LA VERDE

I segreti più profondi della Fiumara La Verde

 LA FINESTRA TETTONICA DI AFRICO (CALABRIA MERIDIONALE ASPROMONTE)

Dell’Aspromonte conosciamo la sua bellezza, la sua straordinaria capacità di rapirti il cuore, e sappiamo anche le storie, le leggende, le credenze popolari che aleggiano in uno dei territori più mistici dell’intera penisola. Certamente tutto questo non può che far accrescere in noi la consapevolezza di trovarci dinnanzi ad una delle formazioni appenniniche davvero particolari. Il perchè? Lo spiegheremo in questo articolo di carattere scientifico redatto grazie agli studi del geologo Isidoro Bonfà, che traccia un profilo geologico davvero dettagliato, che ci aiuta ad immergerci (se pur virtualmente) all’interno di uno dei Canyon più incredibili della bassa Calabria – Versante Ionico Reggino. Stiamo parlando della Fiumara “La Verde” che dall’interno del suo ventre, scavato per milioni di anni dalla potenza delle acque ci apre un mondo fatto non solo di Calabria…

LA VERDE

L’Aspromonte é l’estremo settore sud della catena Alpina, ed è costituito da frammenti crostali profondi di metamorfiti originatesi in età paleozoica, appartenenti a tre unità tettoniche giustapposte e sovrapposte da faglie inverse ed estesi sovrascorrimenti alpini aventi vergenza a Nord Ovest. Quello che vediamo in questa immagine sono Filladi con plaghe quarzitiche e scisti che affiorano sui ripidi versanti delle gole della fiumara La Verde nel versante ionico dell’Aspromonte.

Il basamento cristallino del margine meridionale della zolla europea che affiora nella Calabria meridionale.

 

Le Unità tettoniche in affioramento nel massiccio dell’Aspromonte dalle più superficiali alle più profonde:

1 – Unità di Stilo: che borda l’Aspromonte dal lato orientale, affiorando lungo il versante ionico del massiccio e si estende ancora più a nord, bordando il rilievi montuosi delle Serre; è l’unica che conserva frammenti della originaria copertura sedimentaria di calcari giurassici
2 – Unità dell’Aspromonte: che costituisce l’ossatura del rilievo montuoso.
3 – Unità di Mandanici: che affiora unicamente un una piccola zona attraversata dalle gole della Fiumara La Verde, nella finestra tettonica di Africo

I litotipi metamorfici di queste tre unità tettoniche si sono originati in età paleozoica nella crosta europea in corrispondenza del suo margine meridionale.
Questo era costituito dalle tre microzolle di Sardegna,Corsica e Calabria che, dall’Oligocene ad oggi, si sono staccate dal golfo del Leone (Marsiglia – Francia meridionale) e sono state dislocate nel mediterraneo, con moti crostali rotazionali e traslativi, dovuti all’interazione tettonica tra le zolle europea ed africana.

Queste tre microzolle, per le rilevanti migrazioni tettoniche subite occupano le attuali posizioni e la Calabria risulta essere un frammento della più antica catena Alpina, che si trova oggi incassata invece tra la più giovane catena appenninica che è posta a nord della linea vulcano-tettonica di Palinuro-Sangineto e quella siculo magrebide, che è posta a sud della linea vulcano-tettonica di Taormina.

Questa nuova catena, con il frammento crostale della Calabria interposto, viene oggi a costituire un unico sistema di rilievi montuosi e collinari, che si estendono con continuità dalla Liguria alle coste dell’Africa settentrionale tunisino-algerine. I terreni delle unità tettoniche metamorfiche, tra cui quelli dell’unità di Mandanici, la più bassa delle tre in affioramento nell’Aspromonte, si sono originati a diversi km di profondità in età paleozoica e sono stati successivamente riesumati e portati in affioramento nel corso dell’orogenesi alpina.

