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I calanchi di Palizzi, patrimonio da preservare!

Lungo tutta la fascia ionica della Calabria centrale e meridionale affiora, in maniera più o meno continua, una successione sedimentaria di età pliocenica (Zancleano – Piacenziano), costituita da un’alternanza ritmica di marne e calcari (questi ultimi ricchi in foraminiferi planctonici, foraminiferi bentonici e coccoliti), assimilata alla siciliana formazione dei Trubi.

Nei pressi dell’abitato di Palizzi Marina (RC) è presente uno degli affioramenti calabresi più conosciuti di questa formazione. In questo lavoro vengono illustrate le prime osservazioni sulle tracce fossili rinvenute nella porzione centrale di questa successione. L’ icnoassociazione rinvenuta è riconducibile alla Zoophycos Ichnofacies, confermando gli studi precedenti che stabilivano per questa formazione un paleo ambiente di scarpata-bacino, ad una profondità di deposizione di circa 800-1000 m, determinato sulla base del contenuto in foraminiferi planctonici e bentonici.

Ci troviamo nella costa Sud Orientale della Calabria affacciati sul Mar Ionio in Località Spropoli di Palizzi provincia di Reggio Calabria. Il sito S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario) dei Calanchi rappresenta un patrimonio naturalistico di grande rilevanza geologica e naturalistica che affascina i viaggiatori che attraversano la SS106.

I calanchi chiamati anche “Trubi” sono dei sedimenti di mare profondo pliocenici che risalgono a circa 2,5-5 milioni di anni, che affiorano sulle coste siciliane e calabresi. Questi sedimenti sono in prevalenza costituiti da gusci calcarei di globigerine, piccoli organismi planctonici. All’origine si sono formati in un mare chiuso, ad una profondità tra 800-1000 metri circa. Alcuni denotano delle striature di colore bianco alternati a striature di colorazione grigio-azzurro.

Il colore bianco si riferisce ai periodi di mare caldo, ed è dovuto ad un deposito di micro-organismi con gusci, sul fondo. Il grigio invece consiste nel deposito di argilla sgretolata, nel periodo in cui il mare era più freddo.

Tra le caratteristiche naturali di questo sito, sono sicuramente i “ponsai” ( alberi nani) cresciuti così naturalmente per lo scarso nutrimento trovato in questo terreno argilloso. Si differenziano dai “bonsai” che sono alberi nani ottenuti tramite una tecnica specifica.

In questo luogo è possibile notare anche dei pezzetti di zolfo, dovuti ad un processo di fossilizzazione di una probabile foresta esistita secoli fa. Il prof. Sebastiano Stranges  fa notare anche alcune rare specie di piante autoctone, in via di estinzione, fra queste spicca il Ginepro.  Il ginepro fenicio è stato ampiamente utilizzato, fin dall’ antichità, con alberelli scortecciati si preparavano attaccapanni e supporti per la macellazione, impalcature per pozzi, travature varie. Il legno veniva anche ampiamente utilizzato per la costruzione di telai, piattaforme lignee per barche, altari, sedie, cassapanche, lavori di intarsio, utensili per la casa. Il legno si presta bene anche come legna da ardere, bruciando con fiamma vivace, ma, per il suo pregio in altri settori, era scarsamente utilizzato a questo scopo. In questa zona, sono stati anche ritrovati  importanti reperti archeologici (come frammenti di anfore provenienti da Corinto), caratterizzati da striature in blu, e un forno particolare che serviva per l’essiccazione di uva, fichi e pere (molto coltivate fino ai primi del ‘900).

Fonti: Claudia Caruso

 

*Il termine ponsai è riferito alle piante nanizzate per condizioni edafiche naturali, mentre le piante nanizzate artificilamente si dicono BONSAI.

E’ stato un anno meraviglioso, lo abbiamo riassunto così…

Carissimi amici, compagni di viaggio e di avventure, soci e non soci, collaboratori e partners

Si conclude un anno davvero impegnativo per il nostro progetto che la Pro-Loco di Brancaleone insegue già da tre anni. La riscoperta dei luoghi in chiave culturale ed esperienziale risulta essere essenziale per un territorio che ricerca  nuovi slanci e nuovi stimoli, per questo nell’anno appena trascorso abbiamo fatto conoscere tante nuove belle realtà non solo a chi ci segue da tanto tempo, ma anche ai nuovi compagni di viaggio. Abbiamo inseguito il sogno di ampliare i nostri confini per imparare da tante realtà presenti sul territorio cosa significa fare turismo e valorizzazione. Abbiamo conosciuto tante persone che ci hanno guidato attraverso la passione e l’amore per questa terra e noi ci siamo innamorati ancora di più!!!

