Quella di Palizzi è una storia controversa, fatta di nobiltà, successioni, vendite, controvendite, ma anche di ingiustizie, soprusi e inganni a danno sempre del popolo che ha retto un economia fiorente in tutto il circondario, dando da mangiare ai Nobili che si sono succeduti e spartiti i territorio nei vari secoli. Solo dal tardo medioevo e fino all’Ottocento le vicende legate al feudo di Palizzi e alle dinastie succedutesi, sono una rappresentazione soltanto sommaria di quanto emerge dagli studi opportunamente condotti, da qui ne emerge un quadro particolarmente sconcertante ed inverosimile.

Ma davvero siamo così attratti dall’importanza nobiliare dei nostri borghi? O è solo per una disattenta analisi della storia e delle vicissitudini legate ai centri infeudati?

Molti di noi sono sempre stati attratti dalla “nobiltà” di questi piccoli centri urbani e rurali, un tempo caratterizzati da famiglie nobili, baroni, principesse e nobili Signori che hanno edificato castelli e improntato politiche di successione abbastanza controverse. Attratti più dalla nobiltà piuttosto che dal loro potere, esercitato ingiustamente ai danno di una popolazione vessata dalla nobiltà che legiferava contro i sui sudditi ignari delle controversie interne cui questi Signori erano protagonisti.

Palizzi è un grazioso borgo che sorge a 270 mt sul livello del mare è un borgo tipicamente medievale che sorge alle propaggini sud orientali dell’Aspromonte, in piena area Grecanica. Caratteristica pittoresca di questo borgo è sicuramente il suo castello che sorge su una grande roccia che domina su tutto il paese affacciato sull’omonimo fiume Aléce conosciuto dai Greci come fiume Alex che fu confine tra le antiche Repubbliche di Locri e Reggio. Il borgo è sorto come tutti gli altri paesi verso l’interno rispetto alla costa e protetto dalle montagne perchè più difendibile dagli attacchi pirateschi e dalle pestilenze malariche dell’epoca. Secondo alcuni studiosi il nome stesso di Palizzi deriverebbe dal Greco Politsion “piccola città”, secondo altri deriverebbe dal Greco Polìscin, che  pare significhi “luogo ombroso”. Si hanno anche notizie di un approdo sulla costa, che fino al 1700 conservò il toponimo di “Porto Palitio” o “Palitii” come lo si evince da antiche mappe.

Le prime notizie indicano che intorno al 1300 risulta territorio feudale di Bartolomeo Busca al quale apparteneva anche il feudo di Bruzzano Vetere (Bruzzano Zeffirio). Nel 1322 il territorio di Palizzi fu acquistato da Guglielmo Ruffo (nota famiglia molto potente in Calabria) a seguito della morte del fratello maggiore Pietro e del suo figlioletto, Guglielmo ottenne dal Re Roberto D’Angiò l’assenso alla successione di beni paterni.

Nel 1334 Guglielmo sposa Caterina Crispai D’Alemagna (Dama di Corte della Regina) dalla quale ebbe 4 figli. I due mantennero ottimi rapporti con la corte Angioina di Napoli tanto che ricevettero molte onorificenze tra cui anche terre nella Contea di Alba e successivamente anche l’acquisto di Palizzi e Bruzzano Vetere. Guglielmo, rimasto vedovo di Caterina passò a seconde nozze con Luisa D’ Erville e nel 1335 fu nominato dal Re “Capitano Generale e Giustiziere della Calabria”. Da documenti emersi si evince che a seguito di questa prestigiosa investitura, Guglielmo ebbe a che fare con numerose controversie che lo videro protagonista di scandali e vicissitudini, tanto da essere anche scomunicato dall’Arcivescovo di Bova, perchè erano sorte molte controversie con la diocesi per interessi legati a terre e vari possedimenti. Da una parte il Ruffo voleva ottenere terre e quindi porre una sorta di egemonia territoriale rifacendosi poi sul duro lavoro del popolo i quali corrispondevano parte del ricavato di grani e produzioni agricole, dall’altra parte la Curia aveva interessi ad a mantenere ed espandere i propri interessi agricoli delle terre e dei possedimenti. Questo spesso metteva il popolo in contrapposizione ai Feudatari, e alla chiesa conveniva. Queste controversie nel 1329 si tradussero in una sorta di “pace” tra il Ruffo e la Diocesi di Bova grazie all’intervento del Re.

