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Le madonne, il sincretismo, la favola e la leggenda di Polsi

I nostri antenati sapevano che nell’ora del passaggio ad altra vita dovevano dire una volta arrivati negli inferi: “la mia stirpe è celeste e voi lo sapete”, e dopo dovevano seguire le seguenti raccomandazioni:
1. Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte,
2. E accanto ad essa eretto un bianco cipresso:
3. A questa fonte non avvicinarti neppure.
4. Ma ne troverai un’altra, la fredda acqua che scorre
5. Dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi.
6. Dì’ “Son figlia della Terra e del Cielo stellato”
7. Urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi.
8. Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto.
9. La fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”.
10. Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina.
11. E dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana.
12. A Mnemosyne è sacro questo (testo)

Per il mystes la Madonna di Porzi e i Mysteria sono “un’interazione tra due mondi”

La ricorrenza, la Croce, la Madonna e la lotta contro gli dei del passato.

Era il 21/11/1114 quando il pastore di Delianuova avendo smarrito un torello,lo ristrovò nel comune di Potàmia , in ginocchio dove aveva scavato con le corna e le zampe , una strana croce. A questo punto apparse la Madonna e disse al pastore di portare la naotizia al mondo intero, e che li, avrebbero dovuto edificare una chiesa (la chiesa fu terminata nel 1144) una lapide oggi coperta dall’ intonaco sopra la porta così recitava:  “POSTQUAM- ERUIT-ADORAVIT. A 1144″
Nasce così Polsi, dai troppi nomi, ma il nome popolare era ed è PORSI. L’etimo di Porsi si perde nelle disgressioni dei vari studiosi, che a fatica hanno cercato il significato, ora dal greco, ora dal latino.

La croce di Porsi è molto strana e non trova equivalenti, se non nello stile e nella cultura degli Armeni. Ma c’erano gli Armeni qui? Si c’erano, erano in molti e ci hanno lasciato tantissimo. Molti cognomi, e tra questi Armeno ed Armeni che troviamo a Potàmìa fino al 1500, vocaboli, come balaghoggu, trasformato ora in barancoccu, tarra, bagianaru.
Ma è il toponimo Porsi che rende ancora piu’ marcato il significato armeno. Porsi. Letteralmente scavato con corna. Ma se la festa riguardava il ritrovamento della croce, com’è stata trasformata nella festa della Madonna?


I motivi sono molteplici e uno soprattutto, la gara tra i miti, le credenze arcaiche e il Cristianesimo che avanzava. Bisogna ricordare che nell’ anno mille c’erano popolazioni ebree, cristiane e molte che ancora adoravano le antiche divinità Greco-Romane.
Poi c’era un fenomeno di “incontro culturale” formatosi sul sincretismo religioso che metteva tutti d’accordo sull’ adorazione politeistica. Ma a Porsi imperava la dea più importante, colei che si trasforma di volta in volta da dea greca, in quella romana, fino a che non si è deciso di fermare il culto pagano anteponendo la Madonna ai miti, leggende credenze arcaiche. Ma i misterya greci son duri a morire!

I Misteri sono legati a un mito riguardante Demetra, la dea dell’agricoltura e della fertilità raccontata nell’inno a Demetra degli inni Omerici. La sua datazione è controversa ma si ritiene sia certamente anteriore almeno alla metà del sesto secolo a.C.
Persefone (detta anche Kore, “fanciulla”), figlia di Demetra, viene rapita da Ade, dio degli inferi: mentre raccoglie dei fiori nella piana di Nysa, insieme alle sue compagne, figlie di oceano, dal prato fiorito spunta un narciso di straordinaria bellezza. Persefone, immersa in un sacro stupore , protende le mani per raccogliere il meraviglioso fiore quando dalla base del narciso si apre una voragine da cui emerge il re dei morti. Persefone con l’arrivo della cultura romana.

La Sibilla abitava in un palazzo incantato all’interno dell’Aspromonte (dove ancora ella vive). Questo palazzo, situato nelle profondità ctonie, aveva una caratteristica molto particolare, una forma “originalissima” di accoglienza: il portone invitava ad entrare e la sedia a sedersi ed il letto diceva: <<coricatevi>>, chi entrava non usciva più, in esso ella insegnava alle fanciulle.
La Dea Maga (che voleva essere la madre di Dio), domandava spesso alle piccole discepole che cosa avessero sognato; e la Madonna rispose; che aveva sognato che un raggio di sole l’aveva traversata da destra a sinistra. Allora la Sibilla divenne cattiva, perché comprese che la madre di Dio sarebbe stata la ragazza e non lei. Tutto questo ha l’importanza dell’appartenenza plurimillennaria ai Mysteria di cui non è stato facile sbarazzarsi neanche con il cristianesimo e i suoi miracoli.


I misteri eleusini erano riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica città greca di Eleusi. Sono il “più famoso dei riti religiosi segreti”
I misteri rappresentavano il mito del rapimento di Persefone dalla madre Demetra da parte del re degli inferi Ade, in un ciclo a tre fasi; la discesa, la dimora, la risalita (come il grano che cade nella terra e poi si rigenera, alla loro base vi era un antico culto agrario, e ci sono alcune prove che derivavano dalle pratiche religiose del periodo miceneo); la ricerca e l’ascesa, con il tema principale che è l’ascesa di Persefone e la riunione con sua madre.

Misteri orfici; la visione sapienziale orfica, in base a tutti i documenti che ci sono giunti, si radicava sulla asserita certezza (conseguita attraverso esperienze iniziatiche) che nel corpo dell’uomo abita un’anima immortale, capace sin da viva di conoscere il mondo divino da cui proviene e a cui tende a ritornare.

 

La croce non bastava per vincere le credenze e il sincretismo, ecco schierare le forze moderne della madonna, d’altronde è una guerra tra donne. Ma il fascino che ne determina non ha prezzo!

 

By Sebastiano Stranges

Approfondimento sui livelli di criticità e allerta della Protezione Civile Nazionale

Molte volte ci siamo chiesti in cosa consistono le allerte diramate dalla Protezione Civile Nazionale, da alcuni anni infatti e con l’intensificarsi dei fenomeni estremi in Italia sentiamo spesso parlare di allerte che hanno diverse indicazioni e gradi: Allerta verde, gialla, arancione o rossa.

Tutto questo sta ad indicare che un pericolo è imminente e questo serve ad avvertirci di un eventuale verificarsi di episodi climatici (o anche in alcuni casi vulcanologici) che possono mettere a rischio la nostra vita.