Nonostante alcuni  rinvii causati dal maltempo che ha imperversato per tutto quest’anno, siamo riusciti a portare una ventata nuova sul territorio, grazie a nuove importanti collaborazioni che ci hanno davvero onorato essere tra i motori trainanti del nuovo “turismo consapevole” in Calabria.

Primo fra tutti come non menzionare il progetto “La Via Dei Borghi” costruito grazie all’Associazione Culturale Il Giardino Di Morgana con il suo giovane presidente Domenico Guarna, che ha saputo guidare attraverso la bellezza, la storia e la magia dei borghi tantissimi calabresi, tra cui molti giovani che è riuscito in poco tempo ad affermarsi sul territorio come uno degli eventi più attesi dell’anno.

Noi abbiamo cercato di seminare i buoni propositi, molta gente ha compreso questa mission e si è imbarcata con noi in questo viaggio di pura gioia e divertimento, alla scoperta di quella primordiale essenza di questa terra che ha atteso per lungo tempo di essere riscoperta e amata.

Kalabria Experience non è solo escursionismo, ma anche e sopratutto “Cultura” i nostri cammini arricchiti da contenuti e significati umani, fanno la differenza, ed è grazie a questo spirito siamo diventati un punto di riferimento anche per nuovi “curiosi” che giungoo in questa fascia calabrese e che hanno avuto  il nostro supporto logistico per visitare la montagna. Noi siamo stati il ponte fra loro e le guide del Parco Nazionale d’Aspromonte (figure importanti e preposte all’accompagnamento in sicurezza in montagna)

Abbiamo partecipato a molti convegni dedicati al “turismo sostenibile”, grazie al quale oggi il nome “Kalabria Experience” non solo è conosciuto sui banchi di scuola e delle migliori Università, ma anche preso come “modello” da numerose associazioni italiane che si sono interfacciati con noi molte volte.

I nostri partners hanno svolto un ruolo molto importante in tutto questo, offrendoci la possibilità di far conoscere ed apprezzare le eccellenze del territorio, nuovi marchi e nuovi brand che hanno intrapreso un cammino davvero bello ed interessante con noi, lasciandosi guidare dall’entusiasmo che non ha mai ceduto di fronte alle difficoltà.

I nostri contest-Instagram realizzati grazie alla collaborazione con @Ig_calabria e @Ig_reggiocalabria sono stati un trampolino di lancio per un territorio oggi conosciuto in tutto il mondo grazie alla partecipazione dei fruitori che si sono dati da fare condividendo e facendo conoscere al mondo le bellezze del nostro territorio.

Un altro anno è appena cominciato e le sorprese non finiscono…, nuovi progetti e nuove prospettive a cui saremo chiamati ci aspettano!  E saranno la base essenziale del nostro cammino che non si ferma, ma continua nell’ottica della promozione del turismo consapevole. Abbiamo ricevuto molte proposte di collaborazione che abbiamo valutato per la crescita del nostro gruppo di promozione territoriale che mira a far conoscere questa terra al mondo, che merita di essere vissuta, compresa e raccontata.

Abbiamo riassunto nelle nostre consuete foto di gruppo, un anno fatto di tante belle domeniche trascorse insieme e soddisfazioni che sono arrivate grazie a tutti coloro che si sono impegnati attivamente alla nascita di un nuovo modo di promuovere il territorio; “mediante la condivisione”

 

ALBUM RICORDO DEL 2018

PROGETTO: LA VIA DEI BORGHI 2018

Ringraziamo le associazioni:

Associazione Il Giardino di Morgana, Porpatima Trekking, , Caretta Calabria Conservation, SudTrek, Fondazione La Via delle Stelle (RC), Associazione Rudina, Associazione Innovus, Centro studi Grecofono, Pro-Loco di Motta San Giovanni, Pro-Loco di Staiti, Pro-Loco di Condofuri, Pro-Loco di Bruzzano Zeffirio, Pro-Loco di Bovalino, Pro-Loco Mammola.

I GRUPPI:

Fitwalking Roccella Jonica, Nordic Walking Reggio Calabria, Area 51 Reggio Calabria.

 

GLI ENTI:

Città Metropolitana di Reggio Calabria, Consiglio Regionale della Calabria

 

LE AMMINISTRAZIONI: 

Comune di Montebello Jonico, Comune di Brancaleone, Comune di Bova, Comune di Motta S. Giovanni, Comune di Condofuri, Comune di Staiti, Comune di Bruzzano Zeffirio, Comune di Ferruzzano, Comune di Bovalino, Comune di Sant’Agata del Bianco, Comune di Placanica, Comune di Sant’Ilario dello Jonio,

 

GLI SPONSOR:

AKU, Santo Antonio Caffe’, DolciArt.

