Categoria: Itinerari

Le Vie dell’Acqua; 20 itinerari fra la bellezza ed il fascino di una Calabria meravigliosa

Quando si parla di Calabria, subito vengono in mente i suoi 800km di costa, mare cristallino, spiagge che non hanno nulla da invidiare a note mete caraibiche, buon cibo, sano e biologico e tanto altro.

Ma la Calabria è un universo immenso, fatto di massicci alti fino a 2.000mt, borghi caratteristici, fiumi e fiumare, gole, cascate e laghi artificiali che rendono il nostro entroterra un luogo ideale per trascorrere le proprie vacanze, vivere esperienze uniche ed irripetibili.

L’idea di portare alla scoperta delle più suggestive e meravigliose cascate lungo i corsi d’acqua Calabresi, si inserisce nel quadro di una promozione di tutte quelle risorse turistiche in grado di soddisfare qualsiasi tipo di vacanza, dai percorsi più semplici a quelli per i più esperti. Guidati da professionisti che nella loro mission hanno a cuore questa terra e la montagna. Ed in Calabria di montagna ce ne davvero tanta…!

Abbiamo selezionato per questa guida solo una serie di percorsi, che abbiamo battezzato “Le Vie dell’Acqua”, un itinerario naturalistico e culturale che ci invita a riscoprire una Calabria dalle mille meraviglie …e dove trovarle!

Non in ordine di bellezza o importanza, non in relazione alle province, questo itinerario è solo una piccola anticipazione di tutte quelle meraviglie che esistono e insistono nella nostra bella regione.

 

Abbiamo selezionato 20 fra le cascate, gole, canyon e percorsi naturalistici più suggestivi della Calabria, con ulteriori 11 fra laghi e invasi più caratteristici della nostra regione.

ROCCAFORTE DEL GRECO (RC); CASCATE MAESANO (SCHICCIU DA SPANA)

Situate a circa 1.200 metri di altitudine e con un’altezza totale di circa 60 metri, maestose da far rimanere a bocca aperta, le cascate del Maesano sono tra le mete più affascinanti e magiche per molti turisti e appassionati della montagna, simbolo delle escursioni in Aspromonte. Sono formate da tre ben salti (di circa 20 metri l’uno) e alla base di ognuno di essi vi è una pozza d’acqua cristallina color smeraldo nel quale ci si può immergere e fare un bagno. L’acqua delle cascate in estate raggiunge appena i 12/13 gradi di temperatura. Di sicuro un bagno in queste acque risulta davvero tonificante per la muscolatura del corpo sopratutto dopo il lungo cammino di oltre un ora e mezza per raggiungerle. Il percorso per arrivare alle cascata passa dalla confluenza del torrente Menta con la Fiumara Amendolea ed è incredibilmente suggestivo, ricco di panorami mozzafiato. Si attraversavo crinali ricchi di faggete e pinete, alberi di mandorlo e vegetazione con orchidee sanbucine (gialle e viola), orchidee papilionate, euforbie e ginestre, fino a raggiungere la cascata, che compare quasi all’improvviso nella valle e ripaga la fatica del percorso.

(FONTI: www.quicosenza.it) 

 

 

 

SAMO (RC); CASCATE FORGIARELLE

Uno dei luoghi più interni di tutto l’Aspromonte. Siamo nel cuore selvaggio del Parco, lontani da tutto e da tutti. Le Cascate Forgiarelle sono una destinazione particolare, immersa in una zona di riserva integrale (zona A). Già raggiungere l’inizio del trekking ci fa capire che ci stiamo addentrando nella montagna, per poi partire a piedi in un viaggio tra querce secolari, torrenti, caselli forestali di fortuna e soprattutto natura incontaminata. Siamo nel cuore delle foreste demaniali aspromontane, protette dall’ex Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestali) già dagli anni ‘70. L’itinerario lambisce quasi anche la zona che ospita un sito UNESCO riconosciuto di grande importanza, ovvero la faggeta di Valle Infernale. Sempre in zona, ma in una località segreta, vegeta Demetra, che con i suoi stimati quasi 1000 anni è la quercia datata più antica del pianeta, che l’Aspromonte ancora oggi custodisce. Il percorso ad anello è di media difficoltà, ma la vista delle cascate ripaga sicuramente la fatica. Si può accedere da Canovai, facendo richiesta ai Carabinieri Forestali oppure a piedi da diversi sentieri.

(FONTI: GUIDE UFFICIALI PARCO ASPROMONTE)

 

 

 

 

BIVONGI (RC); CASCATE DEL MARMARICO:

Le Cascate del Marmarico si trovano all’interno del Parco Regionale delle Serre e infatti, anche se fanno parte del comune di Bivongi ed è da qui che la maggior parte dei turisti le raggiungono, noi serresi siamo abituati a partire da Ferdinandea e raggiungere le Cascate del Marmarico a piedi, in un lungo percorso di trekking che dura l’intera giornata.Il fiume Stilaro affronta il vallone Folea con una serie di salti d’acqua e si precipita a valle formando la spettacolari cascate del Marmarico. La cascata, alta ben 114 metri, è formata da tre salti in successione, e termina in un laghetto dove in estate è possibile fare il bagno nelle acque tanto limpide quanto gelide.Il nome Marmarico deriva dalla parola dialettale “marmaricu” che vuol dire lento e pesante; è infatti questa la sensazione che lasciano queste acqua che sembrano quasi immobili nonostante il grande salto.

(FONTIE: www.vieniviadiqui.it)

 

 

 

 

 

 

SAN GIOVANNI DI GERACE (RC); PERCORSO NATURALISTICO LA SCIALATA

Il percorso naturalistico della “Scialata” (o del Torrente Levadìo) è un sentiero escursionistico montano situato nel territorio del Comune di San Giovanni di Gerace (RC).  Costeggiando a ritroso, in risalita, il tracciato del Torrente Levadìo, il sentiero conduce gli escursionisti fino alla sorgente di acqua oligominerale di Cannavarè, nei pressi dell’area pic-nic denominata “Scialata” . La Fiumara Levadìo, in tutto il suo percorso dalle sorgenti a valle, fino alla confluenza nel fiume Torbido, si caratterizza per il suo scorrere selvaggio e prepotente, attraversando fitti boschi e verdi radure alberate, creando salti e cascate tra enormi massi granitici. Nei tratti più a valle, la Fiumara lambisce distese di campi un tempo coltivati, in contrade disseminate di vecchi mulini ad acqua ormai in disuso. Il percorso della Scialata offre agli escursionisti la possibilità di costeggiare un bel tratto di questa affascinante fiumara calabrese, ammirandola nella sua prepotente discesa verso valle nel cuore di una natura verde e rigogliosa. Si tratta di uno dei percorsi naturali  più suggestivi tra quelli esistenti nella provincia di Reggio Calabria, accessibile anche agli escursionisti meno esperti e consigliato a tutti gli amanti della natura, del trekking, della fotografia naturalistica e delle passeggiate all’aria aperta. Le bellissime cascate offrono agli amanti dell’avventura l’opportunità di trovare un piacevole refrigerio nelle fresche acque della fiumara. Alberi secolari e cielo azzurro fanno da sfondo a quella che si può ben definire un’esperienza unica.

(FONTI: Comune di San Giovanni di Gerace)

 

 

 

CIVITA (CS); LE GOLE DEL RAGANELLO

Le Gole del Raganello regalano uno scenario tra i più belli, dov’è possibile praticare canyoning e torrentismo. Hanno inizio a quota 750 mt., nei pressi della sorgente Lamia e terminano dopo aver percorso 13 km nelle vicinanze del Ponte del Diavolo. Esse rappresentano di sicuro una delle emergenze ambientali più degne di essere visitate, si sviluppano tra montagne che sembrano mettere in atto giochi di equilibrio tra colori immutabili o varianti secondo la tavolozza che madre natura mantiene integra in questo angolo di Calabria. L’ambiente offre uno scenario bellissimo, specie nella parte bassa dove si osserva sia l’azione corrosiva delle acque, che ha inciso stupendi capolavori nella pietra, sia l’azione erosiva che ha creato strapiombi e verticalità. Numerosi sono gli ostacoli da superare, macigni di pietra scivolosi incastrati fra le acque gelide cascatelle e piccoli laghetti, piccole pareti da scavalcare e passaggi più larghi si alternano strettoie quasi buie, rischiarate da una sottile lama di luce, che penetra dall’alto, mentre di tanto in tanto grossi massi incastrati e tronchi d’albero movimentano lo scenario, creando degli scorci di orrida bellezza. L’ambiente è spettacolare soprattutto la forra del Raganello che richiama nelle sue Gole basse, il ricordo delle bolge dantesche, ma nello stesso tempo offre l’habitat ideale per i grandi rapaci e per piante tipiche ed uniche,così come offre per un verso una galleria di sculture naturali. Le Gole sono tecnicamente divise in tre tratti: Gole alte meglio conosciute come Gole di Barile, Gole basse o Pietraponte-Santa Venere-Civita, e i bacini del Raganello.

(FONTI: Comune di Civita)

BRANCALEONE (RC); CASCATA ALTALìA 

Il torrente Ziglia  conosciuta con il nome di Torrente Altalìa si origina a circa 8 km tra i comuni di Brancaleone e Staiti, convoglia le acque fluviali delle colline intorno all’altopiano di Campolico e riscende a valle tagliando le colline di Monte della Guardia e Monte Fucine (dove sorge la piccolissima frazione di Pressocito di Brancaleone) questo torrente riscende zigzagando a valle per strette gole dalla conformazione rocciosa davvero particolare creando dei salti meravigliosi ed incredibili, che nei periodi piovosi e fino alla fine della primavera creano delle cascate davvero affascinanti. Tutto questo ad una manciata di km dal centro di Brancaleone. Da località chiamata Frischìa si risale il greto della piccola fiumara che zigzagando nelle sue gole giunge fino ad un antico Mulino. Da questo punto in poi il percorso si fa sempre più impegnativo caratterizzato da una vegetazione di macchia mediterranea molto insidiosa, si superano alcune rocce dalle forme più variegate, e di li a breve si giunge sotto questa meravigliosa cascata che con i suoi 28 mt d’altezza regalerà la sensazione di trovarci in un qualsiasi luogo del cuore dell’Aspromonte.

Possiamo in definitiva considerarlo un itinerario medio/facile, completo e divertente, un mix fatto di storia, archeologia industriale e natura, caratterizzato da scenari mutevoli ma nel contempo surreali. L’aspetto più triste è che questa cascata si ammira soltanto dopo periodi molto piovosi, quindi è consigliabile sempre massima prudenza.