Molto spesso può anche verificarsi un passaggio da un livello di allerta ad uno successivo e questo può avvenire in anticipo rispetto al verificarsi delle fenomenologie, se le informazioni fornite dai Centri di Competenza lo consentono. In caso contrario, il passaggio può essere decretato a fenomeno osservato, quindi avvenuto o in corso. A questo proposito è utile sottolineare che il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività vulcanica, anche del tutto impreviste.

Occorre tener presente che alcune fenomenologie sono del tutto imprevedibili e improvvise, pertanto anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente. Quando si verificano questi eventi non necessariamente viene variato il livello di allerta, poiché si determina una condizione di “emergenza locale” che richiede l’attivazione della risposta operativa delle strutture territoriali di protezione civile.

Le allerte delineano scenari non facilmente localizzabili e con un margine di incertezza previsionale tale da rendere necessaria la prontezza della risposta operativa: scopo delle indicazioni del Capo del Dipartimento è proprio quello di spingere il sistema di protezione civile a migliorare sempre di più, e a farlo in modo omogeneo.

Ma andiamo in ordine e per gradi, per capire meglio il significato di ogni allerta, questo ci aiuterà anche a comprendere e capire se sussistono le condizioni per una escursione, una gita o un viaggio.

 

ALLERTA VERDE: Assenza di fenomeni significativi prevedibili, anche se non è possibile escludere a livello locale:
– (in caso di rovesci e temporali) fulminazioni localizzate, grandinate e isolate raffiche di vento, allagamenti localizzati dovuti a difficoltà dei sistemi di smaltimento delle acque meteoriche e piccoli smottamenti;
– caduta massi

 

ALLERTA GIALLA: Occasionale pericolo per la sicurezza delle persone con possibile perdita di vite umane per cause incidentali.

Si possono verificare fenomeni localizzati di:
– erosione, frane superficiali e colate rapide di detriti o di fango in bacini di dimensioni limitate;
– ruscellamenti superficiali con possibili fenomeni di trasporto di materiale;
– innalzamento dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua minori, con inondazioni delle aree limitrofe, anche per effetto di criticità locali (tombature, restringimenti, occlusioni delle luci dei ponti, ecc);
– scorrimento superficiale delle acque nelle strade e possibili fenomeni di rigurgito dei sistemi di smaltimento delle acque piovane con tracimazione e coinvolgimento delle aree urbane depresse.
Caduta massi.
Anche in assenza di precipitazioni, si possono verificare occasionali fenomeni franosi anche rapidi legati a condizioni idrogeologiche particolarmente fragili, per effetto della saturazione dei suoli. Lo scenario è caratterizzato da elevata incertezza previsionale. Si può verificare quanto previsto per lo scenario idrogeologico, ma con fenomeni caratterizzati da una maggiore intensità puntuale e rapidità di evoluzione, in conseguenza di temporali forti. Si possono verificare ulteriori effetti dovuti a possibili fulminazioni, grandinate, forti raffiche di vento.
Si possono verificare fenomeni localizzati di:
– incremento dei livelli dei corsi d’acqua maggiori, generalmente contenuti all’interno dell’alveo. Anche in assenza di precipitazioni, il transito dei deflussi nei corsi d’acqua maggiori può determinare criticità.

 

ALLERTA ARANCIONE: Pericolo per la sicurezza delle persone con possibili perdite di vite umane.

Si possono verificare fenomeni diffusi di:
– instabilità di versante, localmente anche profonda, in contesti geologici particolarmente critici;
– frane superficiali e colate rapide di detriti o di fango;
– significativi ruscellamenti superficiali, anche con trasporto di materiale, possibili voragini per fenomeni di erosione;
– innalzamento dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua minori, con fenomeni di inondazione delle aree limitrofe, anche per effetto di criticità locali (tombature, restringimenti, occlusioni delle luci dei ponti, etc.).
Caduta massi in più punti del territorio. Anche in assenza di precipitazioni, si possono verificare significativi fenomeni franosi anche rapidi legati a condizioni idrogeologiche particolarmente fragili, per effetto della saturazione dei suoli
Lo scenario è caratterizzato da elevata incertezza previsionale. Si può verificare quanto previsto per lo scenario idrogeologico, ma con fenomeni caratterizzati da una maggiore intensità puntuale e rapidità di evoluzione, in conseguenza di temporali forti, diffusi e persistenti. Sono possibili effetti dovuti a possibili fulminazioni, grandinate, forti raffiche di vento.
Si possono verificare fenomeni diffusi di:
– significativi innalzamenti dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua maggiori con fenomeni di inondazione delle aree limitrofe e delle zone golenali, interessamento degli argini;
– fenomeni di erosione delle sponde, trasporto solido e divagazione dell’alveo;
– occlusioni, parziali o totali, delle luci dei ponti dei corsi d’acqua maggiori.
Anche in assenza di precipitazioni, il transito dei deflussi nei corsi d’acqua maggiori può determinare criticità.

 

ALLERTA ROSSA: Grave pericolo per la sicurezza delle persone con possibili perdite di vite umane.

Si possono verificare fenomeni numerosi e/o estesi di:
– instabilità di versante, anche profonda, anche di grandi dimensioni;
– frane superficiali e colate rapide di detriti o di fango;
– ingenti ruscellamenti superficiali con diffusi fenomeni di trasporto di materiale, possibili voragini per fenomeni di erosione;
– rilevanti innalzamenti dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua minori, con estesi fenomeni di inondazione;
– occlusioni parziali o totali delle luci dei ponti dei corsi d’acqua minori.
Caduta massi in più punti del territorio
Si possono verificare numerosi e/o estesi fenomeni, quali:
– piene fluviali dei corsi d’acqua maggiori con estesi fenomeni di inondazione anche di aree distanti dal fiume, diffusi fenomeni di erosione delle sponde, trasporto solido e divagazione dell’alveo;
– fenomeni di tracimazione, sifonamento o rottura degli argini, sormonto dei ponti e altre opere di attraversamento, nonché salti di meandro;
– occlusioni, parziali o totali, delle luci dei ponti dei corsi d’acqua maggiori.
Anche in assenza di precipitazioni, il transito dei deflussi nei corsi d’acqua maggiori può determinare criticità.

 

LA TABELLA

 

Per approfondire:

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Molti le cose le dicono, solo pochi le fanno…

È facile riconoscere chi fa una cosa per passione da chi invece la svolge senza entusiasmo.
Nel 2010, mentre ero al mare, guardando l’orizzonte dissi a me stesso: “Cosa potrei fare io per il turismo di questa Regione?”.

