato dato un nome a questa vocazione di turismo: viene definito “esperienziale” o, in alcuni casi,“creativo”. Il turismo esperienziale è inteso come quell’esperienza che si fa del luogo che si visita, partecipando a momenti di vita quotidiana, alle attività che vi si svolgono, scoprendo le tradizioni, gli usi e i costumi della destinazione scelta. Ormai non è più tanto importante il “value for money”, il valore del denaro, ma il “value for time”, il valore del tempo, quel tempo che deve trasformarsi in esperienza, perché i giorni di vacanza tendono a diminuire sempre più ed è necessario, per il turista, riuscire a portare a casa un’esperienza che dia valore al tempo speso in una destinazione, un’esperienza che non può essere comprata, ma semplicemente vissuta a pieno. Il tipo di turista attratto da questa forma di turismo è alla ricerca di nuove emozioni, di luoghi poco battuti, non toccati dal turismo di massa e promossi o pubblicizzati dagli usuali tour operator, dove cercare la massima distanza, fisica e mentale, dal quotidiano. Le pratiche di turismo esperienziale implicano una partecipazione attiva dei soggetti, intesa in senso hessiano; ci si riferisce alla Sindrome di Herman Hesse, cioè alla fruizione consapevole di turismo, che si può definire come esperienziale, così come volle fare Herman Hesse che, durante il suo soggiorno in Italia, gettò via la famosa guida tedesca Baedeker su Firenze e iniziò a vivere autonomamente la città, provando le esperienze della gente del luogo, sentendosi parte di essa, confondendosi con essa. Il sistema di offerta deve, quindi, permettere al turista di sviluppare la sua fantasia e la sua creatività, realizzando percorsi personalizzabili: solo così l’esperienza sarà unica ed irripetibile per ogni soggetto e risponderà alle singole esigenze. Il turismo creativo o esperienziale si va sviluppando nelle aree “avverse”, soprattutto dunque in zone rurali e periferiche, in cui è più difficile incentivare il turismo culturale tradizionale. Queste aree sono le destinazioni privilegiate per un numero crescente di “turisti creativi” che vogliono allontanarsi dal caos della città.

Protagonista, dunque, del turismo esperienziale o, meglio definito, creativo è quel luogo capace di offrire al turista esperienze autentiche, di regalare un bagaglio in più da portare a casa, un bagaglio che pesa molto, ma che si porta sulle spalle con piacere: il bagaglio culturale. Per sviluppare un turismo di qualità, improntato sulla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni, bisogna fare sistema tra i diversi attori locali. Tra questi un ruolo importante può essere svolto dalle associazioni. Le associazioni turistiche che nascono e si sviluppano sul territorio sono sicuramente gli organismi più adatti a promuovere il territorio in cui operano, in quanto mettono insieme professionalità, ma anche gente comune, che ha a cuore il luogo a cui sente di appartenere. In quest’ottica, in un’area turisticamente marginale della Calabria Jonica, ha iniziato ad operare la Pro Loco di Brancaleone, con i suoi soci e il suo presidente in carica ormai da cinque anni, Carmine Verduci.

La Pro Loco, fino a poco tempo fa in sordina nella piccola realtà brancaleonese, ha iniziato a muovere i primi passi nella direzione della promozione di un’area con un grande potenziale turistico, costituito da numerose testimonianze artistiche, architettoniche e bellezze paesaggistiche, nonché arricchito dal folclore locale e da una grande tradizione culinaria. La Pro Loco ha iniziato a credere in un progetto molto ambizioso, nato nel 2015, su idea di Carmine Verduci e del Prof. Sebastiano Stranges. Il progetto si chiama Kalabria Experience e ha come obiettivo principale la riscoperta degli antichi borghi dimenticati, le passeggiate nella natura ed il trekking nei luoghi più ameni dell’Aspromonte. Le prime escursioni riguardarono proprio l’antico borgo di Brancaleone Vetus. Erano pochi, inizialmente i partecipanti alle escursioni, in quanto il progetto era nato in un territorio non del tutto pronto ad accogliere l’idea di passare una domenica a contatto con la natura, lontani dai centri commerciali e dal traffico urbano. Ma gli ideatori non si rassegnarono: arricchirono il loro programma interessando sempre più realtà locali, che iniziavano ad essere consapevoli della rilevanza che avrebbero potuto assumere nell’ottica di un turismo sostenibile, esperienziale e culturale.