 

I PARTNERS:

0964biz, @ig_calabria, @ig_reggiocalabria , Gruppo Iuntamu, Gruppo PhotoThree.

 

Continuate a seguirci, nuove ed entusiasmanti avventure ci aspettano per il 2019…!

Uno spettacolo natalizio unico nei cieli della Calabria Ionica

Dalle dieci di ieri mattina 24 Dicembre 2018 Etna (Mongibello)  ha cominciato una nuova attività eruttiva sono oltre 125 le scosse di terremoto che sono state registrate dai sismografi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania: le prime sono state avvertite a Milo e Linguaglossa. Intorno a mezzogiorno è cominciata a sollevarsi una nube di cenere molto compatta.

Lo spettacolo di fuoriuscita di gas e ceneri dalla nuova bocca apertasi sul fianco nord-orientale del vulcano ha da subito invaso il cielo e l’aria, tanto che a Catania nell’aeroporto di Fontanarossa è stato deciso la chiusura dello scalo in via precauzionale.

Durante la serata in concomitanza con il tramonto lo spettacolo è stato osservato da centinaia di persone che ha regalato una vigilia di Natale davvero particolare. Sulla costa ionica reggina si è creato uno spettacolo davvero incredibile! Gli utenti del web si sono scatenati nell’immortalare questo fenomeno, tanto strano quanto anche raro. Infatti  queste nubi chiamate “nubi lenticolari” si possono ammirare solo grazie ad alcune situazioni e coincidenze climatiche. Ma vediamo perchè;

Le Nubi Lenticolari (nuvole a forma di lente) hanno solitamente origine orografica e sono associate ad onde presenti in atmosfera e a sottili strati d’aria molto umida. Quando un rilievo o una catena montuosa costringono un flusso d’aria a salire per superarne i pendii, questa, essendo in ascesa, solleva lo strato di aria umida facendola condensare sulla cresta della montagna (nube a lente). Superato l’ostacolo, l’aria ridiscende per ritornare alla quota originaria. Tuttavia, se l’atmosfera è molto stabile, l’aria, prima di riprendere la quota di equilibrio, genera, per inerzia, una serie di oscillazioni (onde) che producono nubi lenticolari ben oltre il rilievo montuoso.

Il fenomeno è simile ad un pendolo che continua ad oscillare fino a che non arriva alla posizione verticale. L’intenso colore rosso arancio, invece, è dovuto al fenomeno di “scattering” ovvero: quando la luce del sole attraversa strati più densi di aria (come al tramonto) vengono diffusi, oltre ai colori blu, anche colori di maggior lunghezza d’onda. Ciò comporta una maggior diffusione dei colori rossi ed arancio.

Gli altocumuli lenticolari prodotti dalle “onde orografiche” sono molto comuni sulla dorsale appenninica quando scorrono forti flussi sud-occidentali, sulle Alpi in presenza di un intenso “getto” in quota da nord-ovest o da Nord, e sui rilievi interni della Sardegna e della Sicilia quando si attivano impetuose correnti occidentali o nord-occidentali nella libera atmosfera (850 hpa).

Sull’Etna, come sulle vette più alte delle Madonie, Nebrodi e Aspromonte, si generano solitamente quando si verificano intensi scorrimenti umidi dai quadranti occidentali, spesso corrispondenti in quota con il passaggio di un ramo secondario del “getto polare”. La loro formazione indica che in quel punto si è originata l’”onda orografica” con le annesse turbolenze atmosferiche.

Per approfondire http://www.meteoweb.eu/2012/05/affascinanti-nubi-lenticolari-coprono-la-cima-delletna-si-tratta-del-fenomeno-delle-onde-orografiche-vediamo-cosa-sono/133682/#GpYAcCrVSje7JKpH.99

Si ringraziano gli autori delle foto

Buon Natale a tutti i nostri lettori !!!

Il Narcissus Tazetta; storia di un fiore antico e sacro

Il Narciso era già noto agli antichi Egizi, ai Greci e ai Latini. Il nome Narciso, dal latino “narcissus” e dal dal Greco NARKAO “ναρκόω”, che significa: “stordire, intorpidire, fare addormentare,” da cui deriva anche la parola italiana “narcotico”, in riferimento al fatto che il suo forte profumo è capace di stordire. Nell’ antica Grecia il Narciso era noto perchè si credeva che avesse proprietà tranquillanti, anestetiche e antidolorifiche quindi era capace di stordire. Da qui la derivazione della parola “narcotico“. Gli egizi decoravano i propri defunti. Infatti, fiori di Narciso sono stati ritrovati nelle loro tombe in ottimo stato di conservazione dopo oltre 3000 anni.