Le metamorfiti delle immagini si sono originate dalla trasformazione, in un ambiente tettonico di medio-alta pressione e bassa temperatura, metamorfismo di seppellimento a partire da una successione di terreni sedimentaria costituita da alternanze di strati di argille limi e sabbie. Dal metamorfismo dei livelli sabbiosi, ricchi di quarzo derivano le plaghe di colore bianco che si vedono nelle immagini, che sono a volte dislocate da faglie dovute alla intensa fratturazione delle unità, che è occorsa durante le fasi di trasporto e di sollevamento tettonico.
Le rocce infatti si presentano intensamente fratturate, a luoghi ossidate e incrostate da mineralizzazioni dovute alle risalite, dalle profondità, di fluidi arricchiti in metalli e solfuri. Tutto questo deriva dalla lunghissima e tormentata storia geologica della Calabria a partire dagli ultimi 350 milioni di anni.

Tectono-stratigraphic and kinematic evolution of the southern Apennines/Calabria–Peloritani Terrane system (Italy) – Evoluzione tectono-stratigrafica e cinematica dell’Appennino meridionale / sistema terrestre Calabria-Peloritani (Italia) Articolo in Tectonophysics – 583: 164–182 · gennaio 2013

 

L’attività sismica di questo territorio è, infatti, tra le più rilevanti dell’intera penisola.

Dall’esame dei dati sismologici storici, infatti, è possibile riscontrare che l’area calabro-peloritana, ivi compresa quella di Aspromonte è stata interessata da frequenti e forti eventi sismici connessi alle strutture tettoniche che attraversano il territorio. Tra gli eventi più energetici e distruttivi, che hanno interessato anche l’Aspromonte Geopark (Figura 4), si fa menzione della sequenza sismica che colpì la Calabria meridionale nei mesi di febbraio-marzo del 1783, caratterizzata da cinque scosse telluriche di notevole magnitudo (5.9 £ M £ 6.9) con epicentri variamente distribuiti lungo l’allineamento tettonico che dal graben del Mesima porta allo Stretto di Messina, e l’evento sismico, con annesso tsunami, del dicembre 1908 (M > 7) sullo stesso Stretto, uno tra i più disastrosi della storia sismica italiana, che provocò circa 200.000 vittime tra Reggio Calabria e Messina e che distrusse parecchi centri abitati nell’immediato entroterra della provincia di Reggio Calabria. Tra gli eventi più recenti, ma comunque contraddistinti da una minore severità rispetto ai precedenti, è da ricordare il terremoto del gennaio 1975 con epicentro sempre sullo Stretto di Messina (catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.c. al 1990, 2° edizione; da Boschi et alii, 1997).

 

BUON VIAGGIO CON QUESTA CLIP…

Credit:
Carta geotettonica – Aspromonte Calabria
http://www.luniversoeluomo.org/ge…/calabr/immagini/bon2b.jpg

Vedi anche:
http://www.luniversoeluomo.org/geolog/calabr/arco-c.htm

La pubblicazione da cui è tratta la figura della migrazione:
https://www.researchgate.net/publication/256860241_Tectono-stratigraphic_and_kinematic_evolution_of_the_southern_ApenninesCalabria-Peloritani_Terrane_system_Italy

 

By Isidoro Bonfà

 

 

Alla scoperta del borgo di Pentedattilo (RC)

Pentedattilo: cinque dita. Cosi è chiamato questo piccolo borgo arroccato sul monte Calvario nel comune di Melito di Porto Salvo. Un borgo che cattura l’attenzione anche del più distratto, non solo per la morfologia della rocca su cui sorge ma anche per la bellezza della disposizione delle case distribuite lungo una ripida e instabile scoscesa. L’immagine di questo borgo silente è suggestiva tanto da meritargli l’appellativo di “borgo fantasma”.

Dell’antico paese di Pentedattilo si hanno notizie scritte per la prima volta nel IX secolo d.C., epoca in cui era già una cittadella fortificata, e il territorio cui faceva capo era molto esteso – dalle zone marine di Saline Joniche, passando per la Valle del Tuccio e infine arrivando alle zone pedemontane di Bagaladi. Costituì anche un centro nevralgico per l’amministrazione dell’economia agricola relativa ai terreni monastici di tutto il territorio melitese.

Nel 1500 Pentedattilo ebbe per la prima volta un proprietario laico, cioè Michele Francoperta, figlio di Ferrante; nel 1509 il feudo venne acquistato dalla famiglia Alberti di Messina che furono in gran parte protagonisti del clima di rinascita culturale ed economica che il nuovo secolo portò con sé; la casata degli Alberti è diventata famosa in Calabria a causa di un evento funesto: l’eccidio della nobile famiglia, compiuto a opera del barone Abenavoli del Franco di Montebello Jonico.

