Palizzi e le sue Baronie nei secoli

Quella di Palizzi è una storia controversa, fatta di nobiltà, successioni, vendite, controvendite, ma anche di ingiustizie, soprusi e inganni a danno sempre del popolo che ha retto un economia fiorente in tutto il circondario, dando da mangiare ai Nobili che si sono succeduti e spartiti i territorio nei vari secoli. Solo dal tardo medioevo e fino all’Ottocento le vicende legate al feudo di Palizzi e alle dinastie succedutesi, sono una rappresentazione soltanto sommaria di quanto emerge dagli studi opportunamente condotti, da qui ne emerge un quadro particolarmente sconcertante ed inverosimile.

Ma davvero siamo così attratti dall’importanza nobiliare dei nostri borghi? O è solo per una disattenta analisi della storia e delle vicissitudini legate ai centri infeudati?

Molti di noi sono sempre stati attratti dalla “nobiltà” di questi piccoli centri urbani e rurali, un tempo caratterizzati da famiglie nobili, baroni, principesse e nobili Signori che hanno edificato castelli e improntato politiche di successione abbastanza controverse. Attratti più dalla nobiltà piuttosto che dal loro potere, esercitato ingiustamente ai danno di una popolazione vessata dalla nobiltà che legiferava contro i sui sudditi ignari delle controversie interne cui questi Signori erano protagonisti.

Palizzi è un grazioso borgo che sorge a 270 mt sul livello del mare è un borgo tipicamente medievale che sorge alle propaggini sud orientali dell’Aspromonte, in piena area Grecanica. Caratteristica pittoresca di questo borgo è sicuramente il suo castello che sorge su una grande roccia che domina su tutto il paese affacciato sull’omonimo fiume Aléce conosciuto dai Greci come fiume Alex che fu confine tra le antiche Repubbliche di Locri e Reggio. Il borgo è sorto come tutti gli altri paesi verso l’interno rispetto alla costa e protetto dalle montagne perchè più difendibile dagli attacchi pirateschi e dalle pestilenze malariche dell’epoca. Secondo alcuni studiosi il nome stesso di Palizzi deriverebbe dal Greco Politsion “piccola città”, secondo altri deriverebbe dal Greco Polìscin, che  pare significhi “luogo ombroso”. Si hanno anche notizie di un approdo sulla costa, che fino al 1700 conservò il toponimo di “Porto Palitio” o “Palitii” come lo si evince da antiche mappe.

Le prime notizie indicano che intorno al 1300 risulta territorio feudale di Bartolomeo Busca al quale apparteneva anche il feudo di Bruzzano Vetere (Bruzzano Zeffirio). Nel 1322 il territorio di Palizzi fu acquistato da Guglielmo Ruffo (nota famiglia molto potente in Calabria) a seguito della morte del fratello maggiore Pietro e del suo figlioletto, Guglielmo ottenne dal Re Roberto D’Angiò l’assenso alla successione di beni paterni.

Nel 1334 Guglielmo sposa Caterina Crispai D’Alemagna (Dama di Corte della Regina) dalla quale ebbe 4 figli. I due mantennero ottimi rapporti con la corte Angioina di Napoli tanto che ricevettero molte onorificenze tra cui anche terre nella Contea di Alba e successivamente anche l’acquisto di Palizzi e Bruzzano Vetere. Guglielmo, rimasto vedovo di Caterina passò a seconde nozze con Luisa D’ Erville e nel 1335 fu nominato dal Re “Capitano Generale e Giustiziere della Calabria”. Da documenti emersi si evince che a seguito di questa prestigiosa investitura, Guglielmo ebbe a che fare con numerose controversie che lo videro protagonista di scandali e vicissitudini, tanto da essere anche scomunicato dall’Arcivescovo di Bova, perchè erano sorte molte controversie con la diocesi per interessi legati a terre e vari possedimenti. Da una parte il Ruffo voleva ottenere terre e quindi porre una sorta di egemonia territoriale rifacendosi poi sul duro lavoro del popolo i quali corrispondevano parte del ricavato di grani e produzioni agricole, dall’altra parte la Curia aveva interessi ad a mantenere ed espandere i propri interessi agricoli delle terre e dei possedimenti. Questo spesso metteva il popolo in contrapposizione ai Feudatari, e alla chiesa conveniva. Queste controversie nel 1329 si tradussero in una sorta di “pace” tra il Ruffo e la Diocesi di Bova grazie all’intervento del Re.