Normalmente il Narcissus Tazetta alle nostre latitudini fiorisce da Dicembre fino a Febbraio, alcune volte anche anticipando le sue fioriture a Novembre. Non è ancora una pianta del tutto scomparsa, ma secondo il Prof. Domenico Minuto  “è un fiore che andrebbe tutelato per la sua straordinarietà” .

Con questo articolo spiegheremo le caratteristiche, la storia, gli impieghi e le proprietà ed organolettiche del fiore di Narcissus allo scopo di porre l’attenzione dei nostri lettori atta a favorire politiche di conservazione e tutela di una pianta così bella quanto affascinante.

Il Narciso è uno dei fiori più celebrati nella mitologia greca e romana. Per gli antichi Greci, Narciso era un giovinetto figlio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope.  All’ età di quindici anni, bellissimo e ambiguo, era desiderato da giovani e fanciulle, che però lui respingeva perché non ritenuti all’ altezza. Ma l’ora del castigo venne quando uno dei suoi tanti innamorati implorò gli Dei sperando che si innamorasse anche lui ma che non possedesse chi lo amava. Un giorno, inseguendo un cervo, si specchiò nell’acqua e non riconoscendosi, si invaghì di se stesso; in seguito scoprì la verità struggendosi nell’ impossibile amore tanto da desiderare di uscire dal proprio corpo. Finchè, non decidendosi a darsi ad alcun spasimante, in quanto quello che desiderava era in lui, morì di consunzione. Quando le ninfe iniziarono a preparare il feretro e il rogo si accorsero che il corpo del giovinetto era sparito e in sua vece nel posto era sbocciato un fiore con i petali bianchi e giallo al centro.

Ovidio, nel libro III° delle Metamorfosi, racconta il mito di Narciso:

Narciso nacque da Liriope, la ninfa di fonte che, per la sua bellezza, fu rapita dal dio fluviale Cefiso e che, cingendola con le tortuose correnti dei suoi corsi d’acqua, la violò. La ninfa diede alla luce un bambino d’eccezionale fascino che chiamò Narciso. Preoccupata per il suo futuro, la neo-mamma consultò il veggente cieco Tiresia per sapere se il fanciullo avesse raggiunto la tarda vecchiaia. Tiresia così rispose: “Se non mirerà mai se stesso”. Al sedicesimo anno d’età Narciso era un giovane di tale avvenenza che molti ragazzi s’innamorarono di lui. Egli, indifferente, preferiva passare le giornate cacciando in solitudine. Tra gli spasimanti, la più incalzante era la ninfa Eco. Lei era stata punita da Giunone perché, tutte le volte che avrebbe potuto sorprendere sui monti le ninfe concubine di Giove, astutamente, la distraeva intrattenendola con lunghi discorsi aiutando le ninfe a sfuggire alle ire della dea gelosa. Quando Giunone si accorse dell’inganno disse: “Di questa lingua che mi ha ingannato potrai disporre solo in parte. Ridottissimo sarà l’uso che tu potrai farne”.