La strage si consumò la notte di Pasqua del 1686 a causa di dispute sui confini e in parte del rifiuto da parte del fratello di Antonia Alberti di concedere la stessa in sposa a Bernardino Abenavoli. In quella tragica notte venne dato l’assalto al castello e gran parte della famiglia Alberti venne massacrata: non vennero risparmiati né donne né bambini. Nei secoli a seguire Pentedattilo venne dapprima danneggiata dal terremoto del 1783 e in seguito cedette il passo a Melito di P.S., diventando una sua frazione. Oggi la parte antica del borgo è parzialmente in abbandono; ma grazie all’impegno di alcune associazioni sta divenendo un suggestivo centro di cultura e per l’artigianato locale, che si può ammirare nelle casette riadattate a bottega.

Dalla statale 106 è possibile ammirare la sua particolare collocazione che, soprattutto di sera, lo trasforma in un vero e proprio presepe. E’ facilmente raggiungibile in auto ed è possibile visitarlo interamente anche attraverso un percorso di trekking ad anello che consente di ammirarlo nella sua totale bellezza. In modo particolare, al calar del sole, la punta delle dita di questo gigante dormiente si colorano di rosso mentre il tepore dell’aria si fa sempre più denso.

Lo sguardo si perde in mezzo alle infinite vallate circostanti, solcate dalla fiumara Sant’Elia che partendo dagli altopiani dell’Aspromonte e costeggiando le frazioni del comune di Montebello raggiunge la spiaggia di Melito di P.S. per poi perdersi nelle trasparenti acque del mar Jonio. L’erosione di questa rocca di arenaria causata dagli eventi atmosferici la stanno lentamente consumando; anche i ruderi del castello, visibili solo in parte, si stanno progressivamente sgretolando. Probabilmente in futuro resterà ben poco delle antiche vestigia, ma la storia e la memoria di questo borgo continuerà a viaggiare attraverso i racconti e gli scritti, perché la conoscenza non muore ma si conserva nella memoria di chi ama la propria terra.

By Cristian Politanò

La riflessione; Ritorno alla dimensione paese

È vero,  mai nessun ritorno potrà restituirci quello che avevamo lasciato nella medesima forma in cui lo ricordavamo, certo è così. È pur vero che certe sensazioni le puoi ritrovare o anche solo illuderti di farlo, nella tua mente, scavando dove la velocità di una vita normale di solito non ti permette. Ho ritrovato ad esempio un’idea di paese come la possedevo quarant’anni addietro. L’idea di un paese inteso nella sua dimensione fisica e di interazione sociale come unico orizzonte possibile, luogo di inizio e fine di tutto. Chi ha lasciato nel cassetto da tempo i calzoncini corti ricorderà perfettamente come fosse questa la dimensione paese dell’entroterra, sul finire degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta di un secolo che sembra essere volato via già da un secolo.

Era un moto circolare di vita che si esauriva e si rigenerava di continuo dentro un perimetro urbano rimasto sempre uguale, in realtà piccolissimo ma che allora mi sembrava sconfinato. Centinaia di vite e di storie incrociate che avevano un unico sfondo, un unico palcoscenico, storie che nascevano e finivano velocemente lungo quei viottoli che oggi percorro da solo nel silenzio. In questi giorni ho respirato e sto respirando un dejavu tanto acre all’olfatto quanto nitido nelle immagini che riaffiorano.

Ho ritrovato anche un’altra cosa, un’altra considerazione che ho raccolto con le mani da terra e rimesso in testa. Nel tragitto che faccio ogni pomeriggio nel tentativo di sottrarre alla narcosi le fibre muscolari e alla nevrosi quelle cerebrali, in quei quasi cinque chilometri che separano il centro storico dalla montagna e che ti fanno salire dai 900 metri del paese ai poco più di 1100 della fontana di Travi, che incontri lungo il tragitto che porta ai Campi per poi diramarsi verso i centri abbandonati di Africo, Casalinuovo e Roghudi, mi sono riscoperto cantoniere improvvisato.