Sin dagli albori dei social sono stato attivo, intuendo la forte potenzialità di comunicazione degli stessi, se ben sfruttata, e a tutt’oggi non c’è un social dove io non sia presente, compresi quelli all’ estero come Cina e Russia. Iniziai con alcune pagine dedicate a zone specifiche della Calabria, come la Costa dei Gelsomini, divulgando tutti i luoghi più interessanti da visitare, senza tralasciare la cucina calabrese, perché a mio giudizio un viaggiatore deve essere seguito in tutto, per dargli il meglio e farlo ritornare nello stesso posto anche già visitato.

Nel 2015, poi, entrando a far parte di @igworldclub, la più grande community di Instagram nel mondo, iniziai ad organizzare gli “Instameet Instagram” portando fotografi appassionati nei luoghi più belli della Calabria, cosi che con le loro meravigliose foto spopolassero su web con una comunicazione “massiva”. Negli anni successivi, dopo il mio incontro con Carmine Verduci di Kalabria Experience, insieme continuammo a far crescere in modo particolare tutta l’Area Grecanica, con decine di iniziative e con sempre maggiore presenza di persone alle escursioni che venivano organizzate.

Nel 2017 mi resi conto che era il momento di portare la comunicazione ad un livello più alto e pensai di sfruttare Google Maps con le sue grandi potenzialità. Oggi tutti abbiamo in mano uno smartphone e quando cerchiamo un luogo, un ristorante o altro usiamo Maps. il 27 Dicembre 2017 presentai alla stampa il Progetto “ Calabria 360°” ed inviai a Google tutte le zone che avrei voluto mappare. Passò del tempo, qualcuno mi disse anche “ non te lo manderanno mai”, ma con mia grande soddisfazione nel 2018 Google mi confermava che avrei avuto il “Trekker”, un’ attrezzatura molto sofisticata per la mappatura a 360°.
Mi ero già organizzato con le varie Pro Loco che tanto si adoperano per il loro territorio e tra ottobre e novembre 2018 abbiamo mappato alcuni tra i più bei siti dell’Area Grecanica e il percorso del Tracciolino sulla Costa Viola. Quando arrivò l’attrezzatura ci chiudemmo in una stanza con gli altri del Team per iniziare a capire come far funzionare quel “coso” che sembrava uscito dal film Star Wars. Insieme a Francesco Pezzimenti e Max Pedi, dopo averlo montato, eravamo felici come i bambini davanti al primo trenino!

Oggi chiunque può guardare in realtà virtuale questi luoghi. Se, ad esempio, volete andare a camminare sul Tracciolino, avrete la vostra guida personale seguendo Google Street View ed è giusto che sappiate che quel percorso lo ha tracciato il “Grande” Lino Cangemi, alpinista di Gioia Tauro che ha scalato i 7.000 mt. dell’ Himalaya. Quando visiterete Brancaleone Vetus, ad accompagnarvi ci sarà Carmine Verduci. Ammirando l’Arco dei Carafa a Bruzzano Zeffirio, sappiate che a tenere sulle spalle il trekker c’era Pino Martino della Pro Loco Bruzzano, mentre a Ferruzzano siamo stati io e Francesco Pezzimenti a mappare stradina per stradina del meraviglioso borgo della più bella “Ghost Town “della Calabria.
Il mio ringraziamento va anche a Pino Canzonieri della Full Travel per la logistica degli spostamenti del Team Calabria 360°. Pino da sempre è un Imprenditore che ha saputo innovare il concetto di “Turismo a 360° “ in una terra dove fare turismo di livello è davvero difficile.
Ma noi andiamo avanti. Abbiamo ancora molto da fare.

“Calabria 360° – Street View Trekker Loan Program EMEA”
Team Leader Maurizio Iori
Team 360°Massimiliano Pedi
Team 360° Francesco Pezzimenti

Ringrazio la Dott.ssa Anna Roberta Liccardi Responsabile del Progetto Google per tutta l’assistenza che ci ha dato in questi mesi.

GRAZIE MAURIZIO A NOME DI TUTTI NOI!

 

Carmine Verduci

Palizzi e le sue Baronie nei secoli

Quella di Palizzi è una storia controversa, fatta di nobiltà, successioni, vendite, controvendite, ma anche di ingiustizie, soprusi e inganni a danno sempre del popolo che ha retto un economia fiorente in tutto il circondario, dando da mangiare ai Nobili che si sono succeduti e spartiti i territorio nei vari secoli. Solo dal tardo medioevo e fino all’Ottocento le vicende legate al feudo di Palizzi e alle dinastie succedutesi, sono una rappresentazione soltanto sommaria di quanto emerge dagli studi opportunamente condotti, da qui ne emerge un quadro particolarmente sconcertante ed inverosimile.

Ma davvero siamo così attratti dall’importanza nobiliare dei nostri borghi? O è solo per una disattenta analisi della storia e delle vicissitudini legate ai centri infeudati?

Molti di noi sono sempre stati attratti dalla “nobiltà” di questi piccoli centri urbani e rurali, un tempo caratterizzati da famiglie nobili, baroni, principesse e nobili Signori che hanno edificato castelli e improntato politiche di successione abbastanza controverse. Attratti più dalla nobiltà piuttosto che dal loro potere, esercitato ingiustamente ai danno di una popolazione vessata dalla nobiltà che legiferava contro i sui sudditi ignari delle controversie interne cui questi Signori erano protagonisti.

Palizzi è un grazioso borgo che sorge a 270 mt sul livello del mare è un borgo tipicamente medievale che sorge alle propaggini sud orientali dell’Aspromonte, in piena area Grecanica. Caratteristica pittoresca di questo borgo è sicuramente il suo castello che sorge su una grande roccia che domina su tutto il paese affacciato sull’omonimo fiume Aléce conosciuto dai Greci come fiume Alex che fu confine tra le antiche Repubbliche di Locri e Reggio. Il borgo è sorto come tutti gli altri paesi verso l’interno rispetto alla costa e protetto dalle montagne perchè più difendibile dagli attacchi pirateschi e dalle pestilenze malariche dell’epoca. Secondo alcuni studiosi il nome stesso di Palizzi deriverebbe dal Greco Politsion “piccola città”, secondo altri deriverebbe dal Greco Polìscin, che  pare significhi “luogo ombroso”. Si hanno anche notizie di un approdo sulla costa, che fino al 1700 conservò il toponimo di “Porto Palitio” o “Palitii” come lo si evince da antiche mappe.

Le prime notizie indicano che intorno al 1300 risulta territorio feudale di Bartolomeo Busca al quale apparteneva anche il feudo di Bruzzano Vetere (Bruzzano Zeffirio). Nel 1322 il territorio di Palizzi fu acquistato da Guglielmo Ruffo (nota famiglia molto potente in Calabria) a seguito della morte del fratello maggiore Pietro e del suo figlioletto, Guglielmo ottenne dal Re Roberto D’Angiò l’assenso alla successione di beni paterni.