Eco, perciò, non poteva fare uso della propria voce se non per ripetere l’eco delle ultime parole che udiva. Quando incontrò Narciso e se ne innamorò, era già priva della parola. Eco lo scorse mentre Narciso cacciava i cervi in una foresta. La ninfa, che non sa tacere se si parla, ma nemmeno sa parlare per prima, cominciò a seguire le sue orme. Narciso, insospettito, si mise ad urlare: “C’è qualcuno”? Eco ripeté: “Qualcuno”. Stupito, egli scrutò tutti i luoghi, gridò a gran voce: “Vieni!”. Non mostrandosi nessuno, continuò: “Perché mi sfuggi”! Quante parole diceva, altrettante ne riceveva per risposta. Insistette e, ingannato dal rimbalzare della voce,“Qui riuniamoci” esclamò, ed Eco, che a nessun invito mai avrebbe risposto più volentieri, ripeté “Uniamoci”. Allegramente, balzando fuori del cespuglio, tentò di abbracciarlo. Narciso la respinse allontanandosi precipitosamente e lasciando ECO che, lamentandosi, continuava ancora a ripetere le ultime parole dette da lui. Afflitta e amareggiata, la bella ninfa vagò e, consumandosi per struggimento d’amore e di rimpianto, svigorì nel corpo. Non restarono che la voce e le ossa. La voce esiste ancora ed ovunque si può sentirla: è il suono che vive in lei e che ancora fa ECO nelle valli solitarie ripetendo le ultime sillabe delle parole pronunciate dagli umani. Le ossa, tramutate in sassi, sono state deposte vicino ad uno specchio d’acqua. La dea Nemesi, istigata da uno degli amanti respinti, alzando al cielo le mani, profetizzò: “Che possa innamorarsi anche lui e non possedere chi ama”!
Nel bosco c’era Liriope, la fonte dalle acque limpide, argentee e trasparenti che mai pastori, caprette o altre bestie avevano toccato, che nessun uccello, fiera o ramo staccatosi da un albero avevano intorbidato. Attorno c’era un prato e un bosco che mai avrebbe permesso al sole di scaldare il luogo. Il giovane Narciso, spossato dalle fatiche della caccia, affascinato dalla bellezza del posto, qui venne a sdraiarsi per bere l’acqua della sorgente, ma, mentre cercava di calmare la sete, attratto dall’ immagine che vide riflessa, restò incantato e s’innamorò di una chimera: di un corpo che, però, era solo un’ombra. Dapprima non riconobbe se stesso, poi capì: “Io sono te“. Egli si lamentava poiché non riusciva a stringere e a toccare l’immagine. Ai suoi lamenti rispondeva solo la ninfa Eco che, nascosta nel bosco, li ripeteva. Neanche il bisogno di cibo e di riposo riuscì a staccarlo di lì. Disteso sull’erba, fissava con lo sguardo inappagato quella forma che l’ingannava. Poi, sollevandosi un poco, tese le braccia al bosco dicendo: “[…] Esiste mai amante, o selve, che abbia più crudelmente sofferto? Mi piace, lo vedo; ma ciò che vedo e che mi piace non riesco a raggiungerlo: tanto mi confonde amore. Un velo d’acqua ci divide! E lui, sì, vorrebbe donarsi: ogni volta che accosto i miei baci allo specchio d’acqua, verso di me si protende offrendomi la bocca. Diresti che si può toccare; un nulla, sì, si oppone al nostro amore. Chiunque tu sia, qui vieni! Perché m’illudi, fanciullo senza uguali? Io, sono io! Ho capito, l’immagine mia non m’inganna più! Per me stesso brucio d’amore, accendo e subisco la fiamma!” Resosi conto dell’impossibilità di amare e di baciare l’immagine di sé riflessa nella superficie d’acqua, Narciso si lasciò morire. “[…] Ormai il dolore mi toglie le forze, e non mi resta da vivere più di tanto: mi spengo nel fiore degli anni […]”.  Si avverava la profezia di Tiresia.  Allorché le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per dargli degna sepoltura, scoprirono un bellissimo fiore dai petali dal colore dello zafferano col capo chinato sull’acqua alla ricerca del proprio riflesso. A quel fiore fu attribuito il nome Narciso. Lo scrittore greco Pausania ha raccontato che il Narciso esisteva già prima del personaggio di Ovidio visto che il poeta epico Pamphos, vissuto molto anni prima, nei suoi versi ha narrato che Persefone, quando fu rapita da Ade, stava raccogliendo dei fiori di Narciso.

Da questa narrazione si evince che nel linguaggio dei fiori il Narciso è il simbolo “degli egoisti e delle persone piene di sé”. Indica, pertanto, “vanità, egoismo, incapacità di amare”. Diversa è la simbologia orientale. In Cina il Narciso è simbolo di “prosperità e di felicità” ed è donato in segno augurale di buon anno.

Nella Bibbia ad esempio il Narciso e il Giglio, per i loro colori chiari e luminosi, sono simbolo solare di “rinascita” e raffigurano la primavera. Salomone, nel Cantico dei Cantici ( 2,1), nel Colloquio fra gli sposi scrive: “Io sono un narciso di Saron, un giglio delle valli. Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle”.  Nel nuovo Israele Isaia (35-1,2) scrive: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saròn. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio”.

Secondo la tradizione, Narciso, era un santo di Gerusalemme che visse oltre cento anni e ricordato per aver compiuto il miracolo della conversione dell’acqua in olio necessario per alimentare le lampade della sua chiesa. Il suo onomastico ricorre il 29 di ottobre.

