LA VIA DEI BORGHISAN GIORGIO MORGETO

Domenica 4 Ottobre La Via dei Borghi a San Giorgio Morgeto (RC)

Torniamo a percorrere LA VIA DEI BORGHI amici. Il 4 di ottobre prenderà il via la terza edizione del progetto nato dalla sinergia tra Il Giardino di Morgana e Kalabria Experience. La destinazione sarà eccezionale: San Giorgio Morgeto con il suo fascino medievale ed i suoi paesaggi pazzeschi sulla Piana e sul Mar Tirreno.
Moltissime le attrazioni di giornata: Il Convento dei domenicani, la Chiesa dell’Annunziata, Palazzo Oliva, il Busto Florimo, Palazzo Florimo, San Gennaro(o San Giuseppe), la Chiesa Sant’Antonio, Palazzo Ambesi (centro visita), la Chiesa del Carmine, l’arco di San Giacomo, la Chiesa dell’Assunta, Palazzo Fazzari, la scala Beffarda, il Passetto del Re, il Castello, la Fontana Bellissima, Palazzo Milano.

Questo dimostra che ogni angolo della Calabria esprime storie e curiosità che attendono solo di essere raccontate. Dopo la pausa pranzo (PRANZO A SACCO), ci lasceremo stregare dalle capacità degli artigiani e produttori locali.

Due gli appuntamenti.Faremo visita al maestro Cestaio Aldo Mammoliti e dopo incontreremo la storia dell’azienda Olearia San Giorgio.

PROGRAMMA:

Ore 09:00 Raduno dei partecipanti presso lo slargo posto all’inizio di via Morgeto (vicino alimentari Ligato) GUARDA LINK GOOGLE E MAPS
Ore 09:30 Visita del borgo
Ore 13:00 Pausa pranzo (pranzo a sacco)
Ore 14:00 spostamento verso il cestaio Aldo Mammoliti e successivamente IN MACCHINA raggiungeremo l’azienda Olearia San Giorgio
Ore 17:30 Saluti e rientro.
ALL’INTERNO DELLA GIORNATA:
FOTO CONTEST INSTAGRAM: #IuntamuSanGiorgioMorgeto
SCHEDA TECNICA:
Escursione di tipo: “T” (TURISTICO)
Grado di difficoltà: FACILE
Percorso: Urbano
SERVIZIO BUS FACOLTATIVO A CURA DI FULLTRAVEL:
Il servizio verrà attivato al raggiungimento di otto adesioni
– BRANCALEONE STAZIONE FERROVIARIA ore 7:30
– BOVALINO DI FRONTE RISTORANTE VILLA DENISE ore 8:25 
– LOCRI STAZIONE DI SERVIZO ESSO ore 8:10
EQUIPAGGIAMENTO CONSIGLIATO:
Calzature adeguate al tipo di percorso in centro storico (scarpe da ginnastica) vestiario a cipolla, k-way, impermeabile, cappellino, occhiali da sole, scorta d’acqua almeno 1/5 lt), indumenti di ricambio, macchina fotografica o smartphone, telo per pic-nic, MASCHERINA E GEL IGIENIZZANTE PERSONALE!
PER ADERIRE ALL’INIZIATIVA:
E’ OBBLIGATORIA LA PRENOTAZIONE ENTRO IL 3 OTTOBRE 2020 alle 12.00
telefonando al numero 392 400 9180
Quota di partecipazione: 15€ (Max partecipanti: 40)
Faro di Capo Spartivento

Faro di Capo Spartivento in Calabria, tra i luoghi più a Sud del Sud, illuminato oltre un secolo e mezzo fa.

Acceso per la prima volta il 10 settembre 1867“, il Faro calabrese che domina l’immensa distesa azzurra del mar Ionio, in uno dei luoghi più a Sud del Sud (primato che in Calabria condivide con la località Lembo nel comune di Melito di Porto Salvo). Siamo a Capo Spartivento, al confine tra Palizzi e Brancaleone, sul litorale ionico della città metropolitana di Reggio Calabria, lungo la Strada Statale 106 dove i gelsomini, un tempo più copiosi, inebriano l’aria.

Sulla lapide, che sovrasta l’ingresso della torre su base quadrangolare con edificio ad un piano, è riportata anche la posizione del faro in base al meridiano di Parigi, passante per il centro dell’Osservatorio della capitale francese e situato a 2° 20′ 13,82″ a est di quello di Greenwich, che lo sostituì nel 1884 (quindi sette anni dopo l’accensione del faro) nel ruolo di meridiano zero convenzionalmente inteso. Un intervento di ammodernamento ha riguardato il Faro nel 1910. Dal 1935 alimentato con l’elettricità e dal 1995 tutto meccanizzato con l’avvento delle tecnologie, il Faro di Capo Spartivento si erge su una torre bianca ad un’altezza pari a 64 m sul livello del mare.