Erede di Guglielmo Ruffo fu il primogenito Enrico che andò a nozze con la nobildonna regina Giulia De Moleto, Enrico premorì al padre e lasciò in erede il figlio Antonio che fu molto contrastato dallo Zio Folco nella successione dei diritti paterni sulla Baronia di Palizzi ed altri possedimenti. Alla morte di Guglielmo la questione fu poi risolta dal Re Carlo III di Durazzo con la suddivisione tra i due pretendenti con la ripartizione dei possedimenti si vennero così a creare due aggregazioni feudali nel versante tirrenico e jonico, dunque a Folco Ruffo andarono Sinopoli, Santa Cristina, Solano, Sitizano, Fiumara del Muro, Calanna ad Antonello Ruffo andarono Palizzi, Brancaleone, Placanica, Bruzzano Vetere, Condojanni ed alcuni immobili di Reggio. La nuova linea feudale Palizzi-Brancaleone dei Ruffo durò quattro generazioni, durante tutto questo periodo avvennero forti tensioni per la successione del Trono di Napoli fra i Durazzo e gli Angiò di Provenza prima e gli Aragona dopo, infatti nel corso di questa lotta di successione al trono napoletano i vari rami dei Ruffo si schierarono almeno in un primo periodo su fronti differenti, per poi mutare a seconda dei loro interessi e tornaconti. Nonostante tutti questi conflitti il Signore di Palizzi morì non avendo eredi nonostante si fosse sposato due volte la prima delle quali con la cugina Luisa Ruffo di Sinopoli che non avendo figli il feudo fu ereditato dal fratello Enrico, al feudo di Palizzi mirava però il Conte Carlo di Sinopoli il quale fece istanza ad Alfonso il Magnanimo per avere in possesso (come risarcimento della dote della Zia Luisa) il feudo di Palizzi, si giunse poi ad un accordo tra i due pretendenti in base al quale Carlo rinunciò al Feudo conteso a favore di Enrico e questi in cambio abbandonò le fila Angioine per passare allo schieramento Aragonese al quale ormai aderivano tutti gli altri rami del casato.

L’alleanza fra i Conti di Sinopoli e di Palizzi fu sancita nel 1439 da un patto nuziale che prevedeva una serie di matrimoni tra i membri dei Ruffo di Calabria e della famiglia Centelles (famiglia siculo-catalana). Antonio Centelles si impegnò a prendere in moglie Enrichetta Ruffo Contessa di Catanzaro e Marchesa di Crotone, le sorelle dei Centelles Maria, Alvina, Elisabetta e Ramonetta avrebbero rispettivamente sposato Carlo di Sinopoli i suoi due figli Esaù e Nicolantonio ed il cugino Geronimo, figlio e successore di Enrico di Palizzi.

Geronimo Ruffo fu coinvolto dal cognato Antonio Centelles nella seconda rivolta divampata nel regno di Napoli contro la dinastia Aragonese nel 1458 poco dopo la successione ad Alfonso del figlio naturale Ferrante. Dopo tutte queste controversie delle due fazioni dei Ruffo il Feudo di Palizzi rischiò di essere sottratto ai Ruffo ma nel 1479 il Re di Napoli concesse a Bernardino Malda De Cardona (cognato di Antonello) la baronia di Palizzi sulla quale vantava dei diritti ereditari dal padre Berengario che derivavano dalla mancata restituzione della dote della sorella Beatrice della quale Antonello era rimasto vedovo senza figli. Nonostante le vicende che agitarono il casato dei Ruffo sul finire del secolo il Ruffo riuscì a recuperare Palizzi e Brancaleone che gli venne riconosciuto solo nel 1498 dal re Federico ma con l’obbligo di un versamento annuo pari a 3mila ducati alle casse regie. Con l’avvento al trono di Ferdinando il Cattolico nel 1507 Antonello Ruffo ebbe la conferma dei Feudi acquistati, nel frattempo la figlia Geronima si era sposata con Alfonso de Ayerbo d’ Aragona signore di Simeri. Alla morte di Antonello Ruffo nel 1515 il feudo di Palizzi passò in eredità alla figlia Geronima e al genero Alfonso de Ayerbo che la trasmise ai suoi discendenti, si passa così dai Ruffo che ebbero in feudo Palizzi per due secoli ai De Ayerbo d’Aragona.

Gli Ayerbo infatti erano arrivati nel mezzogiorno nella prima metà del quattrocento a seguito di Alfonso il Magnanimo impegnati nella lotta di successione al trono di Napoli. Dopo la morte del primogenito Ferrante figlio di Sancio De Ayerbo (signore di Simeri) fu ereditato da Alfonso (futuro signore di Palizzi). Alfonso non tenne a lungo la Baronia, nell’Ottobre del 1520 infatti, vedovo di Geronima morì e gli subentrò il figlio Michele che fu signore di Palizzi per un trentennio ovvero fino al 1548. Erede di Michele fu il figlio Alonso, questi attratto dalle politiche accentratrici del vicerè Pietro di Toledo non riuscì a far fronte alle spese sostenute nella capitale Napoli e si indebitò in modo smisurato, per cui fu costretto a vendere il feudo di Palizzi che fu acquistato con il “pacto de retrovendendo” da Troiano Spinelli (Marchese di Mesoraca e principe di Scalea).

In realtà il Pacto Retrovenendo era un sistema che consentiva di riavere la proprietà ripagandola al compratore della stessa somma entro un termine stabilito. Alonso infatti, riuscì a restituire a Giovanbattista Spinelli (figlio e successore di Troiano) il denaro avuto dal padre e rientrò in possesso di Palizzi. Negli anni seguenti però la situazione economica della famiglia si aggravò notevolmente e fu costretto a sua volta a vendere definitivamente i propri feudi compreso Palizzi.

Acquirente della baronia di Palizzi fu nel 1580 il Patrizio messinese Francesco Romano, il Romano infatti a Messina ricopriva notevoli cariche  di responsabilità, i suoi proventi infatti furono interamente investiti per l’acquisto feudale in Calabria in particolare sulla fascia jonico-reggina. Da Francesco Romano, Palizzi passò in feudo a Pompeo che non ebbe discendenti diretti, alla sua morte infatti il feudo di Palizzi passò al nipote Giacomo Colonna Romano (Marchese di Altavilla), a metà del ‘600 una grave recessione produttiva colpì la famiglia Romano e Colonna, infatti nel 1652 il marchese di Altavilla Giovanni Colonna (successore di Giacomo), essendo oberato di debiti, fu costretto dai creditori a vendere al maggior offerente il castello ed il feudo di Palizzi.

Nel 1662 fu la nobildonna Messinese Margherita Arduino ad acquistare la terra di Palizzi per 27mila ducati che lo ebbe fino al 1751, quando risulta essere stato acquistato dalla famiglia De Blasio i quali lo mantennero fino al 1806. Sempre da documenti emersi dagli archivi, risulta che nel 1866 il Barone Tiberio De Blasio decide di ristrutturare il castello di Palizzi (ad un anno esatto della morte del padre avvenuta proprio nelle sue stanze), infatti dopo la ricostruzione, il castello fu utilizzato come residenza estiva da Don Tiberio fino alla sua morte, avvenuta nel 1873 all’età di 46 anni. Durante la II guerra mondiale pare che Don Carlo de Blasio (detto Caramella) si trasferì per alcuni mesi nel castello di Palizzi a causa dei bombardamenti Americani sulla città di Reggio.

Tra gli anni 1950-1960 Ferdinando, utilizzò il castello nei mesi estivi con la moglie ed i suoi figli. Don Nandino provvide ad apportare piccoli restauri alla parte abitabile, che comunque risultarono insufficienti ad arrestare il progressivo lento ed inesorabile deterioramento della struttura, che oggi grazie ad lunghe e complesse opere di restauro, sembra stia tornando a rivivere per la gioia degli amanti dei borghi e dei castelli medievali.

Siete ancora convinti che le nobiltà siano state poi così importanti come nel caso di Palizzi? Potrei citare molti e molti altri paesi (feudi) dell’epoca che hanno subito le stesse vicissitudini come quelle Palizzi.

Io credo che conoscere le vicissitudini di un luogo sia importante per avere un quadro cronologico della politica del medioevo e per comprendere quanto questa ha inciso sulla storia e sugli uomini dei nostri paesi, oggi ridotti per la maggio parte dei casi in vere e proprie ghost town. Lo dobbiamo fare senz’altro per cogliere con profonda consapevolezza tutti quegli aspetti giurisdizionali che hanno caratterizzato il passato dei nostri paesi, non certo per millantare una certa borghesia che invece di dare, ha soltanto tolto, e a volte diciamolo pure, ha sottratto anche la libertà ai nostri antenati costringendoli in una “non vita” il tutto e solo per imporre dazi, diritti e soprusi di ogni genere.

Ad ogni modo Palizzi è sicuramente una delle mete che io consiglio di visitare senz’altro insieme al borgo di Pietrapennata. Luoghi dell’anima, dove il tempo sembra si sia fermato, dove il cielo, la terra ed il mare sembrano dipingere quadri incredibili di una insolita Calabria stupefacente!

 

Foto e testo © Carmine Verduci

Fonti: Giuseppe Caridi “Palizzi. Dal tardo Medioevo all’Ottocento” Ediz. Falzea (collana  Città di Calabria e di Sicilia) Anno di pubblicazione 1999)