Il genere Narcissus comprende 40 specie di piante bulbose appartenenti alla famiglia delle Amaryllidaceae e originarie dell’Europa, dell’Africa settentrionale, del Giappone e della Cina dove fu introdotto nell’ottavo secolo attraverso la via della seta. Italia, Spagna e Portogallo sono i Paesi dove è più facile trovare Narcisi allo stato spontaneo presenti in una vasta gamma di habitat. Le specie selvatiche  spesso abbondano nei prati e nei boschi umidi di pianura e di montagna fino a 2000 metri La coltivazione del Narciso è iniziata intorno al XVI secolo in Inghilterra e in Olanda. Ancora oggi le due nazioni, insieme agli Stati Uniti, sono le maggiori produttrici di Narcisi. I Narcisi si ibridano tra loro con gran facilità e le numerosissime varietà di ibridi di tanti colori hanno originato uno dei generi di bulbose più coltivate. In passato, e questo fino agli anni ’80 vi era una piccola filiera di commercio per l’industria profumiera che nel sud Italia (in particolar modo nel Reggino) ha rappresentato una piccola fonte di reddito in seguito decaduta sul mercato della richiesta a causa dell’invenzione  di materie chimiche che sostituirono la raccolta a mano delle donne che si recavano nelle campagne ogni mattina per raccogliere i piccoli fiorellini che dalle nostre parti spesso venivano soprannominati con il termine di “Pasta e Ciciri” – tradotto = (Pasta e ceci).

Sono belle storie, che ci raccontano secoli di storia legate alle credenze, alla mitologia che in noi suscitano molte suggestioni. La Calabria profumata di cui andar fieri era il giardino perfetto per i nostri antenati greci che la resero una vera e propria serra naturale, ideale per la produzione di materie prime ed olii essenziali così come oggi noi conosciamo per il Bergamotto divenuto in poco tempo un’industria fiorente della fascia Jonica reggina compresa tra Reggio Calabria e Gioiosa Jonica, ma di questo prezioso frutto ve ne parleremo al prossimo articolo.

 

 

Un “Cocomero” dai poteri speciali !

Succede che a volte, quando si cammina in campagna, ci si imbatte in certe stranezze della natura che quasi passano inosservate ai nostri occhi, ma che in realtà nascondono una storia alle spalle davvero incredibili.

La nostra terra, ricca di biodiversità alle quote basse e alle quote più alte, offre numerosi incontri di questo tipo. Oggi vogliamo trattare questa simpatica pianta molto comune sulle zone collinari e pianeggianti, lo facciamo con un approccio “quasi scientifico” soltanto per informare i nostri lettori sull’importanza di alcune specie che spesso sembrano passare in secondo piano alla vista, ma che raccontano secoli e secoli di storie, proprio perchè conosciute già in epoca magno-greca, furono infatti i più grandi filosofi botanici dell’epoca a scoprirne i loro usi ed i loro utilizzi nella cultura popolare che divennero ben presto molto in voga in campo della medicina popolare fino al nostro medioevo anche in Calabria “MAGNA GRECIA”.

Ovviamente non invitiamo i nostri lettori a sperimentarne i benefici qui descritti se non attraverso prescrizione medica!

Nome scientifico: Ecballium elaterium A. Rich.
Nomi in italiano: cocomero asininoelaterio.
Nomi dialettali neretini: cucùzza pacciasputa velenu.

Appartiene alla famiglia delle Cucurbitaceae, la stessa del melone, cetriolo, zucca e zucchine. E’ presente nei Paesi del Mediterraneo ed in Italia si trova facilmente a diverse altitudini: dal mare (lungo le coste) fino alle zone collinari, risultando più diffusa soprattutto nel Meridione. È una specie erbacea perenne a fusto strisciante lungo più di 1mt. con rami brevi, eretti, piuttosto grossi e carnosi. Il fusto è coperto di peli rigidi di colore biancastro che lo rendono ruvido al tatto. Le foglie, alterne, sono lungamente picciolate e presentano una lamina di forma ovale allungata. La base fogliare è inciso-cordata, l’apice acuto, il margine fogliare è dentellato. Anche la foglia presenta una superficie scabra per la presenza di ispidi peli. I fiori (fioritura da maggio a Settembre) sono disposti all’ascella delle foglie, suddivisi in due sessi: i maschili sono raggruppati in piccoli racemi, i femminili invece sono solitari e presentano un peduncolo eretto e molto allungato, che dopo la fecondazione continua a svilupparsi fino a incurvarsi bruscamente alla sommità. I frutti sono bacche ovoidali, verdi, ruvidamente pelosi, lunghi fino a 5 cm, a forma di cetriolo, particolarmente amari di sapore, che contengono numerosi piccoli semi bruni; questi frutti sono dotati di un particolare meccanismo di disseminazione: basta una leggera pressione perché essi si stacchino dai loro peduncoli e scaglino lontano il loro contenuto, costituito da semi e da un liquido amaro, fortemente irritante per la pelle. Alla maturità, infatti, il frutto tende a staccarsi dal peduncolo: alla sua inserzione si forma un’apertura rotonda dalla quale, per la forte pressione interna, vengono proiettati a distanza i semi e un liquido dal sapore amarissimo. La singolarità del sistema “eiaculatorio” di dispersione dei semi nel cocomero asinino risponde ad un’esigenza ovvia per una pianta ecologicamente aggressiva che vive in un habitat abbastanza arido e incolto: far crescere le piante figlie il più lontano possibile dalla pianta madre, al fine di evitare competizioni fratricide per suolo ed acqua e per estendere al massimo il controllo del territorio. Il meraviglioso meccanismo previsto da madre natura prevede una serie di sistemi ad orologeria e la produzione finale di un ordigno esplosivo a pressione con annessa canna ad anima liscia! Il sistema di propulsione incorporato abbina il turgore cellulare, l’osmosi e una morfologia apposita, combinando aspetti legati alla forma ed alla disposizione dei tessuti con la tipologia e la localizzazione di sostanze chimiche ben precise.

L’etimologia del termine “Ecbàllium” deriva del verbo greco ekbàllein = lanciare fuori, elatèrium è la trascrizione del neutro (elatèrion) dell’aggettivo, sempre di origine greca; elatèrios/elatèrion  che  significa “che respinge o allontana” e, come termine medico, “purgativo”; proprio il neutro elatèrion, con valore sostantivato. La nostra pianta infatti fu citata, fra le altre da Ippocrate (V°-IV° secolo a.C.), e da Teofrasto (IV°-III° secolo a.C.).

Anche Plinio (I° secolo d.C.) ne racconta i suoi miracolosi effetti in medicina nei suoi manoscritti troviamo testualmente questa nota:

“Abbiamo detto che c’è il cocomero selvatico, molto più minuscolo di quello coltivato. Da esso si ricava un medicamento che si chiama elaterio col succo spremuto dal seme e se non viene colto per tempo il seme schizza con pericolo pure per gli occhi. Colto poi viene messo da parte per una notte, il giorno successivo viene inciso con una canna e il seme viene cosparso di cenere per assorbire l’abbondanza di succo; una volta spremuto viene trattato con acqua piovana e si fa depositare, poi viene essiccato al sole per preparare pastiglie molto usate dagli uomini contro i difetti e le malattie degli occhi, le ulcere delle guance. Dicono che una volta toccate le radici delle viti da questo succo gli uccelli non beccano l’uva. La radice poi cotta in aceto viene applicata sulle manifestazioni gottose e col succo si cura il mal di denti, secca mista a gomma sana l’impetigine e la scabbia e quelle malattie che chiamano rogna e eczemi, la parotite, gli ascessi e restituisce alle cicatrici il colore naturale della pelle e il succo delle foglie con aceto viene instillato negli orecchi sordi. La stagione dell’elaterio è l’autunno e nessun medicamento dura più a lungo. Si comincia ad usare dopo che è invecchiato tre anni. Se uno vuole usarlo più fresco tratti prima le pastiglie con l’aceto a fuoco lento in un vaso di creta nuovo. Tanto è migliore quanto più è vecchio ed è stato già conservato per duecento anni, come scrive Teofrasto e fino a cinquanta spegne la luce delle lucerne. Ne è prova il fatto che se è accostato al lume lo fa sfavillare sopra e sotto prima che lo spenga. Quello pallido e leggero è migliore dell’erbaceo e grossolano e lievemente amaro. Ritengono che il seme legato alla donna aiuti il concepimento a patto che non tocchi terra e che legato in lana di montone alle reni della donna, senza che lei lo sappia, facilita il parto; ma subito dopo il parto dev’ essere portato fuori di casa. Coloro che esaltano il cocomero dicono che il migliore nasce in Arabia, poi in Arcadia; altri dicono che a Cirene il cocomero simile all’ elitropio cresce tra rami e foglie fino alla grandezza di una noce e che il seme poi è ricurvo come la coda di uno scorpione, ma bianco. Alcuni infatti chiamano il cocomero scorpione essendo efficacissimi il seme e l’elaterio contro il loro morso e per purificare  la matrice l’intestino. La dose in rapporto alle forze vada mezzo obolo ad uno intero; una dose più elevata è letale. Così si beve contro la ftiriasi [infestazione da piattole] e l’idropisia. Applicato con miele o olio vecchio sana le angine e le arterie”.

Come abbiamo visto il Cocomero Asinino era ben noto agli antichi Greci e Romani, viene infatti citato anche nei testi di Ippocrate e di Dioscoride. Nei secoli successivi però questa pianta, altamente tossica se non utilizzata alle dosi terapeutiche, fu per lungo tempo abbandonata. Nel XIX sec. il cocomero asinino venne nuovamente studiato e utilizzato come purgativo, soprattutto in Inghilterra: nella farmacopea inglese rimase presente fino ai primi anni di questo secolo. Il principio attivo di quest’erba costituito dalla elaterina (ne contiene di due tipi, elaterina Alfa e elaterina Beta), una sostanza particolarmente potente e potenzialmente tossica, se non usata in dosi severamente controllate. L’uso incontrollato dei liquidi della pianta, anche solo per contatto, può causare fastidiose infiammazioni alle mucose, sia all’interno della bocca che agli occhi e, se ingerito, il succo della pianta può provocare seri disturbi gastrointestinali.

Altro che pazza la nostra zucca! pensate che qualche decennio fa il suo prezzo sul mercato era diventato addirittura, un simbolo dell’aumento dei prezzi!

Perciò, quando vi capiterà di imbattervi in questa pianta, oltre che stare attenti, avrete la consapevolezza dell’alto valore medico che questa umile pianticella possiede, e forse non passerà più tanto inosservata ai vostri occhi.

 

Fonti: Fondazione Terre d’OtrantoAmicoMario 
Rielaborazione testo: Carmine Verduci

 

 

Escursione di fine anno alla Torre di Galati

Escursione ad anello di fine anno alla Torre di Galati (Brancaleone), un entusiasmante viaggio alla scoperta del patrimonio storico-culturale e naturalistico, dell’entroterra Brancaleonese. Una delle tappe più ambite dal progetto, perchè sarà periodo ideale per apprezzare, la flora tipica di queste zone, con l’esplosione delle fioriture di Narcissus Tazzetta e non solo… come poche volte all’anno succede, la Torre viene aperta al pubblico.

Nella giornata di Domenica 23 Dicembre ci si ritroverà nella piazzetta della Chiesa Maria SS Addolorata di (sulla SS106), da qui divideremo le automobili in due gruppi e partiremo dal Cimitero dove un sentiero su strada mulattiera ci condurrà tra le campagne dell’entroterra a caccia dei Narcisi selvatici che in questo periodo sono in piena fioritura fra i prati verdeggianti di queste colline aride e steppose.

Dopo circa 50 minuti di cammino arriveremo ai ruderi della chiesetta bizantina di Galati, e poco distante maestosa si erge la Torre Galati del 1600. Una volta giunti sul posto visiteremo la torre nel suo complesso (anche interno) e conosceremo la storia e le vicissitudini legate alla funzione che ha avuto la torre nei vari secoli.

Il percorso del ritorno giungerà al ristorante “il padre eterno” dove sosteremo per il pomeriggio, raggiungeremo le nostre auto parcheggiate presso la località del cimitero di Galati (punto di partenza) eseguendo un transfert con le auto dei partecipanti.

PROGRAMMA:

ORE 09:00 INCONTRO/RADUNO PIAZZALE CHIESA MARIA SS ADDOLORATA DI GALATI
ORE 09:30 INIZIO ESCURSIONE DA LOC. CIMITERO DI GALATI
ORE 13:00 PRANZO PRESSO RISTORANTE “IL PADRE ETERNO” DI GALATI
ORE 16:00 circa TRASFERIMENTO IN AUTO E RIENTRO

*il programma potrà subire delle piccole variazioni a seconda delle esigenze organizzative, si valuterà nel corso della giornata la possibilità di fare l’escursione “ad anello” oppure a “bastone” .

 

SCHEDA TECNICA:

Difficoltà: T (Turistica)
Lunghezza percorso: 4km (ad anello) A/R
Percorso: trade mulattiere sterrate
Presenza d’Acqua: NO
Durata complessiva: 4h soste incluse

 

ATTREZZATURA CONSIGLIATA:

Scarpe da trekking, k-way, impermeabile, abbigliamento a buccia adatto al periodo, cappellino, acqua (almeno 1,5lt), zaino, snack, macchina fotografica.

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE: 5€ (per i non soci)

QUOTA PER IL PRANZO: 20€ (a base di prodotti tipici del periodo)

 

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA !!!!
ENTRO IL 20 DICEMBRE AL NUMERO 347-0844564 (Carmine)

 

——–PER MOTIVI ORGANIZZATIVI LE ADESIONI SONO LIMITATE ——-

  • in caso di condizioni meteo avverse l’escursione sarà rinviata a data da destinarsi e/o comunque comunicata agli iscritti mediante la nostra Pagina Facebook “Kalabria Experience” o “Pro Loco Brancaleone (RC)” (tenersi sempre aggiornati)!
  • Non è prevista alcuna forma assicurativa, chiunque partecipa lo fa a titolo volontario escludendo l’organizzazione sin da subito per eventuali responsabilità civili o penali

 

 

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