Ogni otto secondi (7 secondi e 7 decimi per l’esattezza) un fascio di luce illumina fino a trenta miglia nautiche di distanza e in trentadue secondi il faro compie un giro completo, scandito da quattro bagliori, da punta Stilo fino a capo D’Armi. Esso, l’unico in Calabria ad avere un’ottica rotante come i cugini siciliani di Capo Peloro e Punta San Ranieri a Messina, è annoverato tra i cinque Fari classificati di primo ordine in Italia per storia e collocazione, unitamente al Faro di Santa Maria di Leuca a Lecce, al Faro di San Vito Lo Capo a Trapani, al Faro Vittoria di Trieste e alla Lanterna di Genova.

Il Faro di Capo Spartivento ricade interamente sotto la reggenza fari di punta Capo dell’Armi, insistente nel comune di Motta San Giovanni, a sua volta facente capo al Comando Zona dei Fari e dei Segnalamenti Marittimi di Taranto (Marifari Taranto competente dalla Calabria fino a Pescara) e al ministero della Difesa. I comandi zona di Fari hanno sede anche ad Olbia, Messina, Napoli, La Spezia e a Venezia.

Anticamente era noto come l’imponente Heracleum Promontorium, denominato poi dagli Italici Erculeum Promontorium, il promontorio di Eracle (Ηράκλειον ἃκρα). Si narra, infatti, che anche Ercole, l’eroe figlio di Zeus e Alcmena, riposò pure qui durante le sue fatiche. Ad un passo dalla fiume Alex di Palizzi, che con la fiumara aspromontana dell’Amendolea si contende lo storico e antico confine tra le due colonie Magno greche di Rhegion e Lokroi Epizephirioi, si erge questo antico e suggestivo promontorio dominato da un Faro, noto per la sua strategica collocazione geografica.

Luogo intriso di fascino, storia e leggenda, di cui narrava già il geografo greco Strabone (Geografia, VI, 1, 7): “Segue poi il promontorio di Eracle, che è l’ultimo ad essere rivolto verso Mezzogiorno: infatti chi doppia questo capo naviga direttamente spinto dal Libeccio, fino al promontorio Iapigio; poi la rotta inclina sempre più verso Settentrione e verso Occidente sino al golfo Ionio (Parte meridionale dell’odierno mar Adriatico). Dopo il promontorio di Eracle si trova quello di Locri, detto Zefirio, che ha il porto protetto dai venti occidentali e da ciò ne deriva anche il nome“.

Secondo un’antica leggenda tratta dalla pubblicazione “Brancaleone tra natura e cultura”,

un tempo abitava all’interno di una grotta del medesimo promontorio un eremita, Sant’Elmo, che viveva di questua. Sant’Elmo aveva un fratello e sette nipoti. Un tragico giorno il fratello morì, e l’eremita prese con sé le sette figliuole del defunto. Ormai la questua, già appena sufficiente per lui, non bastava più. Una notte mentre meditava e pregava nel tentativo di trovare una soluzione, gli apparve un gigante con una lanterna accesa. Era San Cristoforo per dargli aiuto proprio con la lanterna. L’eremita, non capendo in che modo la lanterna potesse risolvere il suo problema, chiese informazioni. San Cristoforo rispose: “Tu sai che i contrabbandieri vanno per mare. Orbene, quando la notte e’ buia e i venti si scaricano sui flutti, accendi la lanterna, piantala sopra uno di questi scogli e fai lumi ai poveri contrabbandieri che corrono pericolo di rompere la barca”. Da quella sera, Sant’Elmo, fece come gli era stato detto e ricominciata la questua, non passò giorno che non tornasse nella grotta con le bisacce piene di ogni bene, dono dei contrabbandieri grati per l’aiuto, riuscendo così a sfamare le nipoti. Ancora oggi, dopo tanti secoli dalla sua morte, Sant’Elmo, scende dal cielo con la lanterna accesa e salva le navi che stanno per naufragare. Custode del promontorio, il bianco faro Capo Spartivento, si erge fiero e domina su un mare arrabbiatissimo, dove tre imponenti scogli emergono dalle acque. (http://www.carettacalabriaconservation.org/index.php/slide/item/401-il-faro-di-capo-spartivento).

La letteratura non è rimasta indifferente.La vita non è una serie di lampioncini disposti simmetricamente; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall’alba della coscienza fino alla fine. Virginia Woolf, scrittrice britannica e autrice del romanzo “Gita al Faro” (tradotto più fedelmente anche “Al Faro“, “To the lighthouse”), pubblicato nel 1927, descrive l’esistenza come un’essenza avvolta in un fascio di luce, quello di cui sono alla ricerca, in mare in attesa di raggiungere la terraferma, l’imbarcazione e la persona a bordo.

Le immagini di questo stupendo faro calabrese aprono e chiudono la splendida puntata “Da Palmi a Capo Spartivento“ de “L’Italia non finisce mai”, in onda su Rai 1 alcune settimane fa e adesso disponibile su Rai Play, con Michele Dalai con Mia Canestrini e Mariasole Bianco.

Il Faro di Capo Spartivento, numero 3384 nell’elenco fari consultabile presso l’istituto idrografico della Marina – da distinguersi dall’omonimo eretto in Sardegna in località Chia, nel comune di Domus de Maria, città metropolitana di Cagliari – si accompagna in Calabria ai Fari di Scalea, Capo Bonifati, Paola, Capo Suvero, Vibo Valentia, Capo Vaticano – Ricadi, Castello Ruffo di Scilla, Punta Pezzo di Villa San Giovanni, Capo D’Armi, ed è seguito dai Fari di Punta Stilo a Monasterace Marina, Capo Rizzuto, Capo Colonna e Punta Alice a Cirò Marina nel crotonese e Capo Trionto a Rossano (quest’ultimo inattivo). Si tratta di tappe di un affascinante viaggio lungo le coste calabresi che Ivan Comi ha raccontato nel libro fotografico “I Fari di Calabria“ e nel docufilm “La Magia dei cristalli“. Il progetto è stato realizzato con il sostegno del Ministero dei Beni Culturali e della Regione Calabria ed in collaborazione con la Marina Militare Italiana e i Guardiani che hanno abitato queste splendide torri luminose.

By Anna Foti

 

calabria

Ci voleva una pandemia per far scoprire la Calabria!

“…a chi l’ha sempre snobbata o ritenuta pericolosa (no, non anneghiamo i turisti nel cemento dei piloni della Salerno Reggio Calabria; no, non correte il rischio di finire in mezzo a una sparatoria… per quanto qui in estate il “mezzogiorno di fuoco” sia una certezza, ma per ragioni climatiche!”

La Calabria, complice il bassissimo numero di contagi, quest’anno è stata presa d’assalto dai turisti (e in parte dagli stessi calabresi, che la conoscono pochissimo!). Mentre io ho continuato a viverla come ho sempre fatto: senza filtri. Che resta il miglior modo per scoprirla e capirla. La Calabria funziona per sottrazione. Tra essere e apparire qui vince sempre la prima. Nessun brand, nessuna moda, nessun Vip. Un’estate senza: niente borse da mare griffate, niente telo e pareo trendy, niente zoccoli con tacco 12. Mare e spiaggia senza vestiti, senza lidi fashion, senza lettini, senza sdraio e ombrellone, senza cappello , senza occhiali da sole. Già è tanto avere su il costume… nonostante in effetti sia un filtro anche quello!  Ciabattine rasoterra, asciugamano su una spalla, libro. Direttamente in mano, neanche una sacca per contenere il tutto. Figurarsi avere dietro soldi o portamonete, tanto non c’è niente da comprare dove vado io… non un chiosco o un bar.

Brancaleone Vetus (RC)

Il mare in Calabria per me è il telo steso direttamente sulle pietre o sulla sabbia, è camminare sui sassi senza scarpe (si diventa fachiri da piccoli! Invece di comprare sandali e scarpette gommate ai bambini lasciateli irrobustirsi a piedi nudi…). In Kenya riuscii a impressionare uno dei ragazzi locali proprio per questa mia capacità di camminare scalza sulle pietre… secondo lui, una cosa assolutamente atipica per una “mzungu”, una bianca. Per quanto bianca possa essere una calabrese!

Sarà stata la clausura forzata da Covid19 in cui una delle cose che più mi è mancata era proprio il mare, ma ora come non mai ho questa necessità fisica di sentire tutto sulla pelle. Che forse non ci avete mai pensato, ma è il nostro organo più esteso e il meno usato. In un’epoca in cui i filtri sui cellulari sono più numerosi dei rossi in una carta dei vini (e con nomi altrettanto altisonanti), io sono senza filtri come i bambini. E i matti. Senza filtro è come vivo la vita, non solo la vacanza. Niente trucchi. Neanche quelli che si mettono sul viso, tanto per capirci… la verità è nuda e cruda come un’ostrica. Il mio scrub naturale è fatto di sabbia che leviga la pelle, mentre le pietre del bagnasciuga provvedono alla pedicure. Il mio parrucchiere è il vento e la salsedine che arriccia i capelli, il mio fondo tinta è il sole che colora il viso e fa sparire i pori allargati. Il mio profumo è un distillato di acqua di mare, ginepro, brezza salmastra e tamerici. L’onda è la mia massaggiatrice. Instancabile e gratuita.
Senza filtro un pezzo di carbone residuo di qualche falò diventa utensile d’arte per disegnare sulle pietre come fossero una tela.

La Calabria senza filtri è così: selvaggia e genuina, tagliente e vellutata, inaccessibile e succulenta. Con questa luminosità africana che rende inutile qualsiasi fotoritocco, i colori vividi per natura nell’assolato mezzogiorno e morbidi al tramonto.

I filtri (pensateci ora che siete obbligati ad averne uno come la mascherina su naso e bocca) rendono schiavi: quando li usi la prima volta dovrai farlo per sempre. Perché una volta che abitui il pubblico alla versione di te “ritoccata”, con la luce giusta, con il software che snellisce o leviga le rughe chi avrà più il coraggio di farsi un selfie “naturale”? Al naturale ormai vuol dire con i difetti. In genere troppi da sopportare. L’autenticità richiede una certa dose di coraggio e spavalderia.

“Senza filtro è dire quello che si pensa, direttamente. Senza studiare una strategia. Solo perché va detto. Perché la verità è sempre senza filtro. E voi, che preferite? Una consolante bugia o la scomoda verità?”

 

MARIA ROSARIA TALARICO:

Sono nata in Calabria, vivo a Roma con un marito e una valigia sempre pronta. Ho viaggiato in una cinquantina di Paesi diversi, ma non mi sono ancora stancata di vederne di nuovi. Oltre agli articoli, sforno torte. Ho una fattoria brigantesca www.fiego.it
Ho vinto diversi premi giornalistici tra cui il Premio Maurizio Rampino (con l’inchiesta sul riciclaggio internazionale e il traffico di cash), il Premio Natale – Unione cattolica stampa italiana (per il reportage sul precariato nel mondo della scuola) e il premio Val di Sole per un giornalismo trasparente (con il sito internet www.ilbarbieredellasera.com, antesignano dei blog e di cui, con lo pseudonimo Pennina, è stata una delle colonne della redazione). Il premio più importante resta essere diventata giornalista nonostante i miei genitori non lo fossero. Giornalista professionista, portavoce, musicista, docente, militare, imprenditrice agricola. Nella mia vita sono stata molte cose. Ho un lungo curriculum e nessuna condanna in tribunale. Nonostante questo svantaggio di partenza mi sono candidata lo stesso alle ultime elezioni europee. Non ho vinto, ma è stato bellissimo partecipare! Per chi vuole saperne di più: http://www.rosariatalarico.it/biografia/

escursione in notturna a Brancaleone vetus

Escursione in notturna a Brancaleone Vetus (RC) “Tra leggende e misteri”

Torna anche quest’anno il consueto appuntamento con l’escursione in notturna presso Brancaleone Vetus (RC) borgo fantasma dalle antichissime origini e ricco di suggestioni. 

Il Parco Archeologico Urbano di Brancaleone vetus, al centro della grande opera di rigenerazione portata avanti dalla Pro Loco di Brancaleone in collaborazione con  volontari e i cittadini, non smette di stupire ed attrarre visitatori, che ormai giungono da ogni luogo della terra per ammirare, conoscere ed immergersi  tra le sue grotte ed i suoi panorami mozzafiato. 

Non saremo alla ricerca di spirito o fantasmi, in quanto questo non è l’obbiettivo del nostro cammino, saremo altresì alla scoperta dei segreti del borgo, in chiave favolistica e spirituale che tra questi ruderi ci daranno modo di poter cogliere l’anima di questo luogo abbandonato ma vivo di esperienze e di sensazioni.

Questo borgo di notte, offre panorami bellissimi sull’intera vallata e sul mare, già risalendo la strada che porta al borgo che ci condurranno silenziosamente nei meandri del paese abbandonato, tra vicoli e scorci, fermandoci di tanto in tanto ad ascoltare nel silenzio i rumori della natura ed a carpire la luce delle stelle e delle costellazioni.

Muniti ognuno di torcia elettrica visiteremo:

Le pareti rocciose mioceniche, i silos-granai, la chiesa-grotta dell’Albero della vita, l’antica chiesa Protopapale dell’Annunziata con le sue tombe-cripta, e la chiesa nuova dell’Annunziata degli anni ‘30 che ospita il “Centro Documentazioni di Brancaleone Vetus” oltre a ciò che resta dell’antico altare barocco.

 

–PROGRAMMA–

Ore 21:20 Raduno degli escursionisti in Piazza Chiesa Maria S.S. Annunziata (frazione Paese Nuovo)
Ore 21:40 Partenza con le proprie auto per Brancaleone Vetus.
Ore 21:50 circa arrivo presso località Bova a 800mt dal borgo antico.
Ore 22:00 arrivo presso la piazza del borgo di Brancaleone Vetus e inizio esperienza immersiva tra i vicoli del borgo, attraverso storie, leggende, vicissitudini e percorsi con istallazioni luminose in tema medievale, con finale presso la piazza del ponte “a mirar le stelle”.
Ore 00:30 partenza dalla piazza del borgo per il rientro alle auto.
Ore 00:45 Arrivo previsto al punto auto

 

–SCHEDA TECNICA–

ESCURSIONE: T (Turistica)
LIVELLO DI DIFFICOLTA’: Facile
DISLIVELLO: irrisorio
KM A PIEDI: 1km (andata e ritorno)
CONDIZIONI DEL PERCORSO: strada asfaltata e selciati
PRESENZA D’ACQUA: Punto ristoro al borgo

 

–EQUIPAGGIAMENTO CONSIGLIATO–

Scarpe comode (da ginnastica o da trekking), torcia elettrica a mano o frontale, scorta d’acqua (almeno 1,5lt), k-way, crema o spry anti-zanzare.

 

–COME PARTECIPARE–

Prenotazione obbligatoria telefonando al numero 347-0844564 fornendo il proprio nome e cognome (entro e non oltre il 12 Agosto 2020) NO SMS O MESSAGGI WHATSAPP!

 

–QUOTA DI PARTECIPAZIONE–

La partecipazione ha un costo simbolico di 10€ per i minori 5€ a testa (quale contributo volontario per il sostegno delle attività di rigenerazione del borgo) 

 

–ISCRIZIONI LIMITATE–

PER UN MINIMO DI 10 PERSONE ED UN MASSIMO DI 30 PERSONE!
*I minori sotto i 18 anni possono partecipare se accompagnati e sotto tutela di un adulto

 

–NOTE IMPORTANTI–

Ogni partecipante è tenuto ad equipaggiarsi di Mascherine monouso marchio CE, disinfettante/gel mani, a tenere le distanze previste dalle regole anticontagio (almeno 1,5mt), 

Trattandosi di attività all’aperto gli ingressi in grotta e nei luoghi al chiuso (centro documentazioni di Brancaleone Vetus) avverranno nel rispetto delle normative vigenti. Ogni partecipante è pregato di collaborare.

L’organizzazione si esime da ogni responsabilità civile o penale che possa derivare da infortuni durante lo svolgimento dell’escursione.

 

 

Palizzi (RC), tra un paesaggio lunare e il mare azzurro e atmosfere antiche

Il mosaico smarginato del Mar Ionio con i suoi fondali dai colori cangianti, accesi dal sole, in cui sabbia e rocce frastagliate disegnano una mappa preziosa che custodisce un tesoro ogni volta sorprendente. Un manto ondoso si infrange sugli scogli che nascono dall’acqua, prima di raggiungere la riva; qui la battigia ha il suono di un calpestio ostinato, delicato e soave oppure strepitante e burrascoso. Montagne bianche, un mare azzurro, atmosfere antiche e intenso profumo di gelsomino meravigliano chi arriva, percorrendo cinquanta chilometri di strada Statale Jonica, partendo da Reggio Calabria, città Metropolitana in cui ricade. Spiagge assaltate dall’incuria e dall’erosione delle coste che, nonostante ciò, ancora conservano, seppur in pochi preziosi tratti, un aspetto primogenito e prezioso; spiagge, nel pieno parco marino regionale Costa dei Gelsomini, scelte dalla specie di Tartaruga marina Caretta Caretta per deporre le uova e nidificare. Linee ondulate dal tempo tracciano un paesaggio lunare che l’erosione delle piogge ha modellato come uno scultore avrebbe fatto con la propria opera. L’assenza di vegetazione consente al sedimento argilloso di mostrare le sue striature e le delicate pendenze; passeggiare su di esse, dinnanzi ad una distesa azzurra e un panorama in cui gli occhi si perdono, è uno stato di grazia per nulla raro. Una via tra l’Aspromonte e il mare Jonio anima il versante meridionale dell’Aspromonte, ornato dai Gelsomini e costellato da rigogliosi e pregiati vigneti dove nasce un ottimo e generosi vino rosso, riconosciuto dal marchio IGT (Indicazione Geografica Territoriale) che vale a questo luogo la denominazione di Città del Vino. Anche qui risuonano echi antichi della floridezza e della prosperità dei vigneti che valsero ad un’ampia zona del Meridione di Italia – di cui questo è il luogo più a Sud – il nome di Enotria (dal greco ôinos vino).

“È Palizzi con il suo borgo e la sua marina a schiudersi così, come uno scrigno, ad ispirare incanto e a muovere la penna sul taccuino di un viaggiatore”

“Le strade di Palizzi, dove forse alcun inglese è ancora disceso, erano gremite di bambini completamente nudi e abbronzati (…)”. La vitalità di questo luogo ha affascinato anche l’illustratore e scrittore inglese Edward Lear, che nel suo Diario di un Viaggio a Piedi, ha descritto così il suo arrivo a Palizzi, il 3 agosto 1847: “Passando la fiumana ai piedi della cresta coronata dalla citta’ elevata, siamo ancora una volta saliti per la scura falda della collina coperta di cisti, con gigantesche querce dai rami nudi in primo piano e la vasta montagna blu d’Aspromonte coperta di foreste che chiudono tutto il lato Sud del paesaggio. Mentre il momento per la nostra sosta di mezzogiorno stava per avvicinarsi, e per il caldo cominciava ad essere fastidioso, siamo giunti in vista di Palizzi, un paese molto strano, costruito attorno ad una roccia isolata, dominante una delle tante strette vallate aperte al mare. Venendo, come noi abbiamo fatto, dall’altopiano siamo arrivati al di sopra di Palizzi, il cui castello è visibile solo dal lato nord, così, per arrivare al livello del fiume ed alla parte bassa dell’abitato, è necessario discendere una scala perfetta tra case e pergolati, aggruppati nel vero stile calabrese fra sporgenze coperte di cactus da una roccia all’altra dove sembravano crescere. (…) mi sono spostato a cercare un po’ d’ombra per ripararmi dal soffocante caldo e, raggiunto il castello, mi sono ben presto trovato al centro delle sue rovine, da cui ho colto incidentalmente una scena pittoresca, vale a dire un casolare, una pergola, sette grandi porcellini, un uomo cieco e un bambino (…)”.

Tra i siti paleolitici più antichi d’Europa, già bene del monastero di Sant’Angelo di Valle Tuccio, poi casale della contea di Bova, nel XIV secolo feudo venduto da Bartolomeo Busca a Guglielmo Ruffo di Calabria, conte di Sinopoli, possidente di un grande tenimento della Calabria Meridionale, Palizzi – la cui etimologia è contesa tra i termini greco politsion, nel senso diminutivo di polis (città), e il termine polìscin (probabilmente luogo ombroso) – è diviso dalla fiumara nelle due contrade Murrotto e Stracia e consta di quattro frazioni: Palizzi Superiore, Palizzi Marina (la più popolosa con quasi duemila abitanti) con i suoi Calanchi e il lungomare più corto d’Italia, Spropoli e Pietrapennata con il suo paesaggio alpestre alle pendici del Monte Gallo, a settecento metri di altezza sul livello del mare, con la sua silenziosa e incantata vallata dell’Alìca, con i resti di una chiesa, forse di un monastero, dedita appunto al culto della Madonna dell’Alica. Qui era custodita una statua di marmo bianco raffigurante la Madre con Bambino della scuola di Antonello Gagini che oggi si trova nella Chiesa parrocchiale.

Il borgo di Pietrapennata è antico, secondo la tradizione orale, fondato dai Cavalieri di Malta, prima che il piccolo centro venisse distrutto nel 1696, come riportato in documenti d’archivio. Il suo nome ha un’etimologia contesa tra il riferimento alla collocazione del borgo adagiato sulla ‘rocca di Sant’Ippolito’ come una ‘piuma di pietra’ e il termine dialetto ‘pinnata’, ossia ‘capanna’ al quale potrebbe corrispondere il significato ‘pietra della capanna’. Lo scrittore inglese Edward Lear, nel suo viaggio nel Sud d’Italia, ha descritto così questo suggestivo luogo, il 5 agosto 1847:

“Come era squisita la dolce luce e l’aria del giorno, il profondo burrone pieno di edera, il mulino e la discesa al lato opposto, dove i boschi incomparabili bordavano la radura come parchi, o formavano dei paesaggi magnifici con i loro grigi tronchi e rami sparsi sopra rocce e valli strette! Oh, boschi rari di Pietrapennata! Io non ricordo di aver visto un più bel posto di quello della «roccia alata», nominata appropriatamente «piumata» com’è sin dalla base alla cima”.

Palizzi rimase dei Ruffo – ramo di Palizzi – Brancaleone – per generazioni, seppur con qualche breve interruzione determinata da contese dinastiche tra Angioini e Aragonesi. Nel 1505 il matrimonio tra Geronima Ruffo e Alfonso de Ayerbo d’Aragona avviò un avvicendamento di baronati: Troiano Spinelli, Ayerbo d’Argona, Romano di Messina – Giacomo Colonna Romano si deve l’apposizione dello stemma araldico all’ingresso del castello – Arduino di Messina fino alla vendita della terra nel 1751 ai De Blasio che ne restarono proprietari fino al 1806.

“Selvaggio e straordinario, così definiva sempre lo scrittore viaggiatore inglese Edward Lear il luogo natio dei fratelli Misefari, l’anarchico e poeta Bruno, lo storico e antifascista Enzo, il calciatore Ottavio e il biologo e attivista Florindo”

Sotto il ponte tra le contrade Murrotto e Stracia, la sua fiumara, secondo alcuni, divideva l’antica Rhegion da Locri Epizefiri; un confine strategico secondo altri rappresentato invece dalla fiumara dell’Amendolea. Ne riferisce il geografo greco Strabone (I secolo a.C.): « Il fiume Alece, che divide il territorio di Rhegion dalla Locride passando attraverso una profonda valle, ha questa particolarità riguardo alle cicale: quelle sulla riva locrese cantano, mentre quelle sull’altra riva non hanno voce. Si congettura che ciò ne sia la causa: le seconde si troverebbero in un luogo ombroso, cosicché le loro membrane sarebbero sempre umide e non si distenderebbero mai; le prime, invece, stando in un luogo soleggiato, avrebbero le membrane asciutte e simili al corno, così da essere ben adatte ad emettere il suono ». (Strabone, Geografia, VI, I, 8). Alle pendici di una rupe di arenaria, incastonato il borgo di Palizzi (Superiore); in alto un antico castello, posto a 272 metri sul livello del mare, domina il comune più a Sud dell’Italia. Su una rocca di arenaria si erge, dunque, il castello di origini medievali, ricostruito alla fine del Settecento dalla famiglia Colonna e poi ristrutturato e ampliato dal barone Tiberio De Blasio nella seconda metà dell’Ottocento. Durante i bombardamenti degli Alleati su Reggio, vi si rifugiò Carlo De Blasio. Che il castello, dichiarato Monumento Nazionale dal Ministero ai Beni culturali, fosse cinto da mura con due torrioni emerge da un certificato del Mastro d’atti di Palizzi, Saverio Grimaldi, di fine Settecento. Non solo mura di cinta ma anche una grande scala con una sola finestra, la cucina, un’anticamera, poi altre stanze, magazzini e cantine e fuori le alte mura di cinta con poderosi bastioni, bocche da fuoco lungo il ciglio del costone roccioso con feritoie. Anche due torri, una cilindrica merlata sul versante est e una angolare sul versante opposto. Nella roccia viva ricavate le carceri. Vicoli stretti e caratteristici catoi segnano un percorso suggestivo che dal Castello conduce al borgo (e viceversa). Sulla piazza principale si affaccia la Chiesa di Sant’Anna (patrona del paese), con la statua in marmo della Santa con la Madonna in braccio della scuola del Mazzolo in fondo all’abside ed un complesso di statue, tra cui la scultura lignea dedicata a Sant’Anna, commissionata nel 1827 dall’ultimo barone di Palizzi, Tiberio De Blasio. Alla seconda metà del Cinquecento risale la cupola bizantina dell’edificio seicentesco con pianta a croce Latina. In questa parrocchia, il vescovo Stavriano, istituì la prima comunità latina della diocesi, dentro la quale non era consentito l’ingresso ai greci, dediti pertanto all’agricoltura e alla pastorizia. L’altra chiesa del borgo fu eretta alla Madonna del Carmelo. Essa risale alla seconda metà del 1500 e la sua denominazione spesso comprende anche la dicitura “fuori dalle mura” (“extra moenia”), poiché fu costruita dopo il completamento del tracciato delle mura di protezione.

“Il culto mariano a Palizzi nell’incontro tra la Madonna del Carmelo e la patrona Sant’Anna” A te, Carmen, legata come me a questi luoghi che già, insieme, ci custodivano

Apparsa anche sul monte Carmelo della Galilea nel 1251 essa è una delle linfe del culto mariano diffuso in tutto il mondo, dunque anche in Italia ed in Calabria. Si tratta della beata Vergine Maria del Monte Carmelo, festeggiata il 16 luglio. Una devozione che, non solo in Calabria, intreccia indissolubilmente storia, religiosità e sentimento popolare e che alimenta da secoli la devozione della Vergine Santa attraverso culti mariani tra i quali anche quello della madre di Maria, Anna. Sterile e poi graziata dalla Maternità per salvare l’Umanità, Sant’Anna fu moglie di Gioacchino e nonna di Gesù, zia di Elisabetta madre di Giovanni Battista. Il suo culto è antico e nasce in Oriente ai tempi di Giustiniano (550 d.C.) per poi diffondersi anche in Occidente. La sua festa, il 26 luglio, è occasione di celebrazione di speciale devozione in molti luoghi. Tante le comunità italiane poste sotto la sua protezione, come quella della omonima frazione di Seminara nel reggino e di Palizzi, che ancora oggi celebra questa tradizione religiosa con una festa molto sentita. A Palizzi, in particolare, la devozione alla Madonna del Carmelo e a Sant’Anna si intrecciano e, attraverso l’incontro della Madre con la Figlia in processione, danno vita ad una tradizione che, nel mese di luglio in cui ricadono entrambe le festività religiose, anima l’antico borgo. A Palizzi, infatti, già dai primi di luglio cominciano i festeggiamenti mariani che culminano, nella giornata del 26 luglio con i festeggiamenti in onore della patrona Sant’Anna, passando anche per il 16 luglio, giorno della Madonna del Carmelo. All’inizio del mese di luglio dalla chiesa di Sant’Anna di Palizzi esce la statua della Madonna del Carmelo e in processione per quattro chilometri di strada impervia giunge alla chiesa della Maria del Carmelo, accompagnata da canti, balli e dal suono di organetti e tamburelli. Il ritorno della Madonna del Carmelo a valle ha luogo la sera del 25 luglio quando la statua della madre Sant’Anna esce ad accoglierla e, anch’essa portata in processione sulle note della banda di Palizzi, va incontro alla Figlia lungo le vie del paese. Si tratta di una tradizione antica e ancora molto sentita che affonda le radici in un profondo sentimento religioso che continua a scrivere la storia di questo luogo.

 

By Anna Foti

Io, in un giorno di Trekking a Campolico “Sulla via dei Pastori”

Da quando ci hanno imposto questo lockdown ho iniziato a scrivere. Scrivo visioni attuali ma anche esperienze e sensazioni personali. Appassionandomi sempre di più, perché non c’è distanza che possa far dimenticare quanto vissuto…

Internamente allo zaino, che non tarderò a mettere sulle spalle, l’acqua, pranzo al sacco, k-way, attrezzatura fotografica. Parto di buonora, il cielo si prospetta incerto ma la voglia di camminare no. Al consueto appuntamento di Kalabria Experience, sito in Brancaleone, siamo numerosi e ancor prima di salutarci in calorosi abbracci tra compagni di trekking, nascono spontanei i nostri sorrisi, la nostra gioia.

Il rumore assordante dei nostri passi oltre a prevalere su tutto, danno il via agli otto chilometri di cammino inerente alla tratta Brancaleone – Staiti, denominata “la via dei pastori” appartenente all’entroterra della Calabria Jonica, destinazione Piani di Campolico. L’ampia flora si presenta dinnanzi ai nostri occhi come un dipinto color pastello, gli animali al pascolo e il ritmo dei campanacci, assumono una melodica musica di benessere e libertà.

Qualche foto di gruppo nei suggestivi paesaggi, ci consente il tempo di una breve sosta, mentre, assieme a Carmine, organizzatore, amico, confidente e fratello mancato, lasciamo spazio ad un selfie che rimarrà eterno nei nostri ricordi.

Nel contempo il cielo incerto si tramuta in temporale, il ruolo del k-way entra in scena, confermandosi nostro alleato per un’ora circa. Nonostante la pioggia battente e il passo costante, la sensazione di benessere, libertà e pace interiore, permangono in essa. All’arrivo in località Piani di Campolico, le montagne rocciose alla sommità del Borgo di Staiti, le valli circostanti, le distese e verdi praterie e i versi dei vari rapaci in volo, risultano il suggestivo biglietto da visita, presentandosi di una bellezza inaudita. Da lontano si intravede l’azienda agricola del giovane allevatore Tonino Sidari, mantenendo fedelmente le tradizioni di tempi or sono, lo si afferra intento nella preparazione dei prodotti caseari.

In questo paradiso terrestre, la sosta per consumare il pranzo al sacco, è prassi immancabile, con susseguirsi di confronti, racconti, risate e musiche popolari. Ancora una volta e con passo costante, la pioggia battente conduce il nostro rientro da tale escursione, attraversando antichi selciati, casali diroccati, ruscelli e pascoli bradi.

Giunti al termine degli otto chilometri di cammino, sforzi intensi, spossatezza e pioggia battente, non riescono a distaccarci dai nostri spontanei sorrisi e calorosi abbracci di una meravigliosa giornata trascorsa insieme.Nel contempo, ritirandomi verso casa, i fotogrammi della bellezza Calabra dinnanzi ai miei occhi gioiosi, permangono registrati.

By Andrea Bono

 

VIDEO DELLA GIORNATA

 

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