Roghudi vecchio è posto a 627 sul livello del mar,  adagiato sul crinale che precipita verso il fondovalle, Roghudi è circondato da monti impenetrabili nel mezzo del torrente Amendolea. Il borgo ha origini antiche e  fece parte per lungo tempo delle comunità di lingua grecanica della Calabria; Il grave terremoto del 1783 ha danneggiato seriamente il paese, che è stato abbandonato poi  negli anni ‘70 a seguito di eventi franosi ed alluvionali. Già nel XVI secolo il suo nome appare nei documenti ufficiali. Il termine Roghudi deriva dal Greco (RIGHUDI)che significa “pieno di crepacci”, quasi a voler rimarcare il luogo in cui sorge questo paesino ai piedi dell’Aspromonte. Uno sperone roccioso solitario che si erge tra le bianche ghiaie della fiumara Amendolea. Anticamente sede di un insediamento greco, fu un casale della baronia degli Amendolea. Possedimento di questa famiglia fin verso la fine del XV secolo registrò in seguito diversi passaggi di proprietà, venendo assegnata ai Malda De Cardona, agli Abenavoli, ai Martirano, ai De Mendoza e ai Ruffo di Bagnara Calabra, che la tennero fino all’ abolizione del feudalesimo.  L’alluvione del ‘70 rappresenta il peggior momento della storia di Roghudi e Ghorio, in quanto, dopo secoli di resistenza ,gli abitanti furono costretti ad andarsene. Così il 16 Febbraio del 1971 il Sindaco Angelo Romeo, firmava l’ordinanza con la quale imponeva lo sgombero di tutte le famiglie presenti a Roghudi, per pericolo. In paese fino a qualche tempo fa si parlava il greco,una lingua che ha mantenuto la sua vitalità anche se le zone sono state oggetto di diverse influenze (Greca, Romana,Bizantina etc.), e di diverse occupazioni durante i secoli.

Sin dalla sua origine ha avuto un’economia basata sulla pastorizia. I pastori si dedicavano all’ allevamento di pecore e capre, mentre i bovini venivano prevalentemente utilizzati per trainare l’aratro usato per i lavori di dissodamento del terreno e la sua preparazione per la semina. Diffusa era la migrazione stagionale (la cosiddetta transumanza), quando le greggi rimanevano nelle vicinanze del paese dal mese di Ottobre a Maggio, e a Giugno venivano trasferite nelle zone montane dell’Aspromonte ricche di foraggio. L’agricoltura a causa della forte montuosità era poco praticata. Ciononostante era possibile ottenere una notevole quantità di prodotti: ortaggi, frumento, cereali,vino, olio d’oliva e agrumi. La pesca, come la caccia, era praticata fin dai tempi più remoti. La forma principale era però quella della pesca di trote presso il fiume Amendolea e dell’anguilla presso il lago di Lìnna, mentre i cacciatori si dedicavano non solo a cacciare animali selvatici di cui era molto ricca la zona, ma soprattutto alla caccia del cinghiale con i cani addestrati dagli stessi cacciatori che a sua volta erano anche pastori.

 

IL BORGO DI CHORIO:

Poco distante da Roghudi si trova la piccola frazione disabitata di Ghorio. Tutta l’area è ammantata di leggende a dir poco inquietanti. Qui si racconta e si tramanda ancora la leggenda delle “Anarade”, che secondo gli anziani di Roghudi, erano delle donne aventi i piedi a forma di zoccoli come i muli e vivevano nella contrada di “Ghalipò” (proprio di fronte Roghudi).  Le Anarade, cercavano di attirare le donne del paese affinché si recassero al fiume a lavare i panni con l’intento di ucciderle, così gli uomini del paese potevano accoppiarsi solo con loro. Si racconta che le Anarade, per attirare le donne, usavano ogni strategia, come per esempio la trasformazione della voce. Per proteggersi dalle Anarade gli abitanti del paese, fecero costruire tre cancelli collocandoli in tre differenti entrate:  “Plachi”, “Pizzipiruni” e  “Agriddhea”, che ancora esistono.

ROCCA TU DRAKU:

Sono due formazioni geologiche naturali di questo luogo: Ta vrastarùcia tu draku (le caldaie del drago) e Ia Ròcca tu Dràku (la Rocca del Drago). La Rocca del Drago ha la forma tipica della testa di un rettile dalla forma strana, quasi un dolmen di epoca preistorica, con tre cerchi scavati secondo un ordine misterioso. La leggenda narra, che questa pietra che rappresenta la testa del drago è custode di un tesoro. Il tesoro veniva assegnato a chi riusciva a superare la prova di coraggio, che consisteva nel sacrificio di tre esseri viventi di sesso maschile costituiti da un bambino appena nato, un capretto ed un gatto nero. Nessuno nel corso dei secoli volle affrontare questa prova, solo in un caso quando nel paese nacque un bimbo malformato, rifiutato dai genitori, fu prelevato da due uomini che misero in atto la prova di coraggio. Si uccise sia il capretto che il gatto ma quando fu il momento del sacrificio del bambino una tempesta improvvisa provocò la morte di uno dei due uomini, l’altro uomo sopravvissuto fu perseguitato dal diavolo sino alla sua morte. Nessuno successivamente pensò più al ritrovamento del tesoro. Secondo Salvino Nucera (grande studioso delle tradizioni popolari locali), afferma che il monolite sia stato un oggetto sacro di culto per popolazioni preistoriche. Poco distanti le “Caldaie del Latte”  assomigliano incredibilmente alle piccole caldaie usate dai pastori per la raccolta del latte.

 

LE CALDAIE DEL DRAGO:

Poco distante dalla rocca del Drago si trova un’altra roccia costituita da sette piccole rocce sferiche affioranti dal terreno da un blocco unico di roccia friabile. Quest’ultima formazione di roccia è detta “Ta vrastarùcia tu Draku” che tradotta dal greco significa “Caldaie del Drago”, infatti la forma particolare della roccia assomiglia a quella delle pentole in cui si bolliva il latte “a cardara”. Impossibile che siano stati il frutto delle azioni degli agenti atmosferici, solo quello guardante a sud è stato eroso, in parte, da tali azioni che guardano a est. I  luoghi sacri di età minoica o pre-Minoica nell’isola di Creta (Are) erano conficcate delle lastre di pietra che guardavano ad oriente. Sicuramente la Rocca è opera della natura, ma per la posizione, e per la conformazione, probabilmente è stata scelta in epoca molto antica come oggetto di culto da chissà quali popolazioni. Le voci popolari, sostenevano che, chiunque si fosse avvicinato per colpire la Rocca in qualsiasi modo, un forte vento lo avrebbe sbattuto giù per la vallata uccidendolo. E gli anziani ricordavano persino il nome di qualche nativo di Ghorìo a cui ciò era successo. È da ritenere che un pastore, mentre accudiva il suo gregge, sia scivolato ed abbia perso la vita, lì nelle vicinanze della Rocca del Drako. Il termine Drako in lingua ellenistica significa “occhio”.Qualche relazione con le caratteristiche dei personaggi dei “cunti”sono quasi denti che a quelle dei Ciclopi, dell’Odissea di Omero. Durante la costruzione della strada un operaio del Corpo Forestaleincuriosito dalla leggenda, ruppe una delle mammelle rocciose, per vedere com’erano fatte al suo interno, e così le sette  “caldaie del Drako”, e non “Caldaie del latte”( il 7 numero ricorrente in molte fiabe sul Drako) oggi di “caldaie” sono rimaste soltanto sei. L’errore sul nome delle rocce, invece è nato negli anni ‘80, quando la Comunità Montana Versante Ionico Meridionale aveva deciso di mettere dei segnali di indicazione nei comuni compresi nell’Ente. Una leggerezza,il non aver chiesto il parere di qualche abitante di Ghorìo, una leggerezza che ha portato negli anni ad una banale storpiatura del nome.

By Carmine Verduci