Le escursioni non erano delle uscite per praticare del semplice trekking, ma molto di più: si proponevano l’obiettivo di far conoscere il territorio e promuoverlo, fornendo una valida alternativa al  turismo balneare, abbastanza comune sulle coste calabre. Un anno dopo il passaparola e la pubblicità sui social network iniziò a mostrare i suoi effetti e sempre più appassionati di natura, di trekking e della propria terra decisero di mettersi in cammino con Kalabria Experience, conoscendo luoghi ancora nascosti ed incredibilmente belli, a pochi passi da casa. Le gite fuori porta della domenica diventarono dei veri e propri appuntamenti e il gruppo si arricchì sempre più. A due anni da quella folle idea, oggi il progetto è una realtà consolidata: alle escursioni partecipano in media 50 persone, con picchi di 80/90 partecipanti, provenienti da ogni zona della Calabria e della Sicilia, ma anche numerosi turisti incuriositi dalla risonanza che questo progetto ha avuto. Un grande contributo al progetto è dato anche da chi, appassionato di fotografia, riempie i social di immagini spettacolari, divulga la conoscenza con il mezzo più efficace al giorno d’oggi: l’immagine. Le immagini riescono a sortire l’effetto di spettacolarità e la curiosità di andare a vedere dal vivo un luogo rappresentato solo da pixel colorati sullo schermo dello smartphone o del computer. I numerosi scatti prendono forma e diventano tangibili in formato 30×45, trasportati in diverse località nell’ambito di una mostra itinerante, intitolata “Lungo i sentieri del tempo”. Quel tempo che i fotografi vogliono fermare per sempre, quel tempo che coloro che hanno camminato a piedi sui questi sentieri molti anni fa, hanno fermato con le litografie, oggi viene catturato dall’otturatore di moderne macchine fotografiche.

Il nome del progetto ha un significato profondo: “Kalabria”, scritto con la “K”, rievoca l’antico nome di origine greca della regione,“Experience”, invece, riassume gli intenti del progetto: vivere il territorio proprio come esperienza di vita. Il simbolo di Kalabria Experience è il  pavone, il tavows, simbolo della cultura armena. Infatti, nonostante il progetto sia andato anche oltre i confini regionali, il suo cuore pulsante è sempre stato rappresentato dal luogo da dove è partito, nonostante sia divenuto una realtà famosa, non ha dimenticato le proprie origini: Brancaleone Vetus, anzi per meglio dire tutto il territorio compreso tra i comuni di Brancaleone, Bruzzano, Ferruzzano e Staiti, individuato con il  toponimo Valle degli Armeni.

Ma perché Valle degli Armeni? La risposta ci viene data dal prof. Sebastiano Stranges, che già nel 1990, precisamente il giorno di Capodanno, trovatosi a Brancaleone Vetus, ha fatto una grande scoperta per il territorio: una grotta con un pilastro centrale, unica in Europa per la sua conformazione, un pavone e tre croci incise nella roccia: chiare testimonianze armene. Questo pilastro, denominato “Albero della Vita”, ha conferito il nome alla grotta e ha aperto la strada per numerosi ritrovamenti e corrispondenze armene presenti in tutta l’area di riferimento. Tra i ritrovamenti vi sono, oltre alla grotta chiesa di Brancaleone, il castello degli Armeni di Bruzzano, la Chiesa Santa Maria degli Armeni di Ferruzzano, numerose croci nei palmenti antichi di Staiti e Ferruzzano. Si ritrovano origini armene anche nei cognomi, come Karisì, che oltre ad essere un cognome armeno, vuol dire “produttore di vasi vinari”, Margariti da Margaritian, Micò e Micone da Micunian, ma anche nei vocaboli antichi come “baggianaro”, da non confondere con il termine lombardo baggiano entrato nel lessico con i Promessi Sposi con connotazione negativa, il nostro invece viene da “bagian” = oro lucente e “aru” = uomo, in questo caso diventa l’aggettivo qualificativo di “bello, eccellente”. Altri termini di origini armena sono “tarru” e “tarra”, che indicano rispettivamente l’anfora e la pentola panciuta e diventa anche soprannome per le persone che hanno la pancia. Alla luce di queste scoperte, numerose sono state le visite di cittadini armeni che, dopo aver contattato Carmine Verduci, sono accorsi in Calabria per conoscere questi luoghi, per scoprire un pezzo della loro storia anche a tantissimi chilometri di distanza e trovando oltre ai tratti così simili ai loro, anche una straordinaria accoglienza.