Erede di Guglielmo Ruffo fu il primogenito Enrico che andò a nozze con la nobildonna regina Giulia De Moleto, Enrico premorì al padre e lasciò in erede il figlio Antonio che fu molto contrastato dallo Zio Folco nella successione dei diritti paterni sulla Baronia di Palizzi ed altri possedimenti. Alla morte di Guglielmo la questione fu poi risolta dal Re Carlo III di Durazzo con la suddivisione tra i due pretendenti con la ripartizione dei possedimenti si vennero così a creare due aggregazioni feudali nel versante tirrenico e jonico, dunque a Folco Ruffo andarono Sinopoli, Santa Cristina, Solano, Sitizano, Fiumara del Muro, Calanna ad Antonello Ruffo andarono Palizzi, Brancaleone, Placanica, Bruzzano Vetere, Condojanni ed alcuni immobili di Reggio. La nuova linea feudale Palizzi-Brancaleone dei Ruffo durò quattro generazioni, durante tutto questo periodo avvennero forti tensioni per la successione del Trono di Napoli fra i Durazzo e gli Angiò di Provenza prima e gli Aragona dopo, infatti nel corso di questa lotta di successione al trono napoletano i vari rami dei Ruffo si schierarono almeno in un primo periodo su fronti differenti, per poi mutare a seconda dei loro interessi e tornaconti. Nonostante tutti questi conflitti il Signore di Palizzi morì non avendo eredi nonostante si fosse sposato due volte la prima delle quali con la cugina Luisa Ruffo di Sinopoli che non avendo figli il feudo fu ereditato dal fratello Enrico, al feudo di Palizzi mirava però il Conte Carlo di Sinopoli il quale fece istanza ad Alfonso il Magnanimo per avere in possesso (come risarcimento della dote della Zia Luisa) il feudo di Palizzi, si giunse poi ad un accordo tra i due pretendenti in base al quale Carlo rinunciò al Feudo conteso a favore di Enrico e questi in cambio abbandonò le fila Angioine per passare allo schieramento Aragonese al quale ormai aderivano tutti gli altri rami del casato.

L’alleanza fra i Conti di Sinopoli e di Palizzi fu sancita nel 1439 da un patto nuziale che prevedeva una serie di matrimoni tra i membri dei Ruffo di Calabria e della famiglia Centelles (famiglia siculo-catalana). Antonio Centelles si impegnò a prendere in moglie Enrichetta Ruffo Contessa di Catanzaro e Marchesa di Crotone, le sorelle dei Centelles Maria, Alvina, Elisabetta e Ramonetta avrebbero rispettivamente sposato Carlo di Sinopoli i suoi due figli Esaù e Nicolantonio ed il cugino Geronimo, figlio e successore di Enrico di Palizzi.

Geronimo Ruffo fu coinvolto dal cognato Antonio Centelles nella seconda rivolta divampata nel regno di Napoli contro la dinastia Aragonese nel 1458 poco dopo la successione ad Alfonso del figlio naturale Ferrante. Dopo tutte queste controversie delle due fazioni dei Ruffo il Feudo di Palizzi rischiò di essere sottratto ai Ruffo ma nel 1479 il Re di Napoli concesse a Bernardino Malda De Cardona (cognato di Antonello) la baronia di Palizzi sulla quale vantava dei diritti ereditari dal padre Berengario che derivavano dalla mancata restituzione della dote della sorella Beatrice della quale Antonello era rimasto vedovo senza figli. Nonostante le vicende che agitarono il casato dei Ruffo sul finire del secolo il Ruffo riuscì a recuperare Palizzi e Brancaleone che gli venne riconosciuto solo nel 1498 dal re Federico ma con l’obbligo di un versamento annuo pari a 3mila ducati alle casse regie. Con l’avvento al trono di Ferdinando il Cattolico nel 1507 Antonello Ruffo ebbe la conferma dei Feudi acquistati, nel frattempo la figlia Geronima si era sposata con Alfonso de Ayerbo d’ Aragona signore di Simeri. Alla morte di Antonello Ruffo nel 1515 il feudo di Palizzi passò in eredità alla figlia Geronima e al genero Alfonso de Ayerbo che la trasmise ai suoi discendenti, si passa così dai Ruffo che ebbero in feudo Palizzi per due secoli ai De Ayerbo d’Aragona.

Gli Ayerbo infatti erano arrivati nel mezzogiorno nella prima metà del quattrocento a seguito di Alfonso il Magnanimo impegnati nella lotta di successione al trono di Napoli. Dopo la morte del primogenito Ferrante figlio di Sancio De Ayerbo (signore di Simeri) fu ereditato da Alfonso (futuro signore di Palizzi). Alfonso non tenne a lungo la Baronia, nell’Ottobre del 1520 infatti, vedovo di Geronima morì e gli subentrò il figlio Michele che fu signore di Palizzi per un trentennio ovvero fino al 1548. Erede di Michele fu il figlio Alonso, questi attratto dalle politiche accentratrici del vicerè Pietro di Toledo non riuscì a far fronte alle spese sostenute nella capitale Napoli e si indebitò in modo smisurato, per cui fu costretto a vendere il feudo di Palizzi che fu acquistato con il “pacto de retrovendendo” da Troiano Spinelli (Marchese di Mesoraca e principe di Scalea).

In realtà il Pacto Retrovenendo era un sistema che consentiva di riavere la proprietà ripagandola al compratore della stessa somma entro un termine stabilito. Alonso infatti, riuscì a restituire a Giovanbattista Spinelli (figlio e successore di Troiano) il denaro avuto dal padre e rientrò in possesso di Palizzi. Negli anni seguenti però la situazione economica della famiglia si aggravò notevolmente e fu costretto a sua volta a vendere definitivamente i propri feudi compreso Palizzi.

Acquirente della baronia di Palizzi fu nel 1580 il Patrizio messinese Francesco Romano, il Romano infatti a Messina ricopriva notevoli cariche  di responsabilità, i suoi proventi infatti furono interamente investiti per l’acquisto feudale in Calabria in particolare sulla fascia jonico-reggina. Da Francesco Romano, Palizzi passò in feudo a Pompeo che non ebbe discendenti diretti, alla sua morte infatti il