Nel 1334 Guglielmo sposa Caterina Crispai D’Alemagna (Dama di Corte della Regina) dalla quale ebbe 4 figli. I due mantennero ottimi rapporti con la corte Angioina di Napoli tanto che ricevettero molte onorificenze tra cui anche terre nella Contea di Alba e successivamente anche l’acquisto di Palizzi e Bruzzano Vetere. Guglielmo, rimasto vedovo di Caterina passò a seconde nozze con Luisa D’ Erville e nel 1335 fu nominato dal Re “Capitano Generale e Giustiziere della Calabria”. Da documenti emersi si evince che a seguito di questa prestigiosa investitura, Guglielmo ebbe a che fare con numerose controversie che lo videro protagonista di scandali e vicissitudini, tanto da essere anche scomunicato dall’Arcivescovo di Bova, perchè erano sorte molte controversie con la diocesi per interessi legati a terre e vari possedimenti. Da una parte il Ruffo voleva ottenere terre e quindi porre una sorta di egemonia territoriale rifacendosi poi sul duro lavoro del popolo i quali corrispondevano parte del ricavato di grani e produzioni agricole, dall’altra parte la Curia aveva interessi ad a mantenere ed espandere i propri interessi agricoli delle terre e dei possedimenti. Questo spesso metteva il popolo in contrapposizione ai Feudatari, e alla chiesa conveniva. Queste controversie nel 1329 si tradussero in una sorta di “pace” tra il Ruffo e la Diocesi di Bova grazie all’intervento del Re.

Erede di Guglielmo Ruffo fu il primogenito Enrico che andò a nozze con la nobildonna regina Giulia De Moleto, Enrico premorì al padre e lasciò in erede il figlio Antonio che fu molto contrastato dallo Zio Folco nella successione dei diritti paterni sulla Baronia di Palizzi ed altri possedimenti. Alla morte di Guglielmo la questione fu poi risolta dal Re Carlo III di Durazzo con la suddivisione tra i due pretendenti con la ripartizione dei possedimenti si vennero così a creare due aggregazioni feudali nel versante tirrenico e jonico, dunque a Folco Ruffo andarono Sinopoli, Santa Cristina, Solano, Sitizano, Fiumara del Muro, Calanna ad Antonello Ruffo andarono Palizzi, Brancaleone, Placanica, Bruzzano Vetere, Condojanni ed alcuni immobili di Reggio. La nuova linea feudale Palizzi-Brancaleone dei Ruffo durò quattro generazioni, durante tutto questo periodo avvennero forti tensioni per la successione del Trono di Napoli fra i Durazzo e gli Angiò di Provenza prima e gli Aragona dopo, infatti nel corso di questa lotta di successione al trono napoletano i vari rami dei Ruffo si schierarono almeno in un primo periodo su fronti differenti, per poi mutare a seconda dei loro interessi e tornaconti. Nonostante tutti questi conflitti il Signore di Palizzi morì non avendo eredi nonostante si fosse sposato due volte la prima delle quali con la cugina Luisa Ruffo di Sinopoli che non avendo figli il feudo fu ereditato dal fratello Enrico, al feudo di Palizzi mirava però il Conte Carlo di Sinopoli il quale fece istanza ad Alfonso il Magnanimo per avere in possesso (come risarcimento della dote della Zia Luisa) il feudo di Palizzi, si giunse poi ad un accordo tra i due pretendenti in base al quale Carlo rinunciò al Feudo conteso a favore di Enrico e questi in cambio abbandonò le fila Angioine per passare allo schieramento Aragonese al quale ormai aderivano tutti gli altri rami del casato.

L’alleanza fra i Conti di Sinopoli e di Palizzi fu sancita nel 1439 da un patto nuziale che prevedeva una serie di matrimoni tra i membri dei Ruffo di Calabria e della famiglia Centelles (famiglia siculo-catalana). Antonio Centelles si impegnò a prendere in moglie Enrichetta Ruffo Contessa di Catanzaro e Marchesa di Crotone, le sorelle dei Centelles Maria, Alvina, Elisabetta e Ramonetta avrebbero rispettivamente sposato Carlo di Sinopoli i suoi due figli Esaù e Nicolantonio ed il cugino Geronimo, figlio e successore di Enrico di Palizzi.

Geronimo Ruffo fu coinvolto dal cognato Antonio Centelles nella seconda rivolta divampata nel regno di Napoli contro la dinastia Aragonese nel 1458 poco dopo la successione ad Alfonso del figlio naturale Ferrante. Dopo tutte queste controversie delle due fazioni dei Ruffo il Feudo di Palizzi rischiò di essere sottratto ai Ruffo ma nel 1479 il Re di Napoli concesse a Bernardino Malda De Cardona (cognato di Antonello) la baronia di Palizzi sulla quale vantava dei diritti ereditari dal padre Berengario che derivavano dalla mancata restituzione della dote della sorella Beatrice della quale Antonello era rimasto vedovo senza figli. Nonostante le vicende che agitarono il casato dei Ruffo sul finire del secolo il Ruffo riuscì a recuperare Palizzi e Brancaleone che gli venne riconosciuto solo nel 1498 dal re Federico ma con l’obbligo di un versamento annuo pari a 3mila ducati alle casse regie. Con l’avvento al trono di Ferdinando il Cattolico nel 1507 Antonello Ruffo ebbe la conferma dei Feudi acquistati, nel frattempo la figlia Geronima si era sposata con Alfonso de Ayerbo d’ Aragona signore di Simeri. Alla morte di Antonello Ruffo nel 1515 il feudo di Palizzi passò in eredità alla figlia Geronima e al genero Alfonso de Ayerbo che la trasmise ai suoi discendenti, si passa così dai Ruffo che ebbero in feudo Palizzi per due secoli ai De Ayerbo d’Aragona.

Gli Ayerbo infatti erano arrivati nel mezzogiorno nella prima metà del quattrocento a seguito di Alfonso il Magnanimo impegnati nella lotta di successione al trono di Napoli. Dopo la morte del primogenito Ferrante figlio di Sancio De Ayerbo (signore di Simeri) fu ereditato da Alfonso (futuro signore di Palizzi). Alfonso non tenne a lungo la Baronia, nell’Ottobre del 1520 infatti, vedovo di Geronima morì e gli subentrò il figlio Michele che fu signore di Palizzi per un trentennio ovvero fino al 1548. Erede di Michele fu il figlio Alonso, questi attratto dalle politiche accentratrici del vicerè Pietro di Toledo non riuscì a far fronte alle spese sostenute nella capitale Napoli e si indebitò in modo smisurato, per cui fu costretto a vendere il feudo di Palizzi che fu acquistato con il “pacto de retrovendendo” da Troiano Spinelli (Marchese di Mesoraca e principe di Scalea).