L’itinerario proposto, denominato “Valle degli Armeni” permette di venire a contatto con le maggiori testimonianze rimaste nei territori di Brancaleone Vetus, Bruzzano Vetere, Ferruzzano e Staiti, luoghi ricchi di storia e in cui risuona forte l’identità di un popolo legato alle proprie radici. Le aree di riferimento principali, ma non uniche di questo progetto sono la Riviera dei Gelsomini e l’Area Grecanica. La Riviera dei Gelsomini è la fascia costiera più a sud della Calabria, una striscia di terra bagnata dal mar Ionio che si snoda per 90 km, da Monasterace a Capo Spartivento, comprendendo 42 comuni. In questa piccola porzione di territorio si concentra gran parte del patrimonio artistico, letterario e storico della Calabria. Dalla Riviera dei Gelsomini, che termina con il faro di Capo Spartivento, ci si addentra in un territorio diverso, con una storia e una cultura diverse: l’Area Grecanica. Quest’area è stata definita tale per i borghi tipici dei Greci di Calabria, calabresi che conservano la lingua e le tradizioni greche, che si sentono fieri della loro grecità e la difendono a tutti i costi. Il programma delle uscite di Kalabria Experience segue sempre un iter pressoché uguale, che prevede la riunione, l’incontro con vecchi amici e nuovi escursionisti e la partenza per un posto sempre nuovo da scoprire. Qualche pausa, un racconto curioso, qualche passo di tarantella a volte, e poi la degustazione di prodotti tipici. Ed infine i saluti, con la consapevolezza di aver imparato qualcosa di nuovo, di tornare a casa con qualcosa in più, quel qualcosa che non si può comprare in nessun centro commerciale, quel qualcosa che ha un valore inestimabile per adulti e bambini; tornare a casa con mille immagini negli occhi e altrettante nella macchina fotografica, ma sopratutto mille ricordi e di innumerevoli sensazioni nuove. “camminare per conoscere, conoscere per amare”, il motto primordiale di Kalabria Experience, una frase presa in prestito dal prof. Domenico Minuto. Camminare per conoscere soprattuttoper imparare ad amare un luogo che sembrava dimenticato, riportarlo alla memoria, anzi farlo arrivare dritto al cuore di chi cammina ancora su quel sentiero. Non si tratta di semplici escursioni: è una vera e propria immersione nella storia e nella cultura dei luoghi, arricchita da degustazioni e racconti, per ritrovare quei sapori e quell’atmosfera di un tempo ormai trascorso, ma che rivive ogni volta che qualcuno decide di parlarne. Ricordo sempre un frase di Theodore Roosevelt: “Fai quello che puoi, con quello che hai, nel posto in cui sei”.

Scegliere di andare via dalla propria terra è davvero coraggioso, ma ha ancora più coraggio chi decide di rimanere e fare qualcosa per Lei, con quel poco che ognuno ha. Basta mettere insieme la conoscenza, l’amore e la voglia di fare per veder fiorire progetti come Kalabria Experience, per portare avanti con orgoglio il nome di una Calabria che non si arrende, che vuole dimenticare le tristi pagine di cronaca, che vuole andare oltre l’abbandono ed il degrado. La Calabria che amiamo e che vogliamo far ricordare è quella cantata dai poeti, disegnata nelle litografie, raccontata dai viaggiatori di un tempo.

Il senso di appartenenza a questi luoghi ripercorsi con Kalabria Experience si fa sentire in ogni persona; percorrere antiche mulattiere fa rinascere un legame indissolubile con la propria terra, fa rivivere i ritmi ancestrali diantichi cammini, fa riscoprire odori dimenticati e suoni ormai ovattatati. E ci si emoziona a camminare insieme, ad aiutarsi a superare ogni ostacolo che il cammino pone davanti, ad affrontare la forza della natura, assecondandola sempre, senza mai fermarsi. Per ogni difficoltà ci sono i compagni di viaggio, che diventano amici di “esperienze” appunto, che con le loro storie più varie, riescono sempre ad insegnarti qualcosa, con uno spirito comune: non fermarsi mai, davanti agli ostacoli di un’aspra montagna, così come davanti agli ostacoli della vita. Perché in fondo Kalabria Experience è la metafora della vita: un cammino lungo i luoghi del cuore, la conoscenza e la riscoperta, una difficoltà e, alla fine la gioia di arrivare in cima, condivisa con chi cammina al tuo fianco.

L’ideatore di  Kalabria Expence Carmine Verduci, interpellato ha dichiarato:

Provo una grande emozione nel constatare che questa avventura ci ha consentito di far emergere il territorio soprattutto quello della fascia jonica reggina, poco conosciuta dai media, ma che in realtà ha un fascino davvero notevole. Alessandra è una dei tanti appassionati di questi cammini che non vogliono rappresentare nulla di eccezionale, ma che puntano alla promozione territoriale attraverso le collaborazioni, la riscoperta di aziende agricole, dei luoghi e dei sentieri di montagna poco valorizzati. Attraverso le immagini, video contest fotografici realizzati anche con Instagram, il mondo ha potuto osservare la bellezza primordiale di questa terra, ricca anche di persone come Alessandra che hanno saputo cogliere in uno scatto, in un racconto, in una tesi la bellezza di una Calabria insolita ed inedita. Devo soprattutto a lei, al nostro Sebastiano Stranges , alla stampa locale ed ai collaboratori del progetto il mio grazie per i meriti di questa grande ascesa di Kalabria Experience, oggi arrivata perfino sui banchi dell’Università di Messina grazie a questa tesi che ci fa onore e fa onore alla Pro-Loco di Brancaleone che ha sempre lavorato non solo per Brancaleone ma per l’intero territorio, e se i risultati positivi sono questi allora il mio appella va sicuramente a tutti i nostri colleghi ed operatori delle associazioni e delle pro-loco della provincia reggina, affinchè contino sulle proprie forze e le proprie passioni, cercando di creare reti e sodalizi così come abbiamo fatto noi nel tempo, solo così potremo rendere un servizio alla nostra terra, bisognosa di svelarsi e salvarsi dai soliti luoghi comuni.

 

 

 

 

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén