Lungo tutta la fascia ionica della Calabria centrale e meridionale affiora, in maniera più o meno continua, una successione sedimentaria di età pliocenica (Zancleano – Piacenziano), costituita da un’alternanza ritmica di marne e calcari (questi ultimi ricchi in foraminiferi planctonici, foraminiferi bentonici e coccoliti), assimilata alla siciliana formazione dei Trubi.

Nei pressi dell’abitato di Palizzi Marina (RC) è presente uno degli affioramenti calabresi più conosciuti di questa formazione. In questo lavoro vengono illustrate le prime osservazioni sulle tracce fossili rinvenute nella porzione centrale di questa successione. L’ icnoassociazione rinvenuta è riconducibile alla Zoophycos Ichnofacies, confermando gli studi precedenti che stabilivano per questa formazione un paleo ambiente di scarpata-bacino, ad una profondità di deposizione di circa 800-1000 m, determinato sulla base del contenuto in foraminiferi planctonici e bentonici.

Ci troviamo nella costa Sud Orientale della Calabria affacciati sul Mar Ionio in Località Spropoli di Palizzi provincia di Reggio Calabria. Il sito S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario) dei Calanchi rappresenta un patrimonio naturalistico di grande rilevanza geologica e naturalistica che affascina i viaggiatori che attraversano la SS106.

I calanchi chiamati anche “Trubi” sono dei sedimenti di mare profondo pliocenici che risalgono a circa 2,5-5 milioni di anni, che affiorano sulle coste siciliane e calabresi. Questi sedimenti sono in prevalenza costituiti da gusci calcarei di globigerine, piccoli organismi planctonici. All’origine si sono formati in un mare chiuso, ad una profondità tra 800-1000 metri circa. Alcuni denotano delle striature di colore bianco alternati a striature di colorazione grigio-azzurro.

Il colore bianco si riferisce ai periodi di mare caldo, ed è dovuto ad un deposito di micro-organismi con gusci, sul fondo. Il grigio invece consiste nel deposito di argilla sgretolata, nel periodo in cui il mare era più freddo.

Tra le caratteristiche naturali di questo sito, sono sicuramente i “ponsai” ( alberi nani) cresciuti così naturalmente per lo scarso nutrimento trovato in questo terreno argilloso. Si differenziano dai “bonsai” che sono alberi nani ottenuti tramite una tecnica specifica.

In questo luogo è possibile notare anche dei pezzetti di zolfo, dovuti ad un processo di fossilizzazione di una probabile foresta esistita secoli fa. Il prof. Sebastiano Stranges  fa notare anche alcune rare specie di piante autoctone, in via di estinzione, fra queste spicca il Ginepro.  Il ginepro fenicio è stato ampiamente utilizzato, fin dall’ antichità, con alberelli scortecciati si preparavano attaccapanni e supporti per la macellazione, impalcature per pozzi, travature varie. Il legno veniva anche ampiamente utilizzato per la costruzione di telai, piattaforme lignee per barche, altari, sedie, cassapanche, lavori di intarsio, utensili per la casa. Il legno si presta bene anche come legna da ardere, bruciando con fiamma vivace, ma, per il suo pregio in altri settori, era scarsamente utilizzato a questo scopo. In questa zona, sono stati anche ritrovati  importanti reperti archeologici (come frammenti di anfore provenienti da Corinto), caratterizzati da striature in blu, e un forno particolare che serviva per l’essiccazione di uva, fichi e pere (molto coltivate fino ai primi del ‘900).

Fonti: Claudia Caruso

 

*Il termine ponsai è riferito alle piante nanizzate per condizioni edafiche naturali, mentre le piante nanizzate artificilamente si dicono BONSAI.