In realtà il Pacto Retrovenendo era un sistema che consentiva di riavere la proprietà ripagandola al compratore della stessa somma entro un termine stabilito. Alonso infatti, riuscì a restituire a Giovanbattista Spinelli (figlio e successore di Troiano) il denaro avuto dal padre e rientrò in possesso di Palizzi. Negli anni seguenti però la situazione economica della famiglia si aggravò notevolmente e fu costretto a sua volta a vendere definitivamente i propri feudi compreso Palizzi.

Acquirente della baronia di Palizzi fu nel 1580 il Patrizio messinese Francesco Romano, il Romano infatti a Messina ricopriva notevoli cariche  di responsabilità, i suoi proventi infatti furono interamente investiti per l’acquisto feudale in Calabria in particolare sulla fascia jonico-reggina. Da Francesco Romano, Palizzi passò in feudo a Pompeo che non ebbe discendenti diretti, alla sua morte infatti il feudo di Palizzi passò al nipote Giacomo Colonna Romano (Marchese di Altavilla), a metà del ‘600 una grave recessione produttiva colpì la famiglia Romano e Colonna, infatti nel 1652 il marchese di Altavilla Giovanni Colonna (successore di Giacomo), essendo oberato di debiti, fu costretto dai creditori a vendere al maggior offerente il castello ed il feudo di Palizzi.

Nel 1662 fu la nobildonna Messinese Margherita Arduino ad acquistare la terra di Palizzi per 27mila ducati che lo ebbe fino al 1751, quando risulta essere stato acquistato dalla famiglia De Blasio i quali lo mantennero fino al 1806. Sempre da documenti emersi dagli archivi, risulta che nel 1866 il Barone Tiberio De Blasio decide di ristrutturare il castello di Palizzi (ad un anno esatto della morte del padre avvenuta proprio nelle sue stanze), infatti dopo la ricostruzione, il castello fu utilizzato come residenza estiva da Don Tiberio fino alla sua morte, avvenuta nel 1873 all’età di 46 anni. Durante la II guerra mondiale pare che Don Carlo de Blasio (detto Caramella) si trasferì per alcuni mesi nel castello di Palizzi a causa dei bombardamenti Americani sulla città di Reggio.

Tra gli anni 1950-1960 Ferdinando, utilizzò il castello nei mesi estivi con la moglie ed i suoi figli. Don Nandino provvide ad apportare piccoli restauri alla parte abitabile, che comunque risultarono insufficienti ad arrestare il progressivo lento ed inesorabile deterioramento della struttura, che oggi grazie ad lunghe e complesse opere di restauro, sembra stia tornando a rivivere per la gioia degli amanti dei borghi e dei castelli medievali.

Siete ancora convinti che le nobiltà siano state poi così importanti come nel caso di Palizzi? Potrei citare molti e molti altri paesi (feudi) dell’epoca che hanno subito le stesse vicissitudini come quelle Palizzi.

Io credo che conoscere le vicissitudini di un luogo sia importante per avere un quadro cronologico della politica del medioevo e per comprendere quanto questa ha inciso sulla storia e sugli uomini dei nostri paesi, oggi ridotti per la maggio parte dei casi in vere e proprie ghost town. Lo dobbiamo fare senz’altro per cogliere con profonda consapevolezza tutti quegli aspetti giurisdizionali che hanno caratterizzato il passato dei nostri paesi, non certo per millantare una certa borghesia che invece di dare, ha soltanto tolto, e a volte diciamolo pure, ha sottratto anche la libertà ai nostri antenati costringendoli in una “non vita” il tutto e solo per imporre dazi, diritti e soprusi di ogni genere.

Ad ogni modo Palizzi è sicuramente una delle mete che io consiglio di visitare senz’altro insieme al borgo di Pietrapennata. Luoghi dell’anima, dove il tempo sembra si sia fermato, dove il cielo, la terra ed il mare sembrano dipingere quadri incredibili di una insolita Calabria stupefacente!

 

Foto e testo © Carmine Verduci

Fonti: Giuseppe Caridi “Palizzi. Dal tardo Medioevo all’Ottocento” Ediz. Falzea (collana  Città di Calabria e di Sicilia) Anno di pubblicazione 1999)

 

 

Zungri (VV) “La piccola Cappadocia di Calabria”

C’è un luogo in calabria, dove all’improvviso ti sembrerà di essere in Cappadocia, stiamo parlando di Zungri in provincia di Vibo Valentia.

L’antico insediamento rupestre è un villaggio rupestre di straordinaria bellezza. Localizzato ai margini del nuovo abitato, in una zona che si chiama significativamente i Fossi, nome che compare, insieme a quello di Cavernoli, già nel 1586 negli scritti di Monsignor Del Tufo (Solano 1998), è stato in parte frequentato fino a tempi non lontani.

Secondo l’Archeologo Francesco A. Cuteri  l’uso più recente di alcune grotte ha solo in parte intaccato l’aspetto originario e così l’abitato si presenta come un insediamento in cui è ancora possibile cogliere tutta la complessità e la raffinatezza del vivere in grotta. Ci troviamo, infatti, in un ambiente antropizzato dove niente è stato lasciato al caso e dove la mano esperta dell’uomo, munitasi di scalpelli e di picconi a doppia punta, ha saputo immaginare e realizzare ambienti, percorsi, servizi in cui, non di rado, è stata raggiunta la perfezione tecnica e funzionale. Qui l’uomo, forse più che altrove, ha saputo, con ingegno, misurarsi costantemente con la natura ed ha ponderato, con grande esperienza, ogni attività.L’abitato, composto da oltre una cinquantina di grotte di diverse dimensioni e forma, si sviluppa lungo un ampio costone roccioso, detto anche degli Sbariati, che si affaccia sulla fiumara Malopera.