(FONTI: Kalabria Experience e Pro Loco di Brancaleone)

CATANZARO;  RISERVA NATURALE DELLE VALLI CUPE

La Riserva naturale delle Valli Cupe si trova nel cuore della Presila catanzarese, che coincide all’incirca con il settore sud-orientale del massiccio silano e della Sila rappresenta le ultime propaggini, che si prolungano nella corona collinare degradante verso la stretta fascia costiera che si affaccia al mare Ionio, proprio al centro dell’ampio golfo di Squillace. La particolare esposizione, unita alla vicinanza del mare, determina la presenza di numerosi microclimi, con alto grado di differenziazione su scala locale,  e di una vegetazione particolarmente ricca e variegata. Nella parte interessata da condizioni climatiche più marcatamente mediterranee, l’ambiente fisico della Presila si caratterizza per la presenza di pendici molto scoscese, gole e forre profonde, dove i vari corsi d’acqua, formando una serie di salti e cascate, creano degli habitat unici proprio in conseguenza dei particolarissimi microclimi che le condizioni ambientali concorrono ad instaurare. La fascia territoriale presa in esame rientra, dal punto di vista fitoclimatico, nella zona del Lauretum (dalla sottozona fredda alla sottozona calda)  dove la fase climax è rappresentata dalla lecceta e dall’oleo-lentisceto, con le loro varianti , nella zona del Castanetum e nella zona del Fagetum. La ricchezza di specie, indice di elevata biodiversità, rappresenta una formidabile risorsa ambientale e rende l’area particolarmente interessante dal punto di vista naturalistico. Un centinaio di spettacolari cascate alte fino 100 m è immerso in una cornice di vegetazione lussureggiante di tipo subtropicale, dove è possibile vivere l’esperienza unica di un bagno in acque limpide e incontaminate, alimentate da torrenti che scendono impetuosi attraverso le pendici montuose fino a raggiungere le acque cristalline del mar Ionio. La Cascata dell’Inferno è una delle più suggestive della Riserva: si trova infatti incastonata in una stretta gola con una pozza molto profonda. Di particolare valore naturalistico sono poi la Cascata delle Rupe, spettacolare salto d’acqua inciso in roccia granitica, arricchita dalla presenza di due felci tropicali molto rare (la Felcetta lanosa e la Pteride di Creta) e le Gole del Crocchio, nel tratto montano dell’antico fiume Arocha, dove tra l’altro è possibile ammirare la Felce regale, preziosa e rara pianta di antichissima origine e di grande valore botanico. Anche la cascata del Campanaro, di facile accesso, consente ai meno avvezzi all’escursionismo di immergersi in uno scenario naturale bellissimo e di forte impatto visivo. Nei dintorni della Riserva, soprattutto all’interno del Parco nazionale della Sila,  si trovano numerose altre cascate di notevole interesse, tra cui la Cascata delle Ninfe, del Tronco, della Pietra, dell’Anemone, del Frassino, del Faggio, dei Lamponi, del Lupo, dell’Aquila, delle Grotte e del Paradiso. Quest’ultima, con i suoi 100 metri, è una delle più alte di tutta la zona. Le profonde Gole del Crocchio sono scavate fra suggestive pendici rocciose sovrastate da un ricco manto boschivo. Il corso selvaggio del fiume Crocchio forma spettacolari salti d’acqua, intervallati da profonde e larghe pozze — conosciute con il termine dialettale di vulli dove, almeno in estate, chi ama l’ebbrezza del contatto con le acque limpide e pure dei torrenti montani, può fare un rinfrescante e salutare bagno. Sulle sponde del fiume è presente una ricca vegetazione ripariale con ontano, salice e qualche alloro, accompagnata da una lussureggiante presenza della rarissima Felce regale (Osmunda regalis), che contorna grossi massi e lastre di pietra granitica.

( FONTI: www.riservanaturalevallicupe.it)

ZAGARISE (CZ);  CASCATA DEL CAMPANARO

Della Riserva Naturale delle Valli Cupe fa parte, anche la Cascata del Campanaro,  immersa in una cornice molto suggestiva, dovuta al particolare colore della roccia su cui l’acqua scorre, tra felci e liane che donano al posto un aspetto simile alla foresta equatoriale. Si raggiunge percorrendo un sentiero che si inoltra in un bosco di lecci. Il breve sentiero che porta alle Cascate del fiume Campanaro, si trova sulla strada tra i comuni di Sersale e Zagarise. Prima di giungere alla cascata, lungo il sentiero, è possibile ammirare un pagliaro, tipica costruzione contadina, i resti di un ponte costruito nel secolo scorso e bombardato durante la seconda Guerra Mondiale (poi ricostruito da maestranze locali), una piccola cascata a più salti che termina in una graziosa pozza naturale e numerose specie di piante come quella dell’aspirina (salice) e l’albero della manna. Oltre alla principale cascata troviamo tre sorgenti e un “vullu” cioè una pozza d’acqua. Un antico documento del Ministero della Guerra conferma che in questo posto, all’epoca del brigantaggio, fu catturata una “mano” (cioè cinque) di pericolosissimi briganti.

 

 

 

MOLOCHIO (RC); CASCATE GALASIA E MUNDU

Galasia

Uno dei percorsi più suggestivi del Parco Nazionale dell’Aspromonte, per la presenza dei torrenti Balvi e Mundo che danno origine e forza alle cascate, principali protagoniste di questo viaggio. In questo contesto si è sviluppata una elevata biodiversità dell’ambiente naturale. Possiamo trovare il Tasso (albero dalla crescita lentissima), corbezzoli e allori di grandi dimensioni e un sottobosco con pungitopo e agrifogli, suoi quali troviamo erica rampicante e liane anche molto grandi. Contribuisce a rendere unico tale ambiente la presenza di Muschi, Licheni e Woodwardia radicans, una varietà di felci preistoriche enormi (fino 2 metri), riconducibili ad almeno 60 milioni di anni fa. La cascata Mundu fa un salto di 50 metri, il suo getto è impetuoso ma non molto largo, è incorniciato da felci e si è scavato lievemente un suo letto nella parete rocciosa.

 

 

 

ROCCAFORTE DEL GRECO (RC); CASCATA CALONERO

La Cascata Calonero sorge nel territorio di Roccaforte del Greco(RC). La zona in cui si trova la a cascata è stata interessata da un disastro che coinvolge l’intero bacino. Già nel 1910 il geografo R. Almagia aveva riconosciuto, sulla base dell’interpretazione della cartografia, in “completo sfacelo” questa località (dove troviamo una delle frane più grandi d’Europa ancora in attività). Durante l’estate il flusso dell’acqua è sensibilmente ridotto, ma d’inverno la cascata ha un getto di tutto rispetto, per una caduta perpendicolare di circa 70 metri. Il posto è di grande suggestione. La cascata in paese viene chiamata “Puzza Randi” (Grande Pozza) ma il suo nome in grecanico è Calònero (“Sogno Svanito”) (FONTI: Gente in Aspromonte)

PAPASIDERO (CS); RISERVA NATURALE DEL FIUME LAO

Nell’antichità il fiume era chiamato Laus (o Laos, Λαός in greco); era uno dei fiumi che segnava il confine tra i lucani e i bruzi. L’altro era il Chratis (Crati) nella parte terminale della foce, ma soprattutto lungo il corso del suo affluente Sybaris (Coscile), che nasce nel massiccio del Pollino, relativamente vicino alle sorgenti del Lao. Sboccava nel Sinus Laus (golfo di Policastro), nel Inferum mare. Pur avendo un regime spiccatamente torrentizio con notevolissime variazioni di portata (specialmente in autunno quando può dar luogo a piene imponenti), il Lao si distingue nettamente dagli altri corsi d’acqua della regione per la copiosità delle sue portate medie, ciò grazie alla notevole permeabilità di gran parte del suo bacino. Proprio per queste sue caratteristiche peculiari ed anche per la purezza delle sue acque e la lunghezza del suo tratto ingolato, il fiume è una meta frequentata dagli appassionati di rafting e canoa. Il Lao inoltre dà il nome alla Riserva naturale Valle del Fiume Lao, nel comune di Papasidero, istituita nel 1987 all’interno del parco nazionale del Pollino.La valle del fiume Lao è uno dei luoghi più incantevoli dove poter praticare il rafting in Calabria. Il fiume Lao è una delle mete preferite per chi ama gli ambienti fluviali. In particolare per i canoisti e per chi pratica rafting, è uno degli appuntamenti da non mancare. Il corso è bello, scorre in una gola selvaggia, c’è sempre acqua. Negli ultimi anni ha preso piede l’attività del Rafting, che permette di discendere il fiume su gommoni particolari detti “raft”, un modo suggestivo e spettacolare per recuperare l’antica via solitaria. (FONTI: www.pollinorafting.it )

 

CAULONIA (RC); FIUME ALLARO – CASCATE SAN NICOLA

Un’importante corso d’acqua calabrese è la fiumara dell’Allàro (Alaru in dialetto locale) che dà il nome a tutta la vallata nella quale scorre. Nasce nel comune di Fabrizia, lambisce Nordodipace, Mongiana e diversi altri paesini, sconfinando tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, per sfociare dopo oltre 25 Km sul mare Jonio nei pressi di Caulonia Marina. Particolarmente indicato per fare torrentismo grazie alla sua morfologia, le sue caratteristiche gole e le piccole cascate ma anche come percorso di itinerari escursionistici. Sulla riva della fiumara, nel territorio di San Nicola, una frazione di Caulonia, è presente l’ eremo di Sant’Ilarione (splendida struttura che sorge in posizione singolarissima su di uno sperone di roccia che si insinua in un’ansa della fiumara) punto di partenza del sentiero che permette di risalire l’alveo del torrente regalando stupore e meraviglia, avvolto completamente dalla natura nella serenità che solo certi luoghi sanno donare. Subito dopo del Convento troviamo le cascate di San Nicola, con laghetto annesso, formate da una briglia, attrattiva di molti visitatori nel periodo estivo. Aggirando la briglia la pista sterrata continua tra oasi naturali e tranquilli laghetti, tra paesaggi nascosti e le melodie delle scroscianti cascate, tra le bianche rocce a picco si incontra il vecchio mulino e delle case abbandonate a ricordo che questa zona un tempo era sfruttata per l’agricoltura. L’alveo continuerà a stringersi andando verso l’alto fino a diventare uno stretto varco tra gole di granito levigato da secoli d’acqua e detriti, al raggiungimento delle sorgenti. Una di queste denominata Gurna Nigra (Pozza Nera) è un’ampia vasca profonda contenente acqua dal colore particolarmente scuro che tante leggende popolari ha creato su questo luogo.  Gli studiosi sono incerti chi sia tra l’Allaro e il Torbido l’antico fiume Sagra teatro ai tempi della Magna Grecia (tra il 560 e il 535 a.C.) di una battaglia fra le città di Locri e Kroton con la vittoria dei primi. Gli eserciti si incontrarono sul fiume, dove i Locresi, confortati dall’apparizione dei Dioscuri (Castore e Polluce nella mitologia greca), si lanciarono in battaglia distruggendo i Crotoniati. L’Allaro potrebbe essere anche l’antico fiume Elleporo, da cui deriverebbe anche il suo attuale nome e da come afferma Cluverio che si trova nelle vicinanze di Castro Vitere (Castelvetere prima del 1863, odierna Caulonia). (FONTE: www.ascenzairiggiu.com)

 

AFRICO (RC);  CASCATE PALMARELLO

Nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte, a 1300 metri di altitudine,  rientrante nel comune di Africo, si può ammirare la cascata Palmarello. E’ forse la meno conosciuta tra le cascate aspromontane a causa delle difficoltà nel percorrere il ripido e scosceso crinale che consente di raggiungerla ma non per questo meno spettacolare delle altre. E’ generata dal torrente Aposcipo, il suo salto unico di circa 70/80 metri è il più alto del parco osservabile da un terrazzo naturale tra la fitta vegetazione di roveri e pini larici. Particolarmente spettacolare ammirare gli spruzzi creati dall’ acqua nei periodi di piena.

 

 

 

MAMMOLA (RC); LO SCHIOPPO DEL SALINO

Il territorio montano di Mammola, vasto circa novemila ettari, ricade all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte e nella catena delle Serre. Sono migliaia i turisti appassionati del trekking e della montagna che giungono da ogni parte durante tutto l’anno. Il torrente “Salino”, affluente del fiume Torbido, nasce dal monte Limina nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Si può risalire il torrente scegliendo il percorso più opportuno camminando sul bordo dell’alveo o in mezzo all’acqua, con agili salti sui massi esistenti. Il luogo è veramente incantevole con foreste dalla rigogliosa vegetazione ricca di lecci, ornielli ed erica. Il sottobosco è ricco di erica e di vari tipi di felce, tra le quali la “Woodwardia radicans”, specie rarissima che si trova in Aspromonte, solo in alcune zone umide o nelle vicinanze di cascate. Lungo il torrente “Salino”, caratterizzato dalla presenza di grandi massi granitici, crescono ontani maestosi che ombreggiano le limpide acque. Qui vengono a dissetarsi animali selvatici che scendono dalle montagne e talvolta si possono intravedere le trote e il granchio di acqua dolce. Risalendo s’incontra una radura dove un tempo gli scalpellini lavoravano la pietra granitica per fare gradini e portali per le case e macine per mulini e frantoi. Il torrente ha formato cascatelle, pozze e piccole anse dove un tempo le donne lavavano i panni. Nell’acqua inoltre, venivano messe a macerare il lino e la ginestra che le abili mani delle tessitrici mammolesi trasformavano in pregiati manufatti. Ancora oggi a Mammola alcune donne usano gli antichi telai per creare splendidi tappeti e copriletti con tinte e disegni di origine greca e bizantina. Dopo l’ultima ansa del torrente appare la splendida cascata detta “Schioppo di Salino” che, scorrendo tra gole di roccia ferrosa precipita con due salti dall’alto dei suoi 50 metri. Risalendosi dal lato destro la piccola cascata si arriva al laghetto dove, nelle calde giornate estive, si può anche fare il bagno.

 

SANTO STEFANO IN ASPROMONTE (RC); CASCATE TRE LIMITI

La cascata nella zona detta Tre Limiti, si trova a circa un chilometro e mezzo dalla Diga del Menta, un impianto la cui progettazione e realizzazione si è protratta dagli anni duemila al decennio successivo. Nella zona si ricorda la leggenda del lievito del Pane, all’inizio dei tempi si faceva il pane senza lievito. L’unica persona a conoscere il segreto della lievitazione era la Sibilla dell’Aspromonte, che come tutte le Sibille era donna della Sapienza, sacerdotessa e divinatrice, e aveva tra le sue allieve la Madonna bambina. Si narra che la piccola aveva notato con meraviglia il pane gonfio e fragrante che usciva dal forno della profetessa, molto più buono di quello basso e secco preparato dalla mamma, Sant’Anna. La bimba aveva notato che la Sibilla aggiungeva qualcosa all’acqua e alla farina e un giorno rubò un pezzo dell’impasto, lo appallottolò e lo nascose sotto un’ascella. La futura Vergine corse a casa, diede il lievito a sua madre e le insegnò a usarlo come aveva visto fare alla Sibilla. Grazie alla piccola Maria che rivelò i segreti della lievitazione, della conservazione e dello scambio del fermento, tutti gli umani cominciarono così a mangiare del buon pane che da allora si indico come pane fatto con il lievito “madre”. Da allora inoltre, dice la leggenda, gli umani hanno le ascelle cave. In questa zona è presente un “bosco vetusto”, risalenti a tempi antichissimi, si tratta del misto faggio-abete di Tre Limiti, fra Gambarie e la diga del Menta.

 

SANTA CRISTINA D’ASPROMONTE (RC); CASCATE TERESA E PAOLA

Il torrente “Calive” è uno dei tanti affluenti di destra del secondo grande fiume della Piana qual’è appunto il Petrace; esso nasce alle falde del monte “Misafumera” e con uno dei suoi rami iniziali costeggia i caseggiati dell’ex Sanatorio, posto sui piani di Zervò. Un’escursione di media difficoltà immerso completamente nella natura selvaggia dell’Aspromonte. Tra alberi giganti e natura incontaminata, la “cascata Teresa” e la “cascata Paola”, sono due salti di oltre quindici metri contornati da boschi di leccio che sgorgano in pozze di acqua cristallina. A pochi chilometri di distanza è invece possibile salire sul Cocuzzolo dei diavoli, un promontorio sul quale si arriva con una passeggiata alla portata di tutti. Una volta giunti in loco si potrà godere un panorama incantevole. Nelle vicinanze, inoltre, sarà possibile ammirare i ruderi dell’antica Santa Cristina.

(FONTI: turismoreggiocalabria.it)

 

OPPIDO MAMERTINA (RC);  CASCATE NINARELLO E SCHERNI 

Un itinerario naturalistico, panoramico ad anello, che si snoda sul territorio del Comune di Oppido con un dislivello da 680 a 1057 metri sul livello del mare. Escursione itinerante e selvaggia porterà a godere di due importanti cascate nei pressi di Piminoro. La prima, “U schicciu da cataratta”, è stata scoperta di recente esplorando il torrente Ferrandina, il cui corso d’acqua precipita con un salto di 37 m su una enorme pozza, proseguendo poco più giù con un altro piccolo doppio salto, per poi fluire dolcemente sul greto del torrente. Lungo il sentiero che si snoda  in un fitto bosco di lecci, spettacolari salti d’acqua, le cascate “Ninarello”, ne rappresentano la principale attrattiva, questa prende il nome dall’omonimo torrente, ed è un salto di 53 mt che finisce direttamente sulle rocce sottostanti, quest’ultima è una cascata più difficile da raggiungere. La cascata “Scherni”, invece è incastonata tra faggi secolari in una speciale cornice verde che la delimita.

(FONTI: Gente in Aspromonte)

 

CIMINA’ (RC); CASCATE CACCAMELLE

Le Caccamelle chiamate così perché ricordano i pentoloni in cui i pastori fanno il formaggio, oltre che per l’escursionismo, si prestano anche per attività di torrentismo. Il torrente Nessi che le alimenta ha creato nel corso degli anni una serie di schivoli e cascatelle che confluiscono in questo grande pentolone bianco.Un piccolo angolo di paradiso immerso e nascosto da un fitto bosco di lecci da cui penzolano esemplari di Clematis vitalba, la liana europea. Per raggiungere le cascatelle bisogna attraversare il paese di Ciminà, per salire verso la montagna e dopo poco, sulla strada troveremo il cartello che indica l’inizio del percorso. Il sentiero, attraversa boschi di macchia mediterranea, querce maestose, bagolari spaccasassi, valloni e vecchi ruderi. Circa a metà percorso attraverseremo Mandre Vecchie, località anticamente usate per pascere le greggi e successivamente stallarle negli ovili, detti “terrati’ con il sistema dei terrazzamenti. Proseguendo, prima di imboccare l’ultimo pezzo di sentiero che ci condurrà nella Fiumara Nessi e alle cascate, passeremo da una radura che tipicamente viene detta “Cunaggia”. Una volta giunti alla cascata la bellezza è disarmante, ci potremo rinfrescare nelle acque del torrente.

(FONTI: Club Alpino Italiano Sezione Aspromonte)

 

 

BOVA MARINA (RC);  SCHICCIO DI PERISTEREA

Percorrendo la SS 106 ionica da Reggil Calabria in direzione Taranto si raggiunge la piccola frazione di San Pasquale nei pressi di Bova Marina, in 10 minuti la loc. detta “u cuniculu”, da qui inizia il un percorso sul letto della fiumara San Pasquale, immersi nella natura incontaminata tra intrecci d’acqua e di roccie variegate, proseguendo verso il cuore della fiumara tra le testimonianze di insediamenti greci, romani, ebraici e bizantini, il paesaggio cambia e diventa più suggestivo. Sicuramente la primavera è il momento migliore per contemplare la straordinaria bellezza di questa fiumara, con l’esplosione di colori e di profumi. Lungo il percorso è possibile ammirare i ruderi di un antico mulino ad acqua. Dopo circa 3 km di cammino sul greto della fiumara si raggiunge la cascata “Peristerea” (antico nome greco), dov’è possibile (durante i mesi più caldi) anche fare un bagno nella sua pozza cristallina e freschissima.

(FONTI: Porpatima Trekking)

SAMO (RC); GOLE DELLA FIUMARA LA VERDE

La Fiumara ha origine non lontano da Montalto (1956mt s.l.m) e si nutre grazie ai suoi affluenti: il torrente Ferraina, il S. Gianni, il San Leo, il Pecuraru, lo Spruzzinna ed il Poro, oltre a tutte le sorgenti che durante il cammino si possono scorgere scendere dalla montagna. Tutti questi affluenti che hanno storie ed origini in luoghi dove ancora oggi aleggiano tradizioni, folklore popolare e leggende tutte da scoprire e conoscere.le maestose gole della fiumara La Verde, che si estendono per circa 3,5 km, con le alte pareti ornate da capelvenere (Capillus venus) e da rari esemplari di felci (Woodwardia radicans, Osmunda regalis e Pteris vittata).La fiumara è caratterizzata da un ampio letto ed è sovrastata da Ferruzzano antica e dalla fitta lecceta del Bosco di Rudina. Dal greto della fiumara si raggiunge un ponte, attraversato il quale, sulla destra, ci si ritrova di fronte ad alte pareti rocciose, i canyon aspromontani. L’ampio letto della fiumara, dopo circa 800 m, va restringendosi e le pareti che lo delimitano si avvicinano fino quasi a sovrapporsi e a serrare la fiumara in stretti meandri. Lungo il percorso si succedono uliveti, leccete e zone con fitta vegetazione arbustiva, fino a giungere al primo strapiombo di Monte Palecastro, al quale seguiranno da un alto quelli di Giulia e di Ladro, dall’altro le nudi pareti di Serro Schiavone, Monte Schiavo ed Arioso. Alla fine delle gole, la fiumara riprende tutta la sua maestosa ampiezza.

(FONTI: Kalabria Experience)

 

 

 

 

 

Potremmo anche menzionare numerosi altri siti di interesse naturalistico e fluviale, ma non finiremo più di raccontare e stupire i nostri lettori. Anche i numerosi laghi ed invasi artificiali Calabresi sono in grado di offrire,  affascinanti percorsi naturalistici ed esperienze incredibili che abbiamo preferito elencare qui, lasciando un po di curiosità e soprattutto un invito per andare a visitarli…

  • Lago Arvo (Cosenza) 
  • Lago Ampollino (Cosenza-Crotone-Catanzaro) 
  • Lago Cecita (Cosenza)
  • Lago Ariamacina (Cosenza)
  • Lago Angitola (Vibo Valentia)
  • Lago dell’Esaro (Cosenza)
  • Lago La Penna (Cosenza)
  • Lago di Tarsia (Cosenza)
  • Laghetto Zomaro (Reggio Calabria)
  • Laghetto delle Ginestre (Reggio Calabria)
  • Lago Menta (Reggio Calabria)

Molti di questi itinerari necessitano però di un supporto professionista, pur essendo itinerari affascinanti ed in alcuni casi facili, si consiglia sempre di farsi guidare da professionisti e guide esperte ed abilitate.

SI RINGRAZIANO PER LE IMMAGINI FORNITE:

Antonio Aricò, Massimo Collini, Massimo Tamborra, Carmine Verduci, Nuccio Sebastiano Romeo, Girolamo Fonte, Antonio Cuzzilla, Aspromonte Wild, e tutti gli autori delle descrizioni dei percorsi.

L’ITINERARIO “LE VIE DELL’ACQUA” E’ A CURA DEL SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE – PRO LOCO DI BRANCALEONE – Progetto: ITINERARI CULTURALI E SOSTENIBILITA’  SOCIALE NEL MERIDIONE D’ITALIA (Antonino Guglielmini, Alessandra Sgrò).

 

Otto itinerari letterari da scoprire nella Calabria Ulteriore

Cos’è il turismo letterario?

La letteratura ed il turismo vanno a braccetto, poiché i luoghi possono disegnare una geografia letteraria attraverso la quale, sfruttando gli strumenti di marketing e promozione, si accresce il settore turistico ed economico di una città. Il turismo letterario è un settore del turismo culturale che molti considerano di nicchia, pur riconoscendo che, storicamente, la letteratura è stata una delle prime forme d’incentivazione al viaggio. Il turismo letterario è «travel induced by, or associated with, works of literature, authors and the places featured within literature» (Croy, 2012) vale a dire che esso si rivolge ad utenti la cui immaginazione turistica è stata stimolata da esperienze riconducibili alla letteratura (ma non solo!). Tale turismo si sviluppa, cioè, intorno a luoghi descritti in famose opere letterarie, oppure rilevanti nella vita degli autori di quelle opere. Un tipico itinerario letterario può riprodurre gli spostamenti di un famoso personaggio in un romanzo, può comportare la visita dell’abitazione o della tomba di uno scrittore (la casa di D’Annunzio cioè il Vittoriale d’Italia a Gardone Riviera, quella di Leopardi a Recanati), o ancora può essere legato ad un festival letterario (e dunque alla visita della città dove si svolge, come nel caso di Mantova con il festival della Letteratura) o, infine, a luoghi che ospitano importanti fondi librari o famose biblioteche (si pensi alla Bodleian Library a Oxford) e fiere del libro (come quelle di Torino o Francoforte) e molto altro.

Ma dove nasce?

­­Le origini del turismo letterario ante litteram partono dal 1300 circa con Giovanni Boccaccio, quando in “Trattatello in laude di Dante” ammonisce Firenze per aver ripudiato e mandato in esilio il Sommo poeta annullandone ogni legame quando invece la città ed i suoi cittadini avrebbero dovuto proteggerlo e glorificarlo (in effetti bisogna sapere che la Casa di Dante a Firenze è un vero caso speciale rispetto alla classificazione basata sull’autenticità delle Case Museo detta per autenticità riconosciuta per autorità, poiché il comune solo nel 1895 incaricò una commissione di trovare quella che poteva essere la casa di Dante ma poi se ne individuò e acquistò una che per autorità divenne la Casa-Museo di Dante Alighieri).

Il grande sviluppo del turismo letterario si registra soprattutto nel 1800 quando si assistette alla diffusione e anche alla conclusione, sul finire del secolo, del fenomeno del Grand Tour. La  visita dei luoghi letterari si sposava con gli ideali del pensiero romantico e con tale pratica, le cui tappe italiane rappresentavano i momenti più formativi per lo spirito e per l’intelletto (Venezia era conosciuta come la città decadente, a Roma si studiava l’arte e l’architettura antica, la Sicilia era la destinazione finale, non sempre raggiunta ma, per Goethe, imprescindibile per comprendere bene l’Italia) che dovevano essere celebrati con nostalgia nel ricordo di un passato aureo vissuto dagli autori classici studiati.

 

I luoghi letterari non sempre sono geograficamente riconoscibili o accuratamente segnalati poiché essi possono avere accolto per un singolo momento di passaggio o di breve soggiorno l’autore o il poeta (si tratterebbe dei casi di cafè, hotel, strade). Per esprimere l’inteso e profondo rapporto tra letteratura e promozione del territorio, è possibile far riferimento a cinque strumenti che hanno assunto una crescente importanza negli ultimi trent’anni: le guide letterarie, le case museo e case degli scrittori, i parchi letterari, i festival e le riviste letterarie. Ultimamente si parla anche di percorsi di turismo letterario quali vie, strade, tappe in diverse località della stessa regione o sparse che creano un percorso legato ad un unico tema come nel caso delle Vie di Dante, un percorso tra Toscana ed Emilia Romagna  o la Strada degli Scrittori, la SS 640 dedicata a Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per citarne alcuni…

Il Contesto territoriale;

La Calabria vanta numerosi scrittori e filantropi che hanno lasciato una grande eredità culturale al nostro tempo. Luoghi, aneddoti ed opere composte in questa terra che diede i natali ai grandi filosofi dell’epoca Magnogreca, che rappresentano vere e proprie “pietre miliari” della nostra fiorente cultura, legata non solo al patrimonio materiale ma anche al patrimonio storico-naturalistico e paesaggistico che rappresenta e può senz’altro rappresentare un volano di sviluppo in grado di muovere il turismo nei luoghi che ancora raccontano, che parlano, che narrano vita e autori degni di rilievo. Bisogna però distinguere due tipologie di autori; quelli nativi di Calabria, e chi, pur non essendo originario di questa terra si è distinto per opere di grande rilevanza letteraria.

Nello specifico, in questo percorso-itinerario andremo a riscoprire, luoghi, borghi e peculiarità in lungo e in largo per la nostra provincia reggina, dallo ionio fino alle cime dell’Aspromonte, passando per altre località ricche di interesse. Lo scopo è quello di riscoprire anche i personaggi locali in una sorta di narrazione che si intreccia con uomini, donne e personaggi della storia e della cultura locale, attraverso itinerari narrativi che completano l’esperienza di un viaggio tra le righe del tempo, tra i vari borghi che caratterizzano il territorio.

 

Saverio Strati: Sant’Agata del Bianco (RC)

Saverio Strati è uno scrittore italiano nato a Sant’Agata del Bianco (RC) il 16 agosto 1924 e morto a Scandicci (FI) il 9 aprile 2014 a Scandicci. Dopo gli studi primari inizia a lavorare con il padre come muratore e diventa capo-mastro. Grazie alla sua passione per la lettura, nel corso degli anni legge tante opere della cultura popolare come “Quo Vadis” di Henryk Sienkiewicz o “I miserabili” di Victor Hugo. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, decide di riprende gli studi. Con l’aiuto finanziario di uno zio che abitava negli Stati Uniti, inizia a ricevere lezioni private da parte di alcuni professori della Scuola Media Galluppi di Catanzaro e comincia a leggere anche grandi scrittori come Croce, Tolstoj, Dostoevskij o Verga. Nel 1949 ottiene il titolo di liceo classico e si iscrive in Medicina presso l’Università di Messina (Sicilia) per soddisfare i desideri dei genitori; tuttavia, dopo un breve periodo di tempo, si trasferisce alla Facoltà di Lettere. Decisivo per il suo destino di scrittore è l’incontro con il critico letterario Giacomo Debenedetti che in quel momento insegnava a Messina e del quale diventa uno degli allievi prediletti. Nel 1953, Debenedetti legge il libro di racconti “La Marchesina” e ne sollecita la pubblicazione presso Alberto Mondadori a Milano. Durante questo periodo Strati inizia a scrivere il suo primo romanzo “La Teda”. Nel giugno del 1953 incontra Corrado Alvaro a Caraffa del Bianco e poi si trasferisce a Firenze per preparare la sua tesi di dottorato su riviste di letteratura dei primi due decenni del ventesimo secolo. Intanto, i racconti di Strati vengono pubblicati sulle riviste “Il Ponte”, “Paragone” e sul quotidiano “Il Nuovo Corriere”. Subito dopo aver completato “La Teda” inizia a scrivere il suo romanzo più poetico, “Tibi e Tascia”, edito sempre da Mondadori nel 1959. Nel 1958 Strati sposa una ragazza svizzera e si trasferisce in questo paese dove vive fino al 1964 (periodo durante il quale scrive diversi romanzi e numerosi racconti). Nel 1972 vince il Premio Napoli e nel 1977 il PREMIO CAMPIELLO con il romanzo Il Selvaggio di Santa Venere. I libri di Strati vengono stampati in tutto il mondo. Ma dopo il bellissimo romanzo “L’uomo in fondo al pozzo” (1989), la casa editrice Mondadori, inspiegabilmente, decide di non pubblicare più le sue opere. Il suo paese, Sant’Agata del Bianco, con le sue storie, la sua umanità ed i suoi personaggi, resterà per tutta la vita fonte di ispirazione inesauribile.

(Fonti: Comune di Sant’Agata del Bianco)

ITINERARIO 1: Sant’Agata del Bianco  e Caraffa del Bianco (RC)

L’itinerario giunge nel piccolo paesino di Sant’Agata del Bianco in un itinerario storico letterario ed artistico che attraverso straordinari murales raccontano storie di vita ma anche storie di contadini ed artisti che hanno trasformato questo piccolo paesino in un vero e proprio libro illustrato. La caratteristica di questo itinerario sarà anche la possibilità di ammirare e conoscere persone, fatti e misfatti del borgo, con la visita al piccolo “museo delle cose perdute”, palazzi storici, artisti locali, la chiesa dedicata a Sant’Agata a cui gli abitanti sono molto legati. La vicinanza al borgo di Caraffa è notevole, qui in quattro passi si raggiungerà il centro storico, che ci catapulta in uno scenario completamente diverso, fatto di scorci panoramici, casette tipiche e palazzi antichi che ci raccontano di un passato rivoluzionario, come le vicende legate ad uno dei 5 martiri di Gerace Rocco Verduci e non solo…

Cesare Pavese: Brancaleone (RC)

ll 15 maggio del 1935 lo scrittore Cesare Pavese, in seguito ad altri arresti di intellettuali aderenti a “Giustizia e Libertà“, venne sospettato di frequentare il gruppo di intellettuali a contatto con Leone Ginzburg, e venne trovata, tra le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Cesare Pavese venne arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone. Cesare Pavese resta a Brancaleone dal 4 agosto 1935 al 15 marzo del 1936. Ancora intatta la casa dove visse Pavese, questa abitazione conserva ancora ti fascino di una stanza d’altri tempi, dove ancora è possibile respirare il profumo del gelsomino ed ascoltare il rumore dei treni che ogni ora attraversano la ferrovia prospiciente al giardino della dimora.

(Fonti: www.prolocobrancaleone.it)

ITINERARIO 2: Brancaleone Marina – Brancaleone Vetus (RC)

L’itinerario parte dalla Stazione Ferroviaria dove lo scrittore arrivò ammanettato, prosegue, lungo il corso Umberto I°, passa dalla Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, il Museo del Mare, il Municipio, L’albergo Roma per poi seguire il corso Umberto fino ad arrivare sul lungomare dove ammirare e soffermarsi di fronte allo scoglio lungo, lo scoglio ove lo scrittore amava rifugiarsi per qualche attimo a pensare e guardare il borgo marinaro. Si proseguirà lungo il tratto di lungomare che giunge sino al sottopasso che ricollega l’itinerario sul Corso Umberto, si passerà di fronte all’ex Caserma dei Carabinieri e la Scala Pavesiana dove fare qualche foto ricordo. L’itinerario giunge presso la dimora del confino dove aneddoti, storie e vicissitudini verranno raccontate anche da tanta documentazione esistente all’interno. Il percorso si conclude in piazza Stazione dove sarà possibile visitare e conoscere e visitare il Centro di Recupero delle Tartarughe marine di Brancaleone, per conoscere ed approfondire tutte le realtà del territorio che operano e rendono viva la cittadina. Nel contempo per concludere l’itinerario è possibile concludere con la visita al Borgo abbandonato di Brancaleone Vetus, dove delle straordinarie rocce racconteranno di Pavese, Gianni Carteri e le antiche origini rupestri del luogo, contraddistinto da molti siti di interesse, fra cui: Le grotte-chiese, silos granai scavati nella roccia, vicoletti ed affacci caratteristici, la casa grotta, la Chiesa Matrice e la chiesa nuova dell’Annunziata che ospita al suo interno un centro documentazioni.

 

Corrado Alvaro: San Luca (RC)

Corrado Alvaro nasce il 15 aprile 1895, primogenito dei sei figli di Antonio e di Antonia Giampaolo, a San Luca, un piccolo paese nella provincia di Reggio Calabria, sul versante ionico dell’Aspromonte. Il padre, maestro elementare, è fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfalbeti; la madre proviene da una famiglia della media borghesia. A San Luca trascorre un’infanzia felice, ricevendo la prima istruzione dal padre e da un vecchio maestro del luogo. Nel corso del 1930 pubblica ben tre raccolte di racconti (Gente in Aspromonte, Misteri e avventure, La signora dell’isola) e il romanzo Vent’anni, il più intenso fra quelli italiani imperniati sulla Grande Guerra, che gli valgono il prestigioso (e remunerativo) premio letterario di «La Stampa». L’affettuosa amicizia con Margherita Sarfatti è determinante per stemperare l’inimicizia del regime e per consentirgli una «silenziosa renitenza». Alvaro congiunge il microcosmo calabrese, il paese dell’anima che funge da sostrato a tutto il suo itinerario di scrittore, e la realtà europea, in cui ambiva innestarsi, ma senza cancellare l’identità storico-culturale dei padri. Nella sua opera si raggruma e si esalta l’immagine stessa della Calabria, riproposta nella grandezza della sua storia e nella sua fermentante forza d’irradiazione; e vi confluisce tutta una linea di tradizione culturale e di civiltà, che va dalle radici magnogreche a Gioacchino da Fiore, da Campanella a Padula. Nel gennaio del 1941 torna per l’ultima volta a San Luca, per i funerali del padre; poi, più volte, a Caraffa del Bianco, in visita alla madre e al fratello don Massimo, parroco del paese.

(Fonti: Fondazione Corrado Alvaro)

ITINERARIO 3: San Luca  e Polsi (RC)

L’itinerario inizia con la visita al centro storico di San Luca, dove ancora oggi è possibile ammirare la casa natale di Corrado Alvaro, sostenuta e resa viva grazie all’opera della Fondazione Corrado Alvaro, che consente di visitare gli interni dell’abitazione. Tra i vicoli del borgo, e la vista sulla grande fiumara Buonamico, tra scorci Aspromontani ed il mare che fa sempre da sfondo, si attraversano vita opere e vicissitudini dello scrittore attraverso un viaggio interiore che si inerpicherà per la montagna, fino a giungere a Polsi, dove un antichissimo Santuario legato alla Madonna della Montagna, rievocherà quelle visioni dello scrittore intramontabili. Corrado Alvaro attraverso la sua opera letteraria sarà in grado di trascinare il visitatore all’interno di un percorso che si intreccia con la storia e la spiritualità dell’Aspromonte.

 

Mario La Cava: Bovalino e Casignana  (RC)

Mario La Cava è nato a Bovalino (11 settembre 1908 – 16 novembre 1988) nella Locride, alla sua terra d’origine rimase sempre fedele, svolgendo per un cinquantennio l’attività di intellettuale coerente e leale, stimato dalla gente comune ed apprezzato dagli addetti ai lavori. Possedeva una cultura umanistica, acquisita negli anni di formazione tra Reggio Calabria, Roma e Siena, a contatto con i foyers letterari in voga intorno agli anni Trenta. Ridotto al silenzio dalla censura del regime fascista, trascurato dai mass-media durante la prima Repubblica, La Cava trascorse la sua vita lontano dal mondo industrializzato delle metropoli per meglio meditare sulle ripercussioni sociali e morali che le scelte politiche ed economiche delle varie classi dirigenti hanno avuto sul destino del nostro Mezzogiorno. Di tanto in tanto intraprendeva un viaggio all’estero con lo spirito entusiasta di un osservatore curioso. Prendendo a modello i classici greci l’autore si cala attentamente nella quotidianità contemporanea e ne ricava ritratti e bozzetti dei più avariati tipi di umanità. I temi sociali sono sempre presenti nei romanzi di La Cava, come testimoniano I fatti di Casignana, romanzo improntato sul dramma delle lotte contadine nella Calabria del 1922, in cui il popolo ricopre il ruolo di co-protagonista. L’altro versante della poetica lacaviana è costituito dalla vis comica: intessute di ilarità sono le Opere teatrali, in cui la realtà oscurantista e castrante si deforma per scomporsi in gustose situazioni comiche. La prima opera pubblicata da La Cava, Il matrimonio di Caterina e l’ultimo romanzo edito dallo stesso, Una stagione a Siena, seppur lontani nello stile e nei contenuti, sono accomunati dalla grande passione dell’Autore per il mondo dei giovani con le loro speranze sempre vive e puntualmente travolte da forze sopraffattrici di volontà perverse.

(Fonti: Fondazione Mario La Cava)

ITINERARIO 4: Bovalino e Casignna (RC)

L’itinerario parte da Bovalino dove la casa natale custodisce ancora l’arredamento originario della sua dimora, qui la cava trascorse la sua infanzia. Ci si sposterà verso Casignana, un borgo antichissimo dove oltre ai ruderi dell’antico nucleo storico, ampia spazi paesaggistici ci offrono l’opportunità di cogliere la vastità dei campi coltivati, stessi i quali furono teatro della sanguinosa vicenda legata ai latifondisti del 1922 conosciuti come “i fatti di Casignana”

 

Francesco Perri; Careri e Natile di Careri (RC)

E’ stato scrittore, poeta e giornalista tra i maggiori calabresi ed italiani del Novecento. Nacque il 15 luglio 1885 a Careri (Reggio Calabria), piccolo centro situato su una collina ventosa del territorio ionico tra Capo Bruzzano e Locri.  La famiglia dello scrittore era di modeste condizioni economiche. Nella società del tempo occupava un posto intermedio tra i cosiddetti ‘gnuri’ e il ‘popolino’. Il padre, don Vincenzo, uomo mite e pio, speziale del paese con la modestissima scorta di qualche prodotto galenico, faceva anche l’assistente del medico condotto ed era una delle poche persone che sapeva leggere nel paese. La madre, donna Teresa Sciplini energica e virtuosa era analfabeta. Primo di cinque figli maschi, restò orfano di padre in tenera età, ebbe un’ infanzia e un’adolescenza difficili per le scarse risorse finanziarie della famiglia, ma fu libero e gaio, sempre a contatto con la natura e l’ambiente contadino. La madre riuscì, nonostante le difficoltà, a provvedere alla istruzione del figlio facendolo studiare presso il seminario vescovile di Gerace, unica scuola accessibile all’epoca.  A conclusione della quarta ginnasiale fu costretto a tornare al paese perché contrasse la febbre di Malta. In quegli anni conobbe più da vicino la povera gente prostrata dai bisogni e dalla sofferenza e i contadini insoddisfatti dalla scarsa produttività delle terre. Conservò per tutta la vita la memoria dei contatti quotidiani con la natura, i paesaggi e le notti stellate. Nel 1904 lasciò il paese per poter completare gli studi privatamente e si sosteneva con i proventi da istitutore nell’orfanotrofio provinciale Lanza di Reggio Calabria. Nel 1908 abbandonò Reggio. Aveva 23 anni quando si trasferì in Piemonte a Fossano avendo vinto un concorso nelle Poste Italiane. Lavorando e studiando conseguì la maturità classica nel 1910 e nel 1914 la laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino. Nel 1916 si sposò con Francesca Olocco, giovane contadina piemontese. Si iscrisse alla facoltà di filologia moderna presso l’Università di Pavia senza però conseguire la laurea a causa del sopravvenuto conflitto mondiale che da interventista e patriota lo coinvolse. Si arruolò come volontario e con la qualifica di Ufficiale di Artiglieria, prese parte alla prima guerra mondiale. In quegli anni così ricchi di tensioni e contrasti non dimenticò la Calabria.  Nel 1921 recatosi a Careri per visitare i suoi fratelli incontrò ex combattenti impegnati nella lotta per l’assegnazione delle terre demaniali usurpate. Si mise al loro fianco per poterli aiutare nei rapporti con il Prefetto, arbitro della vertenza, ma per questo fu denunciato e condannato. Nel 1945 accettò la direzione del quotidiano ‘Il Tribuno del Popolo’, giornale dei repubblicani di Genova. Nel 1946 il Partito Repubblicano lo nominò direttore del quotidiano ‘La voce Repubblicana’. Tale incarico durò da marzo a luglio di quell’anno. In quell’anno fu anche candidato all’Assemblea Costituente nelle liste del Partito Repubblicano per la circoscrizione della Calabria, ma non venne eletto per pochi voti. Nello stesso anno fu riassunto dall’Amministrazione delle Poste e come Direttore provinciale assegnato a Pavia. Nel 1954 si ritirò dal lavoro e continuò a vivere a Pavia con la famiglia fino alla morte. Durante tutta la sua vita, collaborò e pubblicò articoli su diversi quotidiani e periodici: La Voce Repubblicana, Provincia Pavese, Gazzettino di Venezia, Il Tribuno del Popolo, Anima e Pensiero, Domenica del Corriere, Corriere dei Piccoli, ed altri. Francesco Perri morì a Pavia il 9 dicembre 1974 e per suo desiderio è stato sepolto nel cimitero di Careri.

(Fonti: www.associazioneculturalefrancescoperri.it)

ITINERARIO 5: Careri  e Natile di Careri (RC)

L’itinerario parte da Careri, paese nativo dello scrittore, secondo la leggenda il paese trarrebbe origine dall’antica Pandora, distrutta da un terrificante terremoto nel 1507. Gli abitanti di questo centro, in seguito al sisma, si sarebbero dispersi in varie zone insediandosi soprattutto nell’area che ospita oggi il paese. Fino a quando non fu riconosciuto Comune autonomo, nel 1836, fu feudo conteso da ricchi casati, subendo, dunque, come molti altri centri, il sistema feudale. Venne colpito duramente, riportandone gravi danni, dai sismi del 1783 e del 1908, a cui si aggiunse la catastrofe operata dalle alluvioni del 18 ottobre del 1951 e del 1973. Si raggiungerà Natile di Careri, dove dal piccolo borgo si intraprende un percorso che ci porterà alla scoperta del “monolite più Grane d’Europa”, alla coperta di un Aspromonte misterioso e struggente, magari con la possibilità di incontrare il Lupo Kola del romanzo di Perri.

 

Tommaso Campanella: Stilo e Stignano (RC)

Filosofo di Stilo, Reggio di Calabria nato nel 1568. Entrato adolescente nell’ordine dei domenicani, venne formando la sua cultura filosofica soprattutto con la lettura dei platonici e di Telesio; a Napoli, dove si recò assai presto per contese con i suoi confratelli in Calabria, strinse amicizia con G. B. Della Porta interessandosi a ricerche e pratiche di magia e di astrologia. A Napoli pubblicò la Philosophia sensibus demonstrata (1591) e fu sottoposto a un processo per eresia (1592); successivamente a Padova subì un altro analogo processo e ancora un terzo a Roma (1596), terminato con la condanna e l’abiura; poco dopo un altro processo lo obbligò al ritorno in Calabria. Frattanto aveva scritto fra l’altro De Monarchia christianorum (1593), De regimine Ecclesiae (1593), Discorsi ai Principi d’Italia (1594), Dialogo contro Lutero, Calvinisti e altri eretici (1595). Le linee fondamentali del pensiero di Campanella sono già definite: l’ antiaristotelismo, il panvitalismo, l’idea di una riforma politico-religiosa, il quadro astrologico-magico. Nel 1602 fu condannato al carcere perpetuo. Restò in prigione ventisette anni: in questo periodo  riuscì a lavorare e compose gran parte delle sue opere maggiori: la Monarchia di Spagna (1601), la Città del sole (v.), De sensu rerum (1603), Monarchia Messiae (1605), Antiveneti (1606), Atheismus triumphatus (1607), Philosophia rationalis (1619), Quod reminiscentur (1625). Liberato nel 1626, fu nuovamente rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio, donde fu liberato (1629) per la benevolenza di Urbano VIII (che gli aveva fatto dare il titolo di magister e lo teneva come consigliere in fatto di astrologia).  Il 21 ottobre 1634 il Campanella lasciò Roma e l’Italia: a Parigi, dove ebbe accoglienze amichevoli, poté finalmente iniziare la pubblicazione delle sue opere; ma la morte lo colse nel convento di Saint-Honoré, quando erano stati pubblicati solo cinque volumi. Prima di morire, aveva dettato a G. Naudé una sua autobiografia, De libris propriis et recta ratione studendi syntagma (postuma, 1642). Muore a Parigi nell’anno 1639.

(Fonti: Associazione Innovus APS )

ITINERARIO 6: Stilo, Stignano e Placanica (RC)

L’itinerario parte da Stilo, qui un itinerario storico ed artistico seguirà i monumenti del borgo contraddistinti dalla famosa cattolica di Stilo patrimonio UNESCO, il Duomo, la chiesa di San Giovanni Teristhis, la statua bronzea del filosofo e la fontana dei delfini, il viaggio prosegue verso Stignano paese natio del Filosofo (com’è ben noto per molti anni l’abitazione del noto filosofo è stata oggetto di disputa tra i Comuni di Stilo e Stignano), motivo della contesa il luogo di nascita di Tommaso Campanella, assegnato a Stilo perché a quei tempi Stignano, non possedendo autonomia finanziaria, dipendeva amministrativamente da Stilo. In effetti, nel 1968, un Decreto ministeriale ha confermato che la nascita del grande filosofo è avvenuta a Stignano. In paese, infatti, esiste una piccola casa in pietra indicata come la culla natia del grande filosofo. Litinerario prosegue e si conclude a Placanica dove oltre la bellezza del borgo, le sue chiese ed i suoi panorami, si giunge al Monastero dei Padri Domenicani, dove il filosofo prese i voti.

 

Leonida Repaci: Palmi (RC)

Nacque a Palmi (Reggio Calabria), ultimo di dieci figli, il 5 aprile 1898 da Antonino, imprenditore edile, e da Maria Parisi. A circa un anno rimase orfano del padre ed ebbe un’infanzia poverissima; all’indomani del terremoto calabro-siculo del 1908, insieme a un fratello e a due sorelle fu mandato a Torino presso il fratello Francesco, avvocato. A Torino, completò gli studi liceali e, iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, interruppe i corsi universitari per partecipare alla prima guerra mondiale come tenente nel corpo degli Alpini. Ferito sul Grappa, a Malga Pez, fu congedato con il grado di capitano e con una medaglia al valore. Si laureò nel 1919; nello stesso anno, dal 18 al 27 settembre, perse di febbre spagnola una sorella e due fratelli. La loro scomparsa gli ispirò i versi della silloge Il ribelle e l’Antigone (Palmi 1919) poi riveduti e, con il titolo La Raffica, accorpati ai Poemi della solitudine (Palmi 1920). Influenzato dalle idee politiche del fratello Francesco, abbracciò gli ideali del socialismo, consolidati, nella Torino del primo dopoguerra, grazie alla vicinanza con Piero Gobetti e soprattutto con Antonio Gramsci nella redazione dell’Ordine nuovo, rivista sulla quale Répaci firmava, con lo pseudonimo Gamelin, articoli di intervento e di critica letteraria. Nel 1921si trasferì a Milano dove iniziò la professione forense e assunse la difesa di Federico Ustori (uno degli anarchici accusati della strage conseguente all’attentato dinamitardo al teatro Diana). Abbandonò subito dopo la toga con una netta scelta di campo per la letteratura. Esordì con il romanzo “L’ultimo cireneo” (1923), Répaci fu scrittore torrenziale, per la furia del dire, produsse un abnorme accumulo di elementi narrativi di grande spessore. Ciò è riscontrabile anche nella Storia dei fratelli Rupe, a cui lo scrittore lavorò dal 1932 al 1973 costruendo un vastissimo quadro degli eventi storici nazionali europei e mondiali del Novecento.

(Fonti: Associazione Fogghi di Luna)

ITINERARIO 7: Palmi e la Costa Viola (RC)

Il percorso narrato si sviluppa per 15 km. Partendo da Piazza Primo Maggio, continua verso Villa Mazzini e prevede fra le mete la Caletta di Rovaglioso, le spiagge di Buffari, di Tombaro e della Pietrosa, e poi le grotte archeologiche di Trachina e Perciata, la Casa Oliva e Repaci con vista dalla guardiola. Ed ancora l’affaccio dalla scalette sopra lo Scoglio dell’Ulivo, le cui origini e la tipologia di miloniti,(roccia proveniente dalle viscere della terra e formazione geologica del tutto differente da tutte le altre porzioni di spiaggia) rendono l’esperienza completa sotto tutt i punti di vista, il Parco Archeologico dei Tauriani, con il santuario di San Fantino, Pietrenere, Fortino di Murat e lo Scoglio dell’Isola. ll percorso si sviluppa ed amplia la sua offerta attraverso il “Sentiero Tracciolino”, che parte dal centro storico, passando per la “Casa della Cultura Leonida Repaci” la villa Mazzini con i sui straordinari affacci, che rende questa destinazione unica nel suo genere, grazie ad il suo paesaggio incantevole, la  storia millenaria dei luoghi, le emergenze archeologiche ed mare color viola che si amalgamano in modo straordinario, con la natura incontaminata di questi luoghi. Un cammino letterario sospeso tra cielo e mare come un “balcone” sullo Stretto con panorami  mozzafiato e vista sulle isole Eolie, rese ancora più affascinanti dalla sensazione di poterle toccare con un dito, in un luogo nel quale la montagna dell’Aspromonte si tuffa sul Tirreno.

 

Umberto Zanotti Bianco: Africo e Ferruzzano (RC)

Umberto Zanotti Bianco, conosciuto anche con lo pseudonimo di Giorgio D’Acandia, nacque il 22 gennaio del 1889 a Creta dove il padre Gustavo, diplomatico piemontese, si era trasferito con la moglie, l’inglese Enrichetta Tulin, per motivi di lavoro. Ritornato in Piemonte, Umberto frequentò il collegio «Carlo Alberto» di Moncalieri dei Padri Barnabiti, dove approfondì gli studi sul Cristianesimo e apprese la lezione mazziniana sulla libertà, i diritti e i doveri degli uomini. Nel 1910 condusse con Giovanni Malvezzi un’inchiesta sulle tragiche condizioni di vita della gente dell’Aspromonte, da cui nacque un saggio dal titolo: “L’Aspromonte Occidentale”. Avendo compreso che era necessario affiancare le popolazioni nel difficile momento di ricostruzione e di superamento dello stato di indigenza e di degrado diffuso, fondò, assieme a Pasquale Villari e Leopoldo Franchetti, l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (A.N.I.M.I.), con lo scopo di formare insegnanti, alfabetizzare adulti e bambini, costruire asili, scuole elementari, biblioteche, circoli di cultura, cooperative di produzione e di consumo, centri di assistenza. Grazie anche all’aiuto di personalità del calibro di Giuseppe Lombardo Radice, Giuseppe Isnardi e Tommaso Gallarati Scotti, Zanotti Bianco portò avanti una serie di iniziative educative nelle zone più impervie della Calabria, per sconfiggere l’analfabetismo imperante. I suoi interessi includevano anche l’arte e l’archeologia; nel 1920 fondò assieme a Paolo Orsi la «Società Magna Grecia», grazie alla quale condusse una serie di scavi a Sant’Angelo Muxaro e a Sibari. Nel 1944 fu nominato presidente della Croce Rossa Italiana, che organizzò (La Croce Rossa, 1944-47, 1947). Nel 1947 socio corrispondente dei Lincei, nel 1952 divenne senatore a vita. Fu anche presidente dell’associazione Italia nostra, per la tutela del patrimonio artistico e naturale.

ITINERARIO 8: Africo  e  Ferruzzano (RC)

L’itinerario è costituito dalle vicende che legano l’Aspromonte ed i suoi “ormai” paesi fantasma dell’entroterra, si inerpicherà per le ripide montagne dell’Aspromonte fino a raggiungere Africo antico, ammirare la scuola che Zanotti fondò, raggiungerà Ferruzzano Superiore, ormai quasi disabitato per immergersi anche qui nell’atmosfera dei paesi abbandonati, ma nel contempo scrigni di storia e di identità, qui anche la scuola per l’infanzia voluta da Zanotti Bianco ancora è esistente. Le vedute panoramiche, gli scorci e le storie legate al borgo e alle sue origini, incorniceranno il viaggio in un unicum fatto di storia antica e moderna, dell’Italia meridionale degli anni ’40.

(Fonti: www.kalabriaexperience.it)

 

PROGETTO IN COLLABORAZIONE CON:

Servizio Civile Universale – Pro Loco di Brancaleone APS, EPLI Calabria, Promozione Italia ETS.

Itinerario Culturale; fra le torri e le antiche fortificazioni della Costa dei Gelsomini

Un interessante itinerario, alla scoperta delle torri costiere e montane della costa dei gelsomini, da Melito Porto Salvo a Bianco, alla ricerca di ciò che rimane oggi di un antico passato. Il tour parte da un idea progettuale di ricerca nell’ambito del progetto del Servizio Civile Universale fornito da Promozione Italia ETS e promosso da Epli Calabria in collaborazione con la Pro Loco di Brancaleone e Kalabria Experience.

Il progetto denominato: “Torri costiere e montane le sentinelle dimenticate della Calabria”, mira alla comprensione del valore storico e culturale di questa fascia costiera, ricca di tantissime testimonianze da conoscere e valorizzare.

Il lavoro di mappatura è stato condotto dai volontari: Noemi Macrì e Leonardo Condemi, con la collaborazione di molte fonti e fotografi amatori ben descritti e menzionati in ogni paragrafo a cui vanno i nostri ringraziamenti. Sicuramente, da questo breve tour, possono essere tratti numerosi spunti per completare l’itinerario, perché attraverso le torri costiere e montane, si aprono numerosi spunti di approfondimento.

Questa è una prima mappatura che vuole risaltare le curiosità più evidenti del territorio preso in esame.

“LE TORRI COSTIERE DELLA CALABRIA E DELL’ITALIA MERIDIONALE”

La costruzione di “osservazioni fortificate” è riportata fin da Plutarco (125-50 a.C.) e fu realizzata anche dai Romani, il cui commercio venne messo in crisi dai pirati sino al 67 a.C., quando la legge Gabinia consentì a Pompeo di armare una flotta contro i predoni e rendere tranquillo il Mare Nostrum. Dopo il crollo dell’Impero Romano, il territorio italiano divenne preda delle popolazioni germaniche. Le coste dell’Italia meridionale vennero sistematicamente attaccate, sia dalle coste africane (Vandali), che dai Visigoti (Spagna, Francia occidentale). Gli attacchi si intensificarono nel 632, dopo la morte di Maometto, quando l’Islam iniziò la sua espansione verso l’occidente. Fu così che le fortificazioni costiere si fecero sempre più numerose, soprattutto dopo il IX secolo. Le Torri si svilupparono più o meno contemporaneamente in tutti gli stati della penisola, ma la maggior quantità di Torri venne realizzata nel Regno di Napoli, quello più esposto alle scorrerie.

I primi a ideare un sistema permanente di segnalazione e di difesa, per mezzo di Torri collocate in modo che da ognuna fossero visibili la precedente e la successiva, furono gli Angioini (1266–1442) e la loro opera fu continuata dagli Aragonesi (1442-1503). La realizzazione fu solo parziale, anche a causa dei cambiamenti politici, e finì per passare sotto il controllo dei feudatari e dei privati, proteggendo i territori, più che le popolazioni. E’ solo nella prima metà del XVI secolo che si comincia ad apprezzare una reale organizzazione delle strutture difensive costiere. A partire dal 1532, sotto l’impero di Carlo V, il viceré di Napoli don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, marchese di Villafranca del Bierzo (1532-1553), iniziò la costruzione di Torri costiere presidiate da militari muniti di catapulte ed armi da fuoco, tra cui almeno un cannone posto all’esterno. La realizzazione delle Torri si rendeva necessaria per le continue scorrerie di corsari. La realizzazione del progetto fu rallentata, sia perché gravava interamente sui singoli comuni impoveriti dalle guerre, sia perché l’attenzione era rivolta alla guerra contro i Francesi.

Fra le tipologia di torri d’avvistamento è possibile distinguere:

1) Le torri angioine; le più antiche, di forma cilindrica, con basamento a tronco di cono che rappresenta i 2/3 dell’altezza dell’intera torre ed è sormontato da una cordonatura (redondone o toro) di tufo grigio in piperno (roccia vulcanica proveniente dalle cave napoletane poste ai piedi dei Camaldoli) o materiale simile, e mura poco spesse. Avevano funzione, essenzialmente “di avvistamento”

2) Le torri aragonesi; più basse, a pianta quadrata con volte a crociera e muratura più spessa sul lato esterno. La merlatura delle Torri e quella delle cortine dovevano avere la stessa altezza, “per evitare il tiro delle artiglierie sui corpi di fabbrica emergenti”. Gli aragonesi diminuirono d’altezza le Torri angioine, sia demolendo i coronamenti superiori, sia innalzando il livello del terreno alla base delle Torri stesse.

3) Le torri del periodo vicereale; simili alle precedenti, a pianta quadrata, con basamento a scarpa, mura provviste di feritoie e spesse oltre 3 metri, particolarmente sui lati rivolti verso il mare, e sormontate da una terrazza delimitata da merlature.

Fu l’avvento dell’artiglieria a segnare il passaggio dalla forma circolare a quella quadrata, per meglio resistere alle cannonate. Le nuove Torri, costruite con criteri più moderni, erano così in grado di assolvere a funzioni di avvistamento, riparo ed anche offesa. Talvolta, due o più Torri venivano unite da ballatoi. L’ingresso veniva aperto sul lato a monte, al piano superiore (3-6 m. di altezza) e poteva essere dotato di una scala retraibile, anziché in muratura.

Per avere un quadro meglio illustrato del complesso sistema di torri di avvistamento della fascia ionica reggina, il  lavoro si è concentrato sul tratto costiero tra Melito di Porto Salvo e Bianco, dove abbiamo rilevato molte delle tipologie di torri che ci consentono di avere un quadro più o meno completo del ricco contesto difensivo del territorio in epoche diverse, se pur la mappa e le ricerche affrontate, non ci hanno consentito di verificare l’esistenza di resti di torri sulla tratta Melito-Bova, sul quale non esistono segni “evidenti” di queste testimonianze, ma meglio dettagliate su pubblicazioni storico-scientifiche edite da diversi autori.

 

1 – Torre Saracena Melito Porto Salvo

(Foto: Santina Marateia)

 

La torre saracena a Melito Porto Salvo sorge su un promontorio a 110 mt slm alle spalle del Paese Vecchio risale al 1550 era in comicazione visiva con la Torre di Salto Della Vecchia (San Lorenzo) a sud e con la Torre di Musa a nord. La Torre si trova tra la fiumara di Sant’Anna e Sant’Elia, la base è a forma circolare tronconica.

(Fonti: Arch. Santina Marateia)

 

 2- Torre di Pentidattilo

(Foto: Giuliano Guido)

La Torre risale al 1613, sorge a 80mt slm all’interno del territorio di Melito di Porto Salvo. A pianta quadrangolare era in comunicazione con la Torre di Capo d’Armi.

(Fonti; Associazione Kronos Arte)

 

3 – Bova Marina; Torre di Capo San Giovanni d’Avalos o Torre Tasca

(Foto-Enzo-Galluccio)

La Torre di San Giovanni d’Avalos , sorge sul promontorio di Capo San Giovanni D’Avalos a Bova Marina. Questa struttura difensiva, che fa parte di una rete di torri costiere delle coste Calabresi, serviva a proteggere l’approdo costiero, un tempo nel territorio della Chora di Bova, nel corso dell’età moderna (XV), dove abitava una popolazione costituita da contadini e pastori che lavoravano le terre della nobiltà locale.

(Fonti: Pro Loco di Bova Marina)

 

4 – Palizzi; Torre Mozza

(Foto: Calabriagreca.it)

Sorge nel comune di Palizzi (RC) su un promontorio, nella zona dichiarate più a sud dell’Italia peninsulare. Porto Palizze, così era chiamata questa baia tra Sette e Ottocento. Dell’attracco costiero non vi è più traccia, fatta eccezione per una torre di avvistamento, del 1595, detta Torre Mozza, per via dello squassamento delle parti superiori della struttura, di cui rimane un unico angolare, impostato su una base rettangolare.

(Fonti: Calabriagreca.it)

 

5- Torre di Capo Spartivento (oggi faro)

(foto: pro loco Brancaleone)

L’antica torre di Capo Spartivento sorgeva sul promontorio chiamato “Heracleum Promontorium”, accanto al torrente Aranghìa. Costruita alla fine del 500, come rilevato da uno dei 99 acquerelli del famoso “Codice Carratelli” insisteva una torre d’avvistamento in seguito distrutta e sostituita dall’odierno faro, acceso la prima volta il 10 settembre 1867 e ristrutturato nel 1910. La lanterna ad ottica visibile per 22 miglia nautiche.

(Fonti; Pro Loco di Brancaleone)

 

6– Brancaleone; Torre Sperlongara

(Foto: Pro Loco di Brancaleone)

Torre Sperlonga o Sperlongara, sorge sulla rupe che domina il centro costiero di Brancaleone marina. Costruita intorno al 1600 per sorvegliare il tratto di costa sottostante dalle invasioni saracene, e appositamente era stato costituito un corpo militare di sorveglianza, con uomini a cavallo che venivano detti “cavallari”. Per mantenere questo corpo militare vigeva anche un criterio della spesa secondo il quale le popolazioni residenti entro dodici miglia dal mare pagavano la tassa per intero, oltre questa distanza la somma veniva dimezzata. Nel 1605-06, l’addetto alla sorveglianza era il “torriero” Giovanbattista Marzano; un secolo dopo, nel 1707, tale compito venne affidato ad un certo Carlo De Lorenzo. Su una delle pietre con cui è stata costruita la torre, si leggeva sino a tempi recenti, una scritta in latino (M.MIN….Bellum gesse…Sperlungae…..Dux erat…..recatus et sepoltus), ormai scomparsa, e di incerta decifrazione. Una targa datata 1950 ed una croce in cemento, riporta l’anno giubilare, che è ancora visibile.

(Fonti; Vincenzo De Angelis)

7 – Torre di Galati o Marafioti

(Foto: Giuseppina Sapone)

Poco distante, su un’altura dell’entroterra, lungo la valle del torrente Aranghìa, sorge un fortilizio denominato ancora oggi “Torre di Galati”. Fonti storiche riferiscono che tale edificio ricadeva all’interno delle proprietà del Governo. Nel 1626 il governo si vide costretto a mettere all’asta tutte le foreste, ma il principe di Roccella Fabrizio Carafa vantava dei diritti acquisiti sulle stesse, fu così che si arrivò a un accordo economico che prevedeva la cessione delle foreste ai Carafa. Queste proprietà nel secolo precedente appartennero alla Famiglia Marullo da Messina (Conti di Condojanni).Qualche anno più tardi nel 1628 Fabrizio Carafa vendette per 19.000ducati al Magnifico Giovanni Antonio Genoese,  il feudo di Galati. Dal Catasto Onciario di Palizzi dell’anno 1745 risulta che la foresta di Galati unitamente alla Torre, era intestata al Barone Paolo Filocamo che l’aveva affidata al Dott. Michele Francesco Cafari (del casale di Staiti). In realtà il feudo di Galati era anche la destinazione finale della transumanza del bestiame che giungeva dalle serre Catanzaresi, inoltre nella Torre e negli edifici annessi trovavano ricovero i pastori che conducevano le greggi. Nel 1779 il pastore di Fabrizia Giovanni Monteleone, fece testamento proprio all’interno della “Torre di Galati”, il cui territorio nello stesso atto testamentario viene chiamato “Villa di Galati”.

(Fonte: Carmine Laganà)

 

8- Brancaleone Torre medievale in loc. Lacchi

(Foto: Pro Loco di Brancaleone)

Dalle ricerche condotte dal Prof. Giuseppe Cordiano nell’anno 2015, in località Lacchi di Brancaleone,risultano dei resti di un fortilizio medievale, di cui oggi rimangono poche racce di blocchi di pietra. Qui anticamente sorse una torre d’avvistamento. Le notizie sono scarse, ma ad oggi sappiamo che questo antico maniero, posto su questa altura di fronte alla costa servì per l’avvistamento di eventuali pirati.

(Fonti: Giuseppe Cordiano)

 

9- Rocca Armenia (Torre Bruzzano)

(Foto: Pro Loco di Bruzzano)

Dove oggi insistono i ruderi dell’antico castello di Rocca Armenia o Rocca degli Armeni, vi era un maestoso castello cinto da mura dotato di torrioni. Il Torrione principale, chiamato anche con l’appellativo di Torre Mastio, posto sulla rupe più alta del castello, era alto diversi metri. Per le caratteristiche della sua struttura, Rocca Armenia intorno al 1600-1700 viene descritto da alcuni cronisti con l’appellativo di “Torre Bruzzano”, richiamando appunto l’utilità che tale castello e punto di avvistamento aveva per tutto il circondario ed i paesi limitrofi. Tali torri interne al territorio, comprendevano la rete di avvistamento piratesco che dal mare comunicava anche con l’interno, dove la popolazione risiedeva più numerosa.

(Fonti: Orlando Sculli)

 

10- Torre di Capo Bruzzano – Bianco

(foto; Pro Loco di Brancaleone)

La torre di Capo Bruzzano, sorge sul promontorio Zephiros, territorio di Bianco, oggi ridotta in rudere, sorge sul promontorio Zefiro, ricadente nel comune di Bianco. Essa faceva parte della rete di torri costiere, costruite per difendere le popolazioni dalle invasioni piratesche verso la fine del ‘500. La sua posizione strategica, le consentiva di comunicare con le altre torri dislocate sulla costa verso nord, Bianco, Bovalino, Ardore, Gerace ecc…, invece lungo la fascia dell’alto ionio e basso ionio verso sud con Brancaleone, Palizzi, Bova Marina ecc…

(Fonti: Vincenzo Cataldo)

 

 

Casalinuovo di Africo (RC)- Tra Cronaca e Storia

Casalnuovo (o Casalinuovo) è una frazione del Comune di Africo in provincia di Reggio Calabria. I suoi abitanti, che anticamente venivano chiamati “Tignanisi”, Il paese, che è stato costruito a 737 metri sul livello del mare, oggi disabitato, è situato su una rupe, nei pressi di Africo, alla destra del torrente Apòscipo. Lo si può raggiungere seguendo lo stesso itinerario per andare ad Africo fino ad un bivio dopo i Campi di Bova (Monte Lestì o Grosso).

Pur seguendo le vicissitudini storiche, sociali e umane di Africo e di Casalnuovo si trovano segni distintivi in resoconti di alcuni storici le cui testimonianze si trovano sia nel libro “Africo” di Corrado Stajano che nel libro “Africo dalle origini ai nostri giorni – Una storia millenaria”  di Bruno Palamara. Le cronache, nel seicento, parlano di un casale di Africo nel territorio di Bova; nel Settecento accennano a un gruppo di monaci orientali che a Casalnuovo di Africo professavano il proprio rito e poi lo abbandonarono si stabilirono dapprima in Sicilia, poi in Calabria. La provincia di Reggio, fin dall’ VIII secolo era caratterizzata dalla massiccia presenza di monasteri basiliani. Questi monaci, come sappiamo vivevano in  isolati sulle montagne dell’Aspromonte, lontano dai centri abitati, erano dediti alla preghiera, agli studi religiosi, alla copiatura e traduzione di manoscritti biblici.
Lo storico Fiore riporta nella sua “Della Calabria illustrata” un documento che ricorda che “Nel concedimento fattone dal Re Roberto a Niccolò Ruffo nell’anno 1328, vedo notati per i suoi villaggi Motta Bruzzano o Motticella, il Salvatore o Casalnuovo e Ferruzzano”.


Secondo A. Oppedisano, nel 1629 il Principe di Roccella costruisce a Casalnuovo la chiesa del SS. Salvatore, eretta prima ad oratorio, poi con la bolla del Vescovo Barisani del 4 dicembre 1798 elevata a chiesa parrocchiale.
Verso la fine del 1700 Casalnuovo, che praticava l’allevamento del baco da seta, contava 600 abitanti. Si ricorda anche che, nel 700, “un gruppo di monaci greci a Casalnuovo e ad Africo professavano il proprio rito che poi abbandonarono”. Le tracce dell’origine greca si conservano tutt’oggi nella parlata, tuttavia corrotta dalla modernità.

Lorenzo Giustiniani nel 1797 così descrive Casalnuovo: “Villagio in Calabria ulteriore in diocesi di Gerace, dalla quale città si è lontano miglia 32 circa. Egli è abitato da circa 600 individui tutti addetti all’agricoltura e alla pastorizia. Dal territorio raccolgono tutti i generi di prima necessità ed hanno similmente l’industria dei bachi da seta. La sua situazione è tra monti di aria mediocre. Si appartiene in feudo alla famiglia Caraffa, de’ principi di Roccella”. Nella parte opposta di Africo, e questa è la tesi di Costantino Romeo “Una squadra di pastori fondò molti secoli fa un altro paesello di nome Tignano, anzi gli anziani dicevano che combatterono contro gli arabi”. Dal nome Tignano nacque, secondo il Romeo, il termine “tignanisi” dato agli abitanti di Casalnuovo, che si conservò fino alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso.


I terremoti del 1905 e del 1908 danneggiarono gravemente la chiesa insieme a gran parte del paese. Di seguito la chiesa sarà ricostruita ex novo. Da altre fonti citate dal Palamara si desumono le seguenti altre notizie: “Il suo nome cambiò parecchie volte, passando da Casalnuovo a Casalnuovo d’Africo a Salvatore, a seconda dell’appartenenza al comune capoluogo di Bruzzano prima e Africo poi.

Nel 1815 Casalnuovo si stacca da Bruzzano per essere aggregato definitivamente ad Africo che, con l’accorpamento di Casalnuovo, raggiunge una popolazione di 1726 abitanti. Nel 1830, ci ricorda A. Oppedisano, il Vescovo di Gerace si interessa per far elevare Casalnuovo a comune autonomo smembrandolo da Africo; richiesta che non viene accolta perché… la popolazione della frazione non supera i mille abitanti.


Come Africo, anche Casalnuovo è stato gravemente danneggiato dall’alluvione che avvenne dal 15 al 20 ottobre del 1951, in cui morirono sei persone;  e poi, definitivamente, da quella, meno grave, del 1953. Le persone che hanno vissuto quel periodo, raccontano il susseguirsi delle piogge continue e lente che provocarono frane e trasportando a valle valanghe di detriti, fango e pietre dalle montagne adiacenti.

(FONTI: https://www.giuseppemorabito.it/casalnuovo.html )

 

LA RIFLESSIONE:

Casalinuovo, rappresenta tristemente quella parentesi mai interrotta dei centri interni dell’Asprmonte, abbandonati per necessità, per l’evolversi (o l’involversi dei tempi), per l’inerzia politica d’un tempo, che li ha fatto morire. Ed è utile oggi come oggi, tornare ad osservare, a contemplare quei resti che solitari e fragili rimangono a guardare il viandante che s’interroga su come sia potuto accadere che un popolo abbandoni per sempre le loro case.

Questi interrogativi servono e serviranno ad interrogarsi sul futuro, sulla nostra capacità di ascoltare e capire la storia di un passato non molto lontano, che ci ha attraversato velocemente e che attende una decelerazione sul contesto della conservazione del nostro patrimonio storico e culturale.

E’ sempre affascinante tornare a Casalinuovo, cogliere nel volto dei pastori quel senso di inquietudine e di estraneità al mondo contemporaneo. Bisognerebbe tornare spesso in questi luoghi, per resettare i nostri pensieri, riabituarci alla lentezza e al programmare il nostro futuro che appartiene alla montagna.

© Carmine Verduci

 

 

rocca di san fantino

La leggenda della rocca di San Phantino.

Luoghi misteriosi nella nostra Calabria, luoghi dove riecheggiano ancora strani racconti e leggende avvincenti dai significati forti che gli anziani ancora tramandano attraverso i racconti
Oggi ci soffermiamo sulla leggenda della “Rocca di San Fantino”, che ho avuto modo di visitare recentemente. Un luogo costellato da grandi rocce di arenaria rossa, e palmenti in pietra, testimonianze di grande interesse archeologico e storico di questi luoghi.

Ci troviamo a Motticella piccola frazione di Bruzzano Zeffirio, dove vi abitano poco più che una manciata di abitanti per lo più anziani che si dedicano ancora con tanta passione e determinazione alla pastorizia e all’ agricoltura. Il borgo sull’orlo del torrente Bampalona o Torno è dominato dal maestoso il Monte Scapparone (1058 mt s.l.m.).

Proprio nelle vicinanze del paese, alle pendici del monte Fasoleria nel comune di Ferruzzano, vi è una località chiamata San Fantino (o come riporta un cartello turistico posto sulla strada dove c’è scritto “Rocca di San Phantino“).
La località è caratterizzata da un monolite di arenaria che si erge come un dito in uno scenario davvero unico al mondo, non distante dai resti medievali di chiese bizantine e antiche chiesette che costellano il territorio che ricadono anche sul territorio di Bruzzano Zeffirio e Ferruzzano. Attraverso tanta curiosità, mi avventurai nel borgo di Motticella, attraverso vicoli e vicoletti che conducono alla parte più alta della collinetta su cui spicca un fabbricato che dev’essere di origini medievali. Qui il paese ha accolto il famoso cronista televisivo RAI Vincenzo Mollica che trascorse parte della sua infanzia sino al suo trasferimento nel nord Italia. La poca gente che vi abita è così cortese che la cosa che mi rimarrà sempre impressa è la bella atmosfera che ho vissuto proprio quando la signora che abita proprio sotto a quello che viene chiamato Castello o Casa Baronale di Motticella mi invitò a casa sua bere un bicchiere di vino di sua produzione con tanto di formaggio pecorino prodotto dalla loro piccola azienda agricola, mostrandomi i lavori d’intaglio su legno realizzati dal padre che è un vero maestro di questa tradizione antica che oggi è più unica che rara.

Il mio percorso però non vuole fermarsi a borgo ma trovare la strada che mi conduce alla località “Bagni”, in questa località da una fenditura di una roccia sgorga dell’acqua sulfurea dalle proprietà benefiche davvero incredibili, tanto conosciuta dai monaci Bizantini dell’epoca che in questo luogo attraverso delle vasche costruite appositamente e di cui ne rimangono tracce evidenti, curavano ogni male, tanto che fino agli anni ’50 venivano prelevati i fanghi per essere utilizzati nella prima stazione termale sita ad Antonimina nell’entroterra della città di Locri.

Mentre mi incamminai sulla strada che costeggia uno un bosco di Eucalipti, incontrai il Sign. Gianni Mafrici (originario del luogo) che mi invita a seguirlo, in quanto anche lui si stava recando presso la sorgente. Lungo il breve cammino che dal paese, tramite un agile stradella a tratti asfaltata porta alla suddetta località non mi trattengo ad interrogarlo con estrema curiosità, quasi come un bambino che vuole conoscere il mondo. E’ sempre il Signor Gianni che ad un certo punto mi narra di questa leggenda proprio mentre ci incamminiamo verso la famosa “Rocca di San Fantino”.

SI RACCONTA CHE IN LOCALITA’ “IUNCHI” TRA I PAESI DI MOTTICELLA E FERRUZZANO, NELLE VICINANZE DELLA  “ROCCA DI SAN FANTINO” VIVESSE UN FRATE EREMITA DI NOME PHENTINO O PHANTINO, ESPERTO NELLE PRATICHE MEDICHE DELLE PIANTE MEDICINALI E AGRICOLE, TANTO CHE LE GENTI DEL LUOGO SPESSO RICORREVANO A LUI PER CONSIGLI RELATIVI ALLE SEMINE, POTATURE, INNESTI ED TANTO ALTRO. A MOTTTICELLA VIVEVA UNA BELLISSIMA RAGAZZA DI NOBILE FAMIGLIA, COME IN TUTTE LE STORIE DI PAESE PARE CHE QUESTA RAGAZZA AVESSE UN AMANTE SEGRETO PER IL QUALE IL PADRE NON FOSSE D’ACCORDO ALLA RELAZIONE. UN GIORNO LA RAGAZZA SI ACCORSE DI ESSERE IN ATTESA DI UN FIGLIO, CERTA CHE IL PADRE NON SAREBBE STATO CONTENTO DECISE DI TENERE NASCOSTA LA GRAVIDANZA. UN GIORNO SI RECO’ PRESSO QUESTO FRATE EREMITA A CHIEDERE CONSIGLI, INSIEME CONVENNERO CHE POCO PRIMA DEL PARTO LA RAGAZZA SI SAREBBE RECATA PRESSO IL PICCOLO ASCETERIO CON LA SCUSA CHE SAREBBE ANDATA A TROVARE ALCUNI PERENTI IN UN PAESE LONTANO DA MOTTICELLA. E COSI’ ACCADDE, LA RAGAZZA PARTORI’ UN BEL BAMBINO, RIMASE CON IL FRATE PER PIU’ DI UN MESE FINCHE’ IL BAMBINO NON COMINCIO’ A NUTRIRSI DI LATTE DI CAPRA. DI TANTO IN TANTO LA DONNA SI RECAVA DI NASCOSTO SUL LUOGO A TROVARE IL BAMBINO CHE CRESCEVA SEMPRE PIU’ BELLO. UN GIORNO IL BAMBINO SI AMMALO’, FORSE DI BRONCHITE, ED IL FRATE NON RIUSCI’ A CURARLO CON LE SUE ERBE, TANTO CHE DI LI A POCO IL BAMBINO MORI’.

rocca di san fantino

IL FRATE DISPERATO PER L’ACCADUTO SI RECO’ IN CIMA ALLA GRANDE ROCCIA, POSE IL CORPICINO SENZA VITA DEL BAMBINO SULLA CIMA E SI MISE A PREGARE CON TUTTA LA SUA FORZA E TUTTA LA SUA FEDE, SPERANDO IN UN MIRACOLO DIVINO. DURANTE LA PREGIERA SI ADDORMENTO’ E CORVI E CORNACCHIE MANGIARONO IL CORPICINO DEL POVERO BIMBO. IL FRATE AL SUO RISVEGLIO FECE LA MACABRA SCOPERTA. DOPO ALCUNI GIORNI LA RAGAZZA SI RECO’ NUOVAMENTE A TROVARE IL FIGLIO, MA GIUNTA DA FRATE VENNE A CONOSCENZA DELL’ORRIBILE FINE, E IN PREDA AL DOLORE SI AVVENTO’ SUL FRATE PERCUOTENDOLO CON FORZA STACCANDOGLI IL NASO CON UN MORSO. LA DONNA RITORNO’ A CASA PIANGENDO DISPERATA, TANTO CHE PER IL DOLORE DIVENTO’ MATTA. INFATTI LA FAMIGLIA DELLA DONNA FU COSTRETTA A RINCHIUDERLA IN UNA STANZA DELLA CASA SENZA FINESTRE, IN PRATICA UNA VERA E PROPRIA CELLA, DOVE LA RAGAZZA VI RIMASE FINO ALLA SUA MORTE. IL FRATE INVECE , A CAUSA DELL’INFEZIONE AL NASO, DI LI A POCO MORI’ ANCHE LUI.

Un misterioso tesoro:

SEMBRA PROPRIO CHE LA ROCCIA, NASCONDA UN TESORO, PROTETTO DA UN SERPENTE (O UN DEMONE).  LA LEGGENDA VUOLE CHE, PER POTER ENTRARE IN POSSESSO DI QUESTO TESORO BISOGNA RECARSI SULLA ROCCA IN UNA NOTTE DI LUNA PIENA CON UN NEONATO MASCHIO UCCIDERLO E CUCINARLO IN UNA PENTOLA MAI USATA PRIMA, A QUESTO PUNTO, IL SERPENTE DOVREBBE APRIRE LA ROCCIA LASCIANDO ACCESSO A QUESTO GRANDE TESORO, CONTENUTO IN UN PENTOLONE DI RAME COLMO DI MONETE D’ORO E DIAMANTI E RUBINI.

QUESTA E’ LA STORIA CHE ANCORA OGGI GLI ANZIANI TRAMANDANO ORALMENTE IN PAESE.

Storie e leggende che spesso rincorrono vite e vicissitudini per i quali ci portano a chiederci: perché queste storie sono riuscite ad arrivare sino a noi oggi? Quali significati arcaici si celano dietro queste storie verosimili? Qual’è il confine tra il vero e il falso o tra storia e leggenda? Una Calabria sconosciuta, misteriosa, arcaica, celata, ricca di significati che oggi meritano di essere raccontati grazie a queste poche righe, che arrivano viaggiando attraverso l’etere, oggi fucina di cultura nel nostro tempo.

dI Carmine Verduci

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