Alessandra Moscatello 24 anni di Brancaleone (RC) ha conseguito la sua laurea in scienze del turismo all’università di Messina lo scorso 21 Ottobre con un voto da 110 e lode, dal titolo: “Alla scoperta dei luoghi autentici progetto  Kalabria Experience”. Il progetto ricordiamo, è stato promosso a suo tempo dalla Pro-Loco di Brancaleone nel 2015 ma all’inizio di quest’anno ha cominciato il suo cammino come associazione indipendente. Tre anni di escursioni, e visite nelle eccellenze della Calabria come; borghi, montagne, fiumi, laghi e aree archeologiche che ha portato migliaia di Calabresi in giro per la Calabria, in un crescendo di successi e riconoscimenti che oggi approdano anche all’Università e su riviste dedicate al turismo. Per conoscere ed interpretare le ragioni della scelta di preparare la sua tesi, abbiamo estratto alcune informazioni dalla sua tesi.

Il mondo contemporaneo è caratterizzato da una sovrabbondanza di avvenimenti, corrispondente a una situazione che si potrebbe definire di “surmodernità” che ha come modalità essenziale l’eccesso. Questo è l’assunto principale da cui l’antropologo francese Marc Augé parte per esplicitare la sua teoria sul mondo in cui viviamo. In tutto questo eccesso , di tempo, di spazio e di ego, viene a mancare quello che è il luogo comune dell’etnologo, un luogo appunto, un luogo antropologico. Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale e storico uno spazio che non può definirsi identitario, relazionale e storico definirà un nonluogo”. Il termine fu coniato dall’antropologo francese Augé nel 1992 proprio per definire in maniera netta la contrapposizione al luogo antropologico. Il nonluogo è quello spazio tipico di transito, privo di qualsiasi identità, relazione o storia, uno spazio totalmente alienato ed alienante, che riunisce tutti un’unica massa omogenea e senza personalità, ma allo stesso tempo lascia ognuno nella propria solitudine ed individualità. Il centro commerciale, l’aeroporto, il treno ad alta velocità, l’autogrill: una pluralità di contesti accomunati da un’unica e generica parola. Sono numerosi gli spazi per il tempo libero privi di identità, facilmente riproducibili in modo esattamente identico in ogni parte del pianeta, piccole oasi market-oriented, create prettamente per essere vendute al turista amante dei pacchetti preconfezionati. Non solo le stazioni e i terminal per arrivare a destinazione, ma le destinazioni stesse tante volte sono nonluoghi. Anche la città stessa diventa, nell’ottica pessimistica di Augé, un nonluogo, ogni città diventa Trude. Trude è il simbolo dell’omologazione. La città invisibile di Calvino rappresenta un po’ tutte le città moderne, dove è possibile imbattersi nelle stesse insegne, nello stesso cibo, negli stessi alberghi. Grazie o a causa della globalizzazione oggi accade quello che l’autore aveva solo teorizzato: le città si somigliano tutte, hanno perso la loro identità e il turista si sente come se non fosse mai partito. Per alcuni, arrivare in una città distante dalla propria e trovare gli stessi negozi, gli stessi ristoranti e gli stessi loghi delle insegne può essere una sicurezza. Ci si può sentire confortati dal ritrovare gli stessi sapori e gli stessi odori della propria terra, come se si annullasse quel senso di smarrimento che si prova quando si è lontani da quel luogo a noi tanto caro che è casa nostra. Trude, però, diventa una sindrome, teorizzata dallo studioso Pietro Leoni dell’Università di Rimini, che colpisce sempre più il turista e le destinazioni che egli visita. Essa rappresenta appunto l’impossibilità di riconoscere l’identità di ogni singola città, che non ha più legami con il luogo, che non conosce tipicità del territorio, che non fa sentire la propria cultura. Si palesa dunque la spersonalizzazione delle città, dove invece dovrebbe emergere il risultato delle tradizioni, della storia, degli avvenimenti che l’hanno segnata. Ogni città oggi è come se, sopraffatta dai flussi di viaggiatori, ognuno con le proprie esigenze, nascondesse il suo volto, si celasse dietro una maschera, una maschera plasmata per ogni turista e in cui ognuno rivede i simboli che riconosce. Più che altro, il nascondersi dietro una maschera è necessario per accontentare tutti, ma così facendo perde se stessa. Più che cambiare le città, dunque, si dovrebbe pensare a cambiare noi stessi, a ripensare il viaggiatore in un’ottica diversa: non più distratto passeggero di una metropolitana, ma uomo che passeggia tra gli uomini, tra gli abitanti della destinazione che visita, tra i depositari della cultura del luogo. Se la perdita di fascino di una destinazione è causata dall’omologazione, la risposta forte sarebbe imporre la specificità del luogo. Soltanto grazie agli attori locali è possibile spingere il turista verso la ricerca del senso del luogo, in un’ottica di accoglienza ridisegnata a favore della cooperazione e della competizione tra diversi territori e diversi soggetti. Ripartire dal locale, dunque, anche nella città più globale che esista, grazie a chi si sente ancora fortemente legato a quella destinazione, nonostante la sua apparente perdita d’identità. Perché nulla si può cancellare così facilmente, il genius loci sarà dispettosamente nascosto dietro qualche insegna al neon, pronto a palesarsi davanti a chi vuole trovarlo, per tornare in scena all’improvviso più forte che mai. Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre immediate vicinanze, per imparare di nuovo a vedere. Il futuro del turismo?

Nei luoghi dove la gente possa riconoscersi, ha affermato lo stesso Marc Augé recentemente. Il turismo dovrebbe ripartire, dunque, dai luoghi dove poter vivere esperienze autentiche, dove sono ancora forti le testimonianze del tempo che è passato ed è tangibile la storia che si è sedimentata tra i loro vicoli; luoghi sempre diversi, dove ritrovare un’identità perduta, dove venire a contatto con la popolazione locale e con le tradizioni, dove ripartire più ricchi di quando si è arrivati. Ci sono destinazioni prive di grandi aeroporti, centri commerciali o parchi tematici, mancano addirittura grandi alberghi o servizi particolari per il turista: è su questi luoghi che si deve puntare maggiormente, con una buona azione strategica di turismo, affinché possano offrire un’alternativa competitiva alle destinazioni turistiche ormai mature e allo stesso tempo soddisfare il bisogno di autenticità del turista postmoderno. Questo bisogno di ritrovare la storia e l’identità dovrebbe essere proprio anche delle popolazioni locali, le prime ad essere consapevoli delle loro radici e dell’importanza che il loro territorio riveste. Negli ultimi anni è stato dato un nome a questa vocazione di turismo: viene definito “esperienziale” o, in alcuni casi,“creativo”. Il turismo esperienziale è inteso come quell’esperienza che si fa del luogo che si visita, partecipando a momenti di vita quotidiana, alle attività che vi si svolgono, scoprendo le tradizioni, gli usi e i costumi della destinazione scelta. Ormai non è più tanto importante il “value for money”, il valore del denaro, ma il “value for time”, il valore del tempo, quel tempo che deve trasformarsi in esperienza, perché i giorni di vacanza tendono a diminuire sempre più ed è necessario, per il turista, riuscire a portare a casa un’esperienza che dia valore al tempo speso in una destinazione, un’esperienza che non può essere comprata, ma semplicemente vissuta a pieno. Il tipo di turista attratto da questa forma di turismo è alla ricerca di nuove emozioni, di luoghi poco battuti, non toccati dal turismo di massa e promossi o pubblicizzati dagli usuali tour operator, dove cercare la massima distanza, fisica e mentale, dal quotidiano. Le pratiche di turismo esperienziale implicano una partecipazione attiva dei soggetti, intesa in senso hessiano; ci si riferisce alla Sindrome di Herman Hesse, cioè alla fruizione consapevole di turismo, che si può definire come esperienziale, così come volle fare Herman Hesse che, durante il suo soggiorno in Italia, gettò via la famosa guida tedesca Baedeker su Firenze e iniziò a vivere autonomamente la città, provando le esperienze della gente del luogo, sentendosi parte di essa, confondendosi con essa. Il sistema di offerta deve, quindi, permettere al turista di sviluppare la sua fantasia e la sua creatività, realizzando percorsi personalizzabili: solo così l’esperienza sarà unica ed irripetibile per ogni soggetto e risponderà alle singole esigenze. Il turismo creativo o esperienziale si va sviluppando nelle aree “avverse”, soprattutto dunque in zone rurali e periferiche, in cui è più difficile incentivare il turismo culturale tradizionale. Queste aree sono le destinazioni privilegiate per un numero crescente di “turisti creativi” che vogliono allontanarsi dal caos della città.

Protagonista, dunque, del turismo esperienziale o, meglio definito, creativo è quel luogo capace di offrire al turista esperienze autentiche, di regalare un bagaglio in più da portare a casa, un bagaglio che pesa molto, ma che si porta sulle spalle con piacere: il bagaglio culturale. Per sviluppare un turismo di qualità, improntato sulla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni, bisogna fare sistema tra i diversi attori locali. Tra questi un ruolo importante può essere svolto dalle associazioni. Le associazioni turistiche che nascono e si sviluppano sul territorio sono sicuramente gli organismi più adatti a promuovere il territorio in cui operano, in quanto mettono insieme professionalità, ma anche gente comune, che ha a cuore il luogo a cui sente di appartenere. In quest’ottica, in un’area turisticamente marginale della Calabria Jonica, ha iniziato ad operare la Pro Loco di Brancaleone, con i suoi soci e il suo presidente in carica ormai da cinque anni, Carmine Verduci.

La Pro Loco, fino a poco tempo fa in sordina nella piccola realtà brancaleonese, ha iniziato a muovere i primi passi nella direzione della promozione di un’area con un grande potenziale turistico, costituito da numerose testimonianze artistiche, architettoniche e bellezze paesaggistiche, nonché arricchito dal folclore locale e da una grande tradizione culinaria. La Pro Loco ha iniziato a credere in un progetto molto ambizioso, nato nel 2015, su idea di Carmine Verduci e del Prof. Sebastiano Stranges. Il progetto si chiama Kalabria Experience e ha come obiettivo principale la riscoperta degli antichi borghi dimenticati, le passeggiate nella natura ed il trekking nei luoghi più ameni dell’Aspromonte. Le prime escursioni riguardarono proprio l’antico borgo di Brancaleone Vetus. Erano pochi, inizialmente i partecipanti alle escursioni, in quanto il progetto era nato in un territorio non del tutto pronto ad accogliere l’idea di passare una domenica a contatto con la natura, lontani dai centri commerciali e dal traffico urbano. Ma gli ideatori non si rassegnarono: arricchirono il loro programma interessando sempre più realtà locali, che iniziavano ad essere consapevoli della rilevanza che avrebbero potuto assumere nell’ottica di un turismo sostenibile, esperienziale e culturale.

Le escursioni non erano delle uscite per praticare del semplice trekking, ma molto di più: si proponevano l’obiettivo di far conoscere il territorio e promuoverlo, fornendo una valida alternativa al  turismo balneare, abbastanza comune sulle coste calabre. Un anno dopo il passaparola e la pubblicità sui social network iniziò a mostrare i suoi effetti e sempre più appassionati di natura, di trekking e della propria terra decisero di mettersi in cammino con Kalabria Experience, conoscendo luoghi ancora nascosti ed incredibilmente belli, a pochi passi da casa. Le gite fuori porta della domenica diventarono dei veri e propri appuntamenti e il gruppo si arricchì sempre più. A due anni da quella folle idea, oggi il progetto è una realtà consolidata: alle escursioni partecipano in media 50 persone, con picchi di 80/90 partecipanti, provenienti da ogni zona della Calabria e della Sicilia, ma anche numerosi turisti incuriositi dalla risonanza che questo progetto ha avuto. Un grande contributo al progetto è dato anche da chi, appassionato di fotografia, riempie i social di immagini spettacolari, divulga la conoscenza con il mezzo più efficace al giorno d’oggi: l’immagine. Le immagini riescono a sortire l’effetto di spettacolarità e la curiosità di andare a vedere dal vivo un luogo rappresentato solo da pixel colorati sullo schermo dello smartphone o del computer. I numerosi scatti prendono forma e diventano tangibili in formato 30×45, trasportati in diverse località nell’ambito di una mostra itinerante, intitolata “Lungo i sentieri del tempo”. Quel tempo che i fotografi vogliono fermare per sempre, quel tempo che coloro che hanno camminato a piedi sui questi sentieri molti anni fa, hanno fermato con le litografie, oggi viene catturato dall’otturatore di moderne macchine fotografiche.

Il nome del progetto ha un significato profondo: “Kalabria”, scritto con la “K”, rievoca l’antico nome di origine greca della regione,“Experience”, invece, riassume gli intenti del progetto: vivere il territorio proprio come esperienza di vita. Il simbolo di Kalabria Experience è il  pavone, il tavows, simbolo della cultura armena. Infatti, nonostante il progetto sia andato anche oltre i confini regionali, il suo cuore pulsante è sempre stato rappresentato dal luogo da dove è partito, nonostante sia divenuto una realtà famosa, non ha dimenticato le proprie origini: Brancaleone Vetus, anzi per meglio dire tutto il territorio compreso tra i comuni di Brancaleone, Bruzzano, Ferruzzano e Staiti, individuato con il  toponimo Valle degli Armeni.

Ma perché Valle degli Armeni? La risposta ci viene data dal prof. Sebastiano Stranges, che già nel 1990, precisamente il giorno di Capodanno, trovatosi a Brancaleone Vetus, ha fatto una grande scoperta per il territorio: una grotta con un pilastro centrale, unica in Europa per la sua conformazione, un pavone e tre croci incise nella roccia: chiare testimonianze armene. Questo pilastro, denominato “Albero della Vita”, ha conferito il nome alla grotta e ha aperto la strada per numerosi ritrovamenti e corrispondenze armene presenti in tutta l’area di riferimento. Tra i ritrovamenti vi sono, oltre alla grotta chiesa di Brancaleone, il castello degli Armeni di Bruzzano, la Chiesa Santa Maria degli Armeni di Ferruzzano, numerose croci nei palmenti antichi di Staiti e Ferruzzano. Si ritrovano origini armene anche nei cognomi, come Karisì, che oltre ad essere un cognome armeno, vuol dire “produttore di vasi vinari”, Margariti da Margaritian, Micò e Micone da Micunian, ma anche nei vocaboli antichi come “baggianaro”, da non confondere con il termine lombardo baggiano entrato nel lessico con i Promessi Sposi con connotazione negativa, il nostro invece viene da “bagian” = oro lucente e “aru” = uomo, in questo caso diventa l’aggettivo qualificativo di “bello, eccellente”. Altri termini di origini armena sono “tarru” e “tarra”, che indicano rispettivamente l’anfora e la pentola panciuta e diventa anche soprannome per le persone che hanno la pancia. Alla luce di queste scoperte, numerose sono state le visite di cittadini armeni che, dopo aver contattato Carmine Verduci, sono accorsi in Calabria per conoscere questi luoghi, per scoprire un pezzo della loro storia anche a tantissimi chilometri di distanza e trovando oltre ai tratti così simili ai loro, anche una straordinaria accoglienza.

L’itinerario proposto, denominato “Valle degli Armeni” permette di venire a contatto con le maggiori testimonianze rimaste nei territori di Brancaleone Vetus, Bruzzano Vetere, Ferruzzano e Staiti, luoghi ricchi di storia e in cui risuona forte l’identità di un popolo legato alle proprie radici. Le aree di riferimento principali, ma non uniche di questo progetto sono la Riviera dei Gelsomini e l’Area Grecanica. La Riviera dei Gelsomini è la fascia costiera più a sud della Calabria, una striscia di terra bagnata dal mar Ionio che si snoda per 90 km, da Monasterace a Capo Spartivento, comprendendo 42 comuni. In questa piccola porzione di territorio si concentra gran parte del patrimonio artistico, letterario e storico della Calabria. Dalla Riviera dei Gelsomini, che termina con il faro di Capo Spartivento, ci si addentra in un territorio diverso, con una storia e una cultura diverse: l’Area Grecanica. Quest’area è stata definita tale per i borghi tipici dei Greci di Calabria, calabresi che conservano la lingua e le tradizioni greche, che si sentono fieri della loro grecità e la difendono a tutti i costi. Il programma delle uscite di Kalabria Experience segue sempre un iter pressoché uguale, che prevede la riunione, l’incontro con vecchi amici e nuovi escursionisti e la partenza per un posto sempre nuovo da scoprire. Qualche pausa, un racconto curioso, qualche passo di tarantella a volte, e poi la degustazione di prodotti tipici. Ed infine i saluti, con la consapevolezza di aver imparato qualcosa di nuovo, di tornare a casa con qualcosa in più, quel qualcosa che non si può comprare in nessun centro commerciale, quel qualcosa che ha un valore inestimabile per adulti e bambini; tornare a casa con mille immagini negli occhi e altrettante nella macchina fotografica, ma sopratutto mille ricordi e di innumerevoli sensazioni nuove. “camminare per conoscere, conoscere per amare”, il motto primordiale di Kalabria Experience, una frase presa in prestito dal prof. Domenico Minuto. Camminare per conoscere soprattuttoper imparare ad amare un luogo che sembrava dimenticato, riportarlo alla memoria, anzi farlo arrivare dritto al cuore di chi cammina ancora su quel sentiero. Non si tratta di semplici escursioni: è una vera e propria immersione nella storia e nella cultura dei luoghi, arricchita da degustazioni e racconti, per ritrovare quei sapori e quell’atmosfera di un tempo ormai trascorso, ma che rivive ogni volta che qualcuno decide di parlarne. Ricordo sempre un frase di Theodore Roosevelt: “Fai quello che puoi, con quello che hai, nel posto in cui sei”.

Scegliere di andare via dalla propria terra è davvero coraggioso, ma ha ancora più coraggio chi decide di rimanere e fare qualcosa per Lei, con quel poco che ognuno ha. Basta mettere insieme la conoscenza, l’amore e la voglia di fare per veder fiorire progetti come Kalabria Experience, per portare avanti con orgoglio il nome di una Calabria che non si arrende, che vuole dimenticare le tristi pagine di cronaca, che vuole andare oltre l’abbandono ed il degrado. La Calabria che amiamo e che vogliamo far ricordare è quella cantata dai poeti, disegnata nelle litografie, raccontata dai viaggiatori di un tempo.

Il senso di appartenenza a questi luoghi ripercorsi con Kalabria Experience si fa sentire in ogni persona; percorrere antiche mulattiere fa rinascere un legame indissolubile con la propria terra, fa rivivere i ritmi ancestrali diantichi cammini, fa riscoprire odori dimenticati e suoni ormai ovattatati. E ci si emoziona a camminare insieme, ad aiutarsi a superare ogni ostacolo che il cammino pone davanti, ad affrontare la forza della natura, assecondandola sempre, senza mai fermarsi. Per ogni difficoltà ci sono i compagni di viaggio, che diventano amici di “esperienze” appunto, che con le loro storie più varie, riescono sempre ad insegnarti qualcosa, con uno spirito comune: non fermarsi mai, davanti agli ostacoli di un’aspra montagna, così come davanti agli ostacoli della vita. Perché in fondo Kalabria Experience è la metafora della vita: un cammino lungo i luoghi del cuore, la conoscenza e la riscoperta, una difficoltà e, alla fine la gioia di arrivare in cima, condivisa con chi cammina al tuo fianco.

L’ideatore di  Kalabria Expence Carmine Verduci, interpellato ha dichiarato:

Provo una grande emozione nel constatare che questa avventura ci ha consentito di far emergere il territorio soprattutto quello della fascia jonica reggina, poco conosciuta dai media, ma che in realtà ha un fascino davvero notevole. Alessandra è una dei tanti appassionati di questi cammini che non vogliono rappresentare nulla di eccezionale, ma che puntano alla promozione territoriale attraverso le collaborazioni, la riscoperta di aziende agricole, dei luoghi e dei sentieri di montagna poco valorizzati. Attraverso le immagini, video contest fotografici realizzati anche con Instagram, il mondo ha potuto osservare la bellezza primordiale di questa terra, ricca anche di persone come Alessandra che hanno saputo cogliere in uno scatto, in un racconto, in una tesi la bellezza di una Calabria insolita ed inedita. Devo soprattutto a lei, al nostro Sebastiano Stranges , alla stampa locale ed ai collaboratori del progetto il mio grazie per i meriti di questa grande ascesa di Kalabria Experience, oggi arrivata perfino sui banchi dell’Università di Messina grazie a questa tesi che ci fa onore e fa onore alla Pro-Loco di Brancaleone che ha sempre lavorato non solo per Brancaleone ma per l’intero territorio, e se i risultati positivi sono questi allora il mio appella va sicuramente a tutti i nostri colleghi ed operatori delle associazioni e delle pro-loco della provincia reggina, affinchè contino sulle proprie forze e le proprie passioni, cercando di creare reti e sodalizi così come abbiamo fatto noi nel tempo, solo così potremo rendere un servizio alla nostra terra, bisognosa di svelarsi e salvarsi dai soliti luoghi comuni.