L’insediamento, articolato su più livelli, è attraversato da una scalinata tagliata nella roccia che presenta una canaletta, anch’essa scavata, funzionale alla raccolta delle acque. Alcune grotte si articolano su due livelli e molte conservano all’interno nicchie e numerosi altri elementi funzionali alle necessità del quotidiano. Talvolta l’esterno degli ingressi è impreziosito da incisioni che, imitando i portali in pietra, ne tracciano stipiti e archi. Accanto alle abitazioni, che conservano talvolta i segni di più recenti frequentazioni (forno da pane, muri in pietra, scale in legno), è possibile registrare la presenza di ambienti destinati al ricovero degli animali, altri ancora che conservano piani di lavoro, altri destinati alle attività produttive: è il caso di un piccolo palmento posto all’inizio dell’abitato e di una calcara, quasi interamente ricavata nella roccia. Ci sono, infine, delle fonti, una delle quali, scavata a mo’ di grotta, presenta una sorta di vasca lavatoio e una cisterna affiancata. L’abitato presenta in più parti strutture murarie realizzate con tecnica tarda. Queste, unitamente ad un certo numero di ambienti di forma rettangolare posti nella parte iniziale dell’insediamento, sono da riferire, come evidenziato anche da recenti interventi archeologici, all’età moderna. Quest’ultimo aspetto ci porta a trattare, seppur per sommi capi, la questione della cronologia dell’intero sito. Infatti, si è notata la tendenza, in letteratura, a voler riferire l’insediamento, nel suo insieme, all’età medievale o addirittura all’età bizantina. Ora, se da un lato è evidente che alcuni settori potrebbero essere riferiti al Basso medioevo, dall’altro è opportuno evidenziare quanto alcuni aspetti molto importanti: la strada principale del villaggio, quasi interamente scavata nella roccia, mostra in più punti di aver tagliato strutture con profilo a sacco da interpretare inequivocabilmente come silos; la presenza di fosse granarie, tagliate e riempite da porzioni di muratura, è attestata anche nell’area ora occupata dal nucleo di abitazioni in cui sono presenti tarde murature in pietrame;  anche la calcara, ancora di incerta datazione, è stata con tutta evidenza ricavata all’interno di un grande silos; le unità rupestri poste nel settore centrale dell’insediamento, ed in particolare quelle poste al livello più alto, sono state sempre interpretate come abitazioni fornite di un foro, posto alla sommità delle cupole, funzionale alla fuoriuscita del fumo. Anche in questo caso, invece, è evidente che ci trova in presenza di grandi silos successivamente trasformati, con il taglio regolare delle pareti e l’apertura di porte e finestre, in vere e proprie abitazioni. Le modifiche apportate alle strutture non consentono di stabilire con certezza se i silos fossero originariamente del tipo a sacco o a campana. Possiamo così affermare, in conclusione, che prima della realizzazione dell’insediamento, inteso come villaggio strutturato, l’intera area, interessata unicamente dalla presenza di silos, doveva apparire come un unico, grande granaio.

PH. Domenico Iannello

Ma quello di Zungri costituisce, in realtà, un “unicum”, un villaggio rupestre che non è mai stato realmente abbandonato in quanto sempre vissuto, anche se in modi diversi, utilizzato da sempre dai contadini fino a quando, negli anni ’80-90 non è stato espropriato dal Comune per renderlo fruibile. Il sito vive ancora, non solo per le innumerevoli visite, ma anche grazie alle molteplici attività che nel corso di questi ultimi anni sono state organizzate. I lavori di riqualificazione per migliorarne la fruibilità e gli apparati tecnologici multimediali ottenuti grazie ad un finanziamento comunitario, lavori eseguiti nel 2015, hanno permesso di poter lavorare in maniera professionale, facendo conoscere al pubblico il sito rupestre, soprattutto grazie all’ ausilio dei social. Ed infatti, i risultati non sono tardati ad arrivare, e già le attività museali riferite all’anno 2017 si sono concluse con un bilancio molto positivo, 23.500 ticket venduti nel 2017 (contro gli 11.000 ticket registrati nel 2016) ed abbiamo chiuso il 2018 con 25.500 ticket ed oltre 30.000 visitatori. L’aumento sostanziale di visitatori ha reso possibile, quindi, la programmazione di molteplici iniziative che hanno visto il sito archeologico protagonista di eventi molto importanti.

PH. Salvatore Mazzeo

 

IL MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA DI ZUNGRI

PH. Lorenzo Emanuele Labate

In questi anni di intense attività le attività museali hanno anche riguardato mostre di opere d’arte di vari artisti locali nei periodi di maggiore afflusso, lo svolgimento di laboratori didattici con vari gruppi e scolaresche, interscambi con varie associazioni culturali del territorio, intessendo, così, una rete per la promozione del territorio che dal mare arriva nell’entroterra e l’instaurazione di una fattiva collaborazione di co-marketing con varie aziende del territorio mirata alla promozione del sito rupestre. Inoltre, il sito rupestre è stato scelto come tappa per molteplici raduni di club calabresi e siciliani, di macchine d’epoca, moto d’epoca, motoraduni, raduni di gruppi scout, ecc. Sono stati accolti ed ospitati gratuitamente associazioni di ragazzi portatori di handicap e di ragazzi disagiati, in collaborazione, sempre, con associazioni di volontariato operanti sul territorio. Spesso le Grotte sono state scenario di set fotografici. Protagonista, ultimo, Mimmo Russo HairStylist ed il suo staff, che ha scelto il sito come sfondo perfetto per l’ambientazione del catalogo della sua nuova collezione MR. L’artista ha scelto di rimanere in Calabria e di creare un ponte diretto con Londra, veicolando, così, l’immagine della nostra terra attraverso le sue collezioni. Quindi, il sito di Zungri, sarà presentato, grazie a questa collezione, nei maggior atelier londinesi.

Stiamo già lavorando alla programmazione degli eventi per la stagione 2019!!!

PH. Marielle Epifanio

Possiamo quindi affermare che tutto il lavoro messo in campo per la valorizzazione dell’Insediamento Rupestre comincia a dare dei risultati. I lavori di riqualificazione, l’apparato multimediale, che consente di interloquire con i visitatori e le varie attività che si svolgono nel sito archeologico giocano un ruolo fondamentale. Ma, affinché un luogo viva, chi ne ha la custodia, deve fare in modo che ci sia dinamicità e non staticità. Le GROTTE esistono da sempre, sono state strutturate per un uso ben preciso che non si conosce, hanno sicuramente cambiato destinazione nel corso dei secoli e sono giunti fino a noi cosi, come oggi le vediamo. Innanzi tutto è di fondamentale importanza che la ricerca continui. Sono innumerevoli le cavità che ancora devono essere esplorate e già il Campo Speleologico che si è svolto nel mese di maggio 2017 ne ha portato alla luce tantissime.

“Servono finanziamenti mirati sia alla salvaguardia delle cavità stesse che alla messa in sicurezza dei percorsi che diano la possibilità anche di poter raggiugere le cavità al di fuori del nucleo centrale” – ci confessa Maria Caterina Pietropaolo (Coordinatrice del Museo della Civiltà Contadina ed Insediamento Rupestre) “…servono risposte ai vari interrogativi che da sempre accompagnano questo sito. Servono ricerche storiche, antropologiche, archeologiche. Cos’era questo posto, chi lo ha scavato, esiste una necropoli, un luogo di culto, come è stata l’evoluzione di questo sito? E le cavità che stanno venendo alla luce sono di epoca più antica del sito stesso? Tutti interrogativi che aspettano una risposta” !

“…Se i dati lo confermeranno, l’Insediamento Rupestre di Zungri sarà, in termini numerici, uno dei siti archeologici più visitati della Calabria, anche nell’anno 2018, avendo, alla data odierna, già superato il numero dei visitatori dello scorso anno. E questo è motivo di orgoglio. Lo è innanzitutto per l’attuale amministrazione comunale, che ha puntato moltissimo sulla valorizzazione del sito, riuscendo ad ottenere i finanziamenti che hanno permesso di dare lustro a questo luogo e che si sta adoperando per ottenerne altri, lo è per chi lavora con passione e dedizione e lo è per gli zungresi che sono stati custodi inconsapevoli di tale meraviglia, preservandola e tutelandola. Ma lo è anche per la provincia di Vibo Valentia così come per la Calabria tutta. Questo sito può fare da volano all’ intera economia della cittadina e del territorio. Indubbiamente è un luogo particolare, unico, raro. Il connubio mare, pianura è ottimale. Bisogna incentivare sempre di più le visite al sito. Certo, con moderazione. Bisogna tenere sempre conto che il sito va tutelato e custodito per essere tramandato. Vanno incentivate le visite scolastiche per tramandarne la memoria storica. E qua, forse più che in altri casi, il Museo della Civiltà Contadina gioca un ruolo fondamentale. Tramandare la memoria storica. I ragazzi devono vedere, toccare, capire come si è giunti al benessere. Devono capire il valore del sacrificio, del lavoro nei campi, devono capire il valore di ogni singolo oggetto custodito nel Museo. Questo è il compito prefisso. Valorizzare, custodire, tramandare. Lavorare per dare le giuste informazioni, lavorare per organizzare eventi, lavorare per coinvolgere la comunità che custodisce questo bene, lavorare, sempre congiuntamente all’ amministrazione comunale, per continuare a dare vita al sito rupestre di Zungri. Ma il sito di Zungri, oltre ad avere la necessità di essere studiato e valorizzato, per le criticità che mostra, ha la necessità di essere conservato. Zungri è un insediamento a rischio enorme perché sorge su un’area di dissesto geologico e un’area in frana R3-R4. In molti punti, infatti, si notano già delle lesioni, dei cedimenti e degli stacchi perché a monte delle grotte vi è un grande riporto di terreno,alberi e vegetazione e quindi il sito richiede molteplici interventi. Gli ultimi avvenimenti alluvionali hanno seriamente compromesso le prime cavità e la zona denominata area “pic nic”, ovvero l’area delle sorgenti, con frane e smottamenti che hanno divelto in più punti la staccionata facendola crollare nella vallata sottostante e provocato dei distacchi di massi e terreno compromettendo le vasche di raccolta delle acque che costituiscono un elemento fondamentale del sistema di canalizzazione delle acque del sito rupestre. Quest’area, fondamentale anche per lo svolgimento delle manifestazioni, per i danni subiti e per questioni di sicurezza, è stata chiusa al pubblico…”

Arh. Maria C. Pietropaolo

“Bisogna, quindi, intervenire con la massima urgenza prima che le piogge invernali compromettano il sito irrevocabilmente. Bisogna mettere questo Insediamento nelle condizioni di poter continuare a vivere oppure rischia di scomparire. Bisogna intervenire in maniera strutturata a monte non solo con interventi strutturali, di ripristino e conservativi, ma, anche regimentando le acque. Solo così verrà conservato quello che oggi è uno dei patrimoni più straordinari della Calabria”

Noi di Kalabria Experience che abbiamo avuto la fortuna di visitare questo insediamento rupestre ben due volte cogliamo questo accorato appello e lo rivolgiamo a tutti gli Enti competenti, affinchè il sito di Zungri possa diventare PATRIMONIO DELL’UMANITA’ e ottimo esempio per la Calabria di buona gestione e valorizzazione del patrimonio archeologico. Con la speranza di ritornarci presto intanto vi consigliamo di sfogliare la brochure ufficiale  ZUNGRI e iniziare a programmare una visita in questa meravigliosa Cappadocia del sud Italia!

SCARICA L’APP  “ZUNGRI”   (una guida virtuale, una mappa del sito con punti ciclabili con foto e didascalie dell’ insediamento rupestre)!!!

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By Carmine Verduci

 

…Quel che resta di Aprichos (Africo antica) di Santina Marateia

Storicamente Aprichos, oggi “Africu vecchiu”, Africo Antico, come lo si qualsivoglia chiamare il toponimo Africo suscita emozioni e reazioni discordi negli animi di chi in maniera diversa ha sentito parlare di questo antico borgo situato nel lembo più remoto dell’Aspromonte.
Di fatto, visitare oggi questo luogo atavico e primordiale scatena in qualsiasi individuo un fiume in piena di sensazioni e sentimenti contrastanti, un’infinità di riflessioni e domande a cui, probabilmente, nessuno mai darà risposta! Perché l’antico borgo è stato abbandonato a se stesso e chi di competenza non ne ha garantito la sopravvivenza, sradicando un’ intera popolazione dal proprio paese di origine, decretando in maniera irreversibile la perdita di una cultura identitaria ben radicata?
Come ha fatto la gente del posto a vivere in mezzo alle montagne, isolata dal resto del mondo, senza corrente elettrica e acqua potabile all’interno delle abitazioni? 
Lo stupore sale ancor di più se si riflette sul fatto che l’unico segno della moderna civiltà è rappresentato dall’installazione del telegrafo voluto dal Governo per la cattura del brigante Musolino!


Africo, è per antonomasia il luogo dove più che in altri luoghi si è manifestato l’abbandono e l’assenza dello Stato e delle Istituzioni, e dove di contro la gente del posto, gente dignitosa e temprata dal quotidiano vivere in condizioni precarie e difficoltose, è comunque riuscita ad andare avanti nonostante tutto, adattandosi in maniera quasi simbiotica ad un territorio aspro, selvaggio e indomito come solo l’Aspromonte sa essere. Africo venne descritta in “Tra la perduta gente” dal meridionalista e antifascista Umberto Zanotti Bianco nel 1928 che denunciò, per la prima volta, le condizioni estreme in cui erano costretti a viveri gli africesi, afflitti da pesanti tasse, isolati geograficamente dal resto del territorio e costretti a vivere in abitazioni pesantemente compromesse dai precedenti sismi, in particolare quelli del 1783 e del 1908.

Questi raccontò ad una Nazione intera di come gli africesi si nutrissero di un particolare pane ottenuto dall’impasto di farina di lenticchie e cicerchie. Ciò nonostante, lo stesso Zanotti Bianco restò profondamente colpito da questa “terra bruciata” dimenticata da Dio, terra dove la natura aspromontana regna sovrana e incondizionata, regalando gratuitamente viste mozzafiato e paesaggi peculiari dei quale egli non poté non rimanerne affascinato:
“Le luci si spengono sui monti e le prime stelle tremano in cielo, assieme al trillo lontano dei grilli. Per vederle, ho lasciato aperta la portiera della tenda. La fiamma della candela che ne illumina le pareti aumenta il senso di pace e di poesia che scende in me: la pace tacita e deserta di questi monti, la poesia di questa vita solitaria che è però così vicina al cuore delle cose” (Umberto Zanotti Bianco – Africo 1928).

In seguito, nel 1948, Africo venne ulteriormente immortalata nel reportage fotografico di Tino Petrelli per il settimanale l’Europeo di Milano nella famosa inchiesta sulle condizioni del Mezzogiorno, dalla quale si evinse che a distanza di vent’anni le condizioni di vita della gente di Africo non fossero per nulla mutate. L’alluvione dell’ottobre del 1951 ne decretò il definitivo abbandono: dopo giorni di piogge incessanti, il già violentato e fragile territorio calabrese collassa idrogeologicamente e una valanga di terra e fango si riversa sull’insediamento di Africo, trascinando con sé abitazioni, persone e animali.

La popolazione intimorita trova rifugio nella Chiesa Matrice, inconsapevole di quello che la attenderà al sorgere del sole, quando passato temporaneamente il pericolo si accingerà a raccogliere e salutare per sempre quel che resta dell’amata terra per non farne più ritorno.
Ricalcare oggi i vecchi tracciati che conducono ad Africo, è come ripercorrere un viaggio indietro nella storia, una macchina del tempo che ti trascina vorticosamente alla scoperta di territori e insediamenti che di fatto hanno segnato la storia della Calabria.


Superata la chora di Bova e i cosiddetti Campi si arriva in località Puntone Carrà (925m s.l.m.), presso il cosiddetto Villaggio Carrà, un abitato costituito da poche case popolari edificate dopo l’alluvione del 1951 a sostegno di una parte della popolazione di Africo dedita all’allevamento che ha deciso di non abbandonare questa terra e le proprie attività produttive. Da qui inizia il nostro viaggio a piedi, mediante un percorso ad anello che si articola per circa 8 km lungo i contrafforti orientali aspromontani, percorrendo l’antico sentiero che conduce ad Africo Vecchio, pressoché una mulattiera che si snoda su affioramenti di roccia arenaria.


Spettacolari e secolari boschi di querce e castagni in piena fioritura signoreggiano e fanno da cornice al cammino che procede costeggiando il Puntone La Guardia (865m s.l.m.), passando per il vecchio cimitero comunale per poi proseguire verso la piccola chiesa di San Leo, luogo spirituale e di culto, meta di pellegrinaggio, conteso a tutt’oggi tra la gente di Bova e di Africo. La chiesetta, dalle modeste dimensioni e di semplice fattura, costruita alla fine del XVIII secolo probabilmente sui ruderi di una struttura precedente, custodisce all’interno la statua marmorea di S. Leo e parte delle reliquie del santo patrono.

Lasciata la chiesetta si riprende la mulattiera che conduce al vecchio abitato, attraversando un sottobosco ricco e variegato dominato da felci, cisti, euforbie e biotipi tipici della macchia mediterranea.
Oltrepassato il Puntone La Guardia si giunge ad Africo. Lo scenario che si apre ai nostri occhi è irreale e romantico allo stesso tempo: un labirinto di ruderi completamente invasi dall’edera, dai rovi e da alberi di fico! Radici e rami infestano i vani di quelle che erano una volta le piccole cellule abitative, la vegetazione si è prepotentemente appropriata di ogni piccolo anfratto murario, ogni singolo interstizio o concio lapideo facendolo proprio.

Dalla lettura di quel che resta dell’insediamento si evince che l’impianto urbano si sviluppa sul pendio naturale sfruttando l’acclività del terreno, generando tipi edilizi semplici a cellula singola o doppia, dall’assetto complessivamente spontaneo che si adattano alla morfologia del territorio. La Chiesa Matrice, di più recente costruzione assieme alle Scuole Elementari e il Municipio (realizzati dopo gli anni trenta), costituisce l’unico polo emergente all’interno del vecchio centro abitato. La seppur veloce disanima del lessico costruttivo evidenzia tecniche costruttive che si rifanno alla tipica tradizione locale caratterizzata dall’utilizzo di materiali presenti in loco, con murature in pietra e solai in legno. Gli unici elementi architettonici di un certo rilievo rinvenuti consistono in alcuni pregevoli conci lapidei scolpiti appartenenti ai portali e alle mensole dei balconi.

Procedendo in mezzo a rovi e ruderi dalla piccola e intima piazzetta della chiesa verso la località Campusa, si incrociano quelle che erano le strutture destinate al Municipio, alla Caserma dei Carabinieri, l’asilo e infine le Scuole Elementari. Un brivido corre lungo la schiena nel leggere l’epigrafe delle Scuole Elementari e dover constatare con tristezza che non ci saranno più voci gioiose di bambini che risuoneranno dentro le ormai dirute aule e che le stesse piccole figure infantili non si rincorreranno più lungo la scala di accesso alla Scuola, stagliandosi verso il cielo. Tutto è andato perduto!

Rimangono solo le tracce, i segni, i ricordi, i racconti e le testimonianze della gente di Africo ancora legata passionalmente alla propria terra di origine, custodi premurosi di un pezzo di Calabria che non c’è più e che rivive caparbiamente in loro. Tra di essi, il poeta e cantastorie Giovanni Favasuli, che ha allietato e reso speciale la nostra giornata ad Africo, ammaliandoci con i suoi racconti e i versi delle sue poesie, accompagnati spesso dal suono armonioso della chitarra, versi commoventi e sinceri che raccontano l’amara realtà delle cose.
Adesso più che mai, mi risuona nella mente il ritornello di una canzone, attualissima e profonda nelle parole, che fa così:
“….Nescìmu fora e facìmu rota,
e sutta ’a luna di jancu pittàta,
sentimu ’i vecchj cunti di ’na vota,
facìmu festa tutta la nottata.
Nescimu fora e facìmu rota,
nsin’â quandu ’a lumera esti ddhumàta.
Arretu non tornamu annatra vota…
Esti ’nu viaggiu di sulu andata!”

Testo e foto © Santina Marateia 

Evento culturale Kalabria Experience del 18.06.2017

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