Che poesia le case cantoniere, dismesse ormai da un ventennio ma inattive da molto più tempo. Poesia vera la figura del cantoniere, richiamo ad un mondo che non c’è più e che funzionava meglio. E mi ritrovo ogni giorno a ripulire la carreggiata dalle scaglie di roccia calcarea che si sfaldano ogni notte finendo sull’asfalto vittime dell’escursione termica. Moto perpetuo quello della roccia da queste parti. Si modella, si sbriciola erosa dal tempo, dalla pioggia, dal ghiaccio, dal sole. Moto perpetuo che diventava dialogo e lotta allo stesso tempo, punto di congiunzione tra uomo e natura, moto che dava un senso, un verso, una dimensione nobile al compito di una figura certo non solo poetica, anzi tutt’altro, assai utile nel suo aspetto pratico.

Oggi razionalizziamo, tagliamo, conteniamo i costi, invece di contenere I problemi, invece di dare risposte ad un territorio che chiama senza che nessuno ascolti. D’altra parte mi dico poi, a che serve questa poetica demodè, il mondo non è più quello di quarant’anni fa e questa roccia,dura tanto nella sua natura geologica quanto nel comprendonio, questo ancora non lo ha capito e forse come lei, neanche io ho capito che chinarsi a raccogliere non serve a nulla, se non a provare la tenuta della schiena.

 

By Gianfranco Marino

La riflessione; Sulla riva del fiume, riscoprendo il gusto della lentezza

E rimettiamoci, nell’accezione più ampia del termine, stante la clausura forzata, nelle mani, anzi, ai tasti del Computer, unica via possibile per dare sfogo ai pensieri. A dire il vero il Pc, virus o non virus, rimane per me e per molti, sempre uno dei migliori alleati utili a trasporre pensieri, a fissare sensazioni, a dare forma alle idee. Non è solo uno schermo quello del nostro Computer piuttosto che dell’IPad o del cellulare, è qualcosa di più, è come se in quegli schermi, in quei cristalli liquidi, su quelle tastiere si materializzasse un prolungamento di corpo, anima e cervello. E allora rimettiamoci all’opera, davanti al camino acceso, utile per una volta non solo a fare compagnia, ma anche a scaldare in questo uggioso, freddo e surreale pomeriggio di fine inverno. Sfuggiremo questa condizione onirica, questo è certo, le riprenderemo in mano le nostre vite, non so come, non so quando ma certamente ci riapproprieremo di una quotidianità che oggi, dopo appena pochi giorni di assenza ci manca già moltissimo, e non perché in realtà manchino i gesti, forse molto di più per quella condizione psicologica generata da ogni imposizione, da ogni forma di paura dilagante. Si tratta di un’assenza che ci soffoca, claustrofobica e allucinante che ci pone davanti a scenari da film ambientati in ere post atomiche. È come trovarsi di colpo sbalzati, da una quotidianità sonnolenta al set di Med Max piuttosto che di The Day After Tomorrow. Ricordate le immagini della fuga da una New York coperta da metri di neve, dove orde di lupi andavano in cerca di cibo ? ecco le ho ritrovate quelle immagini nei fotogrammi degli assembramenti alla Stazione Garibaldi a Milano, le ho ritrovate nei volti straniti della gente in fuga da una regione ormai off limits. Passerà l’ondata di piena, non senza conseguenze, non velocemente questo è bene dirselo con franchezza, senza teorie edulcorate e senza catastrofismi, con un pizzico di sano realismo che in questo caso è quantomai necessario, non fosse che per approcciare quello che verrà con la giusta dose di rassegnazione e determinazione, senza scoramenti, senza tentennamenti, con fiducia e precauzione. E così col passare dei giorni, si riducono velocemente i contatti umani, mentre proliferano in maniera esponenziale quelli virtuali, con le piattaforme dei Social prese d’assalto che diventano in questa fase, non più solo terreno di confronto ma per una volta vero e unico spazio di vita e di interazione possibile. Siamo duri di corteccia quassù in Aspromonte, avvezzi a camminare nella nebbia, abituati a sfoderare un senso di orientamento che negli anni è diventato segno distintivo, caratteristica endemica della gente di montagna.

PH. Noemi Evoli

Ci camminiamo da una vita nella nebbia quassù, senza sapere cosa ci si parerà davanti. Nascere e crescere in montagna significa abituarsi all’imponderabile, convivere con la forza della natura e con i suoi malumori, in buona sostanza significa imparare a vivere con poche certezze, senza sapere se quello che hai oggi lo ritroverai domani. Bene, ora nella nebbia ci siamo tutti, immersi in una cortina densa che si attraversa a fatica e ci consegna un senso di smarrimento cui ancora molti non hanno avuto il tempo di abituarsi. Con lo smarrimento si convive, non ignorandolo, accogliendolo ed accettandolo con la giusta dose di pazienza, mettendosi seduti ad attendere come il pastore che aspetta che passi la piena seduto su una roccia, in attesa di far passare il gregge sull’altra sponda. È giunta dunque, al netto da qualsiasi accostamento di alvariana memoria, l’ora dell’attesa e della pazienza, il momento da dedicare alla riflessione sul nostro stare al mondo, sulle nostre paure, e tanto vale dunque sforzarsi di trovare in ogni problema qualche opportunità. Pensavo ad esempio a quanto certe situazioni possano cambiare rapidamente le nostre prospettive, sulla gente, sui fatti, sulle cose e sui luoghi. Ecco parlerei proprio dai luoghi, quelli identitari, solitari, vituperati e tristi che si animano solo nelle sere d’estate quando si cerca riparo dalla calura della costa, quando si sale su spinti dall’afa e dall’inerzia. Parlerei di quei luoghi che oggi, alla luce di questa condizione paradossale possono assumere ed in parte lo stanno già facendo, un nuovo ruolo sociale, diventando valvola di sfogo, polmone utile a regalare una normalità altrove ormai quasi dappertutto preclusa. Riscoprire le periferie, la natura, piuttosto che i centri del nostro entroterra, quelli che consentono di vivere lontano dagli assembramenti, sembra pratica necessaria a far convivere sicurezza e voglia di normalità, medicina utile a combattere una claustrofobia ed un’ansia che crescono col passare delle ore e dei giorni.

Ph. Massimo Collini

È assai curioso osservare come possa cambiare rapidamente una prospettiva conferendo ad un luogo un significato differente, facendolo passare da marginale a necessario, conferendogli il crisma del luogo benedetto, dove ci si immerge come si fa con la mano nell’acquasantiera. Così può capitare che di colpo si passi da una visione di vuoto, di manchevolezza, di limitatezza, ad un’altra di benevola sicurezza, di protezione, con luoghi marginali che diventano porti franchi in cui approdare. In fondo lo dice la storia, quella di queste coste, dove la malaria spinse su per le colline e le montagne migliaia di persone che nell’aria rarefatta trovarono occasione di vita, edificando quei centri che ancora oggi, a distanza di secoli contemplano il mare da lontano. In fondo è solo la storia che si ripete ricordandoci un moto circolare da cui non si sfugge. Riscopriamo dunque il gusto della lentezza, viviamo la solitudine come opportunità e non come limitazione, cogliamo gli odori, i profumi, i paesaggi, con un ritrovato senso del tutto, gustandoli fino in fondo come unica cosa possibile, e magari alla fine di tutto, quando l’onda sarà passata, quando il gregge sarà al sicuro sull’altra sponda avremo ritrovato qualcosa che avevamo perso, perché ogni medaglia ha il suo rovescio ed ogni luogo il suo senso da riscoprire.

 

By Gianfranco Marino

 

Domenica 8 Marzo “Festa delle Donne del Vino”

Iniziativa in collaborazione con Enoteca Care Vigne di Reggio Calabria, Pro Loco Brancaleone, Associazione Caretta Calabria Conservation, F.I.D.A.P.A. sez. Brancaleone e Associazione Donne del Vino Calabria. 

Si svolgerà a Brancaleone (RC) Domenica 8 Marzo 2020, questo importante appuntamento culturale, legato alla condivisione delle esperienze nel campo della viticoltura e delle Donne impegnate nel sociale nel campo agricolo.

Le Donne del Vino in Calabria, lanciano forti e chiari messaggi per il rispetto dell’ambiente agricolo e marino.

L’evento si terrà a Brancaleone (RC) nei luoghi che vedono impegnate da anni le Associazioni Caretta Calabria Conservation e Kalabria Experience che in questa occasione guideranno in una passeggiata urbana tra storia, cultura e letteratura. Le suindicate Associazioni,  avranno come filo conduttore il tema dell’ Ecosostenibilità in Agricoltura e Turismo Naturalistico cui seguirà un’approfondimento sulle attività di tutela del mare e delle tartarughe nidificanti lungo la costa ionica di Reggio Calabria.

L’itinerario;

Sarà una giornata culturale a spasso alla ricerca dell’essenza poetica di Cesare Pavese, personaggio che trascorse il suo confino politico negli anni ’30 proprio a Brancaleone che ispirò numerosi versi e romanzi. Un urban-trekking facile e adatto a tutti che da Piazza stazione si porterà al Museo del Mare di Brancaleone dove ad attenderci ci sarà una delle volontarie Fondatrici dell’Associazione Caretta Calabria Conservation che ci condurrà attraverso i modelli in scala delle imbarcazioni, nel magico mondo del mare e della fauna che caratterizza la costa ionica reggina, rinomata per le sue spiagge, prescelte dalle tartarughe marine. Il percorso prevede la visita del piccolo Museo del mare e dei luoghi e della dimora di Cesare Pavese, all’interno della quale si servirà un light lunch durante un incontro di approfondimento sul turismo naturalistico insieme alle Donne del Vino e Fidapa di Brancaleone,

Il percorso passerà dall’Albergo Roma dove Pavese trascorse alcuni giorni prima di trasferirsi in altra sede.

Faremo una passeggiata su un pezzo del Lungomare di Brancaleone caratterizzato dalle imbarcazioni dei pescatori e dallo scoglio di Pavese su cui amava fare il bagno, attraverseremo poi il Corso Umberto I° per  giungere nella dimora che ospitò Cesare Pavese dall’Agosto del 1935 fino al 1936 all’interno della sua stanza sarà possibile calarsi nell’atmosfera anni ’30 attraverso un excursus storico esposto dal suo proprietario Tonino Tringali che ne ha custodito la memoria.

Al termine della visita alla piccola stanzetta di Pavese, si proseguirà con un piccolo incontro e riflessioni sul tema: “Sostenibilità delle Produzioni Agricole e del Turismo Naturalistico” esposto da autorevoli personalità del mondo associazionistico e imprenditoriale del territorio. Il tutto si concluderà con una degustazione e aperitivo accompagnati da Prodotti Tipici del Luogo.

PROGRAMMA:

ORE 09:30 Incontro/Raduno dei partecipanti presso Piazza Stazione a Brancaleone Marina
Incontro con : Carmine Verduci (Presidente della Pro-Loco di Brancaleone e Responsabile del Gruppo di Promozione Territoriale Kalabria Experience) e con Alessandra Moscatello (Direttivo della Pro-Loco di Brancaleone e Guida Turistica).

ORE 10:00 – Visita al Museo del Mare di Brancaleone
Accompagnati da Carmela Mancuso (Socio Fondatore dell’Associazione Caretta Calabria Conservation)

ORE 11:00Percorso Pavesiano

Percorso urbano facile che ripercorrerà i luoghi simbolo della permanenza dello scrittore Piemontese nella cittadina durante l’anno d’esilio politico 1935

ORE 12:30 Visita alla dimora del confino di Cesare Pavese

Accolti da Tonino Tringali (proprietario della casa) che ci guiderà all’interno della storia che ha caratterizzato la permanenza a Brancaleone dello scrittore.

ORE 13:00 – Aperitivo

Riflessioni sul tema: Donne, Vino e Ambiente -”Sostenibilità delle produzioni agricole e del turismo naturalistico”

APRIRA’ GLI INTERVENTI:

  • Adele Muscolo ( Mediterranea University Agraria Department)

SEGUIRANNO:

  • Vincenza Alessio Librandi (Delegata dell’Associazione Donne del Vino Calabria)
  • Tiziana Pedà (Enotecaria e Sommelier Professionista Ais, DDV Calabria)
  • Rosita Crea (Presidente F.I.D.A.P.A. sez. di Brancaleone)
  • Sebastiano Stranges (Agronomo e ricercatore, esperto di Viticoltura)

ORE 13:30 – Aperitivo con degustazioni accompagnate da Prodotti Tipici del luogo.

 

Per aderire all’iniziativa è opportuno prenotarsi telefonando al numero +39 3470844564 (entro e non oltre il 6 Marzo 2020) rilasciando il proprio nominativo e recapito.

La partecipazione prevede un piccolo contributo di 8€ a persona che comprende: organizzazione, ingresso museo del Mare, Percorso Pavesiano in città, e degustazione prodotti tipici del luogo.

 

SCARICA LA LOCANDINA

FESTA DELLE DONNE DEL VINO

 

 

 

 

Rocca di Varva

Domenica 1 Marzo alla scoperta della Rocca di Varva

Domenica 1 Marzo Kalabria Experience vi porta alla scoperta della Roca di Varva, una particolare conformazione rocciosa dalle sembianze umane. Si trova sul territorio di San Lorenzo proprio vicino al Borgo di San Pantaleone, immersa fra le campagne verdeggianti, caratterizzate da colture di ulivi e vigne, dove lo sfondo del mare contrasta con la bellezza delle colline circostanti.
 
L’ITINERARIO:
 
L’itinerario è dei più semplici; Giungendo al borgo di San Pantaleone, lasciato le proprie auto lungo la strada che porta al piccolo santuario della Madonna della Cappella, percorreremo un tratto di strada asfaltata fino alla chiesetta, visiteremo questo luogo ricco di storia e immerso nella pace e nel silenzio delle campagne, che custodisce un’antica effigie della Madonna col bambino presumibilmente del XI secolo.
Terminata la visita percorreremo la stradina che costeggia il piccolo cimitero e che in leggera salita ci porterà all’imbocco del sentiero che raggiunge la rocca di Varva (scopriremo perchè si chiama così). Sosteremo ai piedi della grande roccia per ammirare tutte le sue più curiose sfaccettature, piantumeremo un alberello in segno di riconoscenza della nostra visita su questo luogo. Al termine della piantumazione dell’alberello consumeremo il pranzo (a sacco) terminata la pausa riprenderemo il cammino sulla strada interpoderale che di li a breve ci condurrà al paese di San Pantaleone, attraverso una discesa su strada che ci farà cogliere le caratteristiche dei vicoli e scorci del borgo fino alla chiesa parrocchiale e la piazzetta con l’affaccio sulla Fiumara Tuccio. Dopo una breve sosta panoramica, raggiungeremo le nostre automobili dove le avevamo lasciate.
PROGRAMMA:
 
Ore 09:30 Incontro/Raduno a Melito di Porto Salvo (imboccando il bivio verso Bagaladi, San Lorenzo, Roccaforte del Greco, Chorio).
 Ore 10:00 Partenza con le automobili verso San Pantaleone
Ore 10:30 Inizio cammino
Ore 13:00 Pausa Pranzo
Ore 14:30 Visita Borgo di San Pantaleone
Ore 16:30 Arrivo al punto di partenza e saluti
 
SCHEDA TECNICA:
 
Difficoltà: T (TURISTICA)
Percorso: strade mulattiere: 60% asfalto, 40% sterrato o sentiero battuto.
Lunghezza complessiva: 4,5km
Durata cammino: 5h (soste incluse)
Presenza d’acqua: all’inizio del percorso e alla fine (San Pantaleone)
I bambini possono partecipare se seguiti e sotto la responsabilità di un adulto
NUMERO MASSIMO ADESIONI: 40
*L’escursione si effettuerà con un numero minimo di 10 partecipanti
QUOTA DI PARTECIPAZIONE:
5€ (da versare all’appuntamento)
 
ATTREZZATURA CONSIGLIATA:
Scarponcini da trekking, Vestuario a cipolla e comunque adatto al periodo, bastoncini da trekk (facoltativi), K-wai,cappellino da sole, occhiali da sole, scorta d’acqua (almeno 1,5lt), Pranzo o spuntino, smartphone e macchina fotografica (facoltativi)
 
*Il partecipante, si assume la sua responsabilità avendo preso visione del programma, esonerando l’organizzazione da ogni tipo di responsabilità, civile o penale che possa insorgere durante la giornata.
 
*Per aderire alla passeggiata basterà chiamare il numero 3470844564 rilasciando il proprio nome e cognome (non sono accettate prenotazioni tramite sms o messaggi whatsapp).
 

Buon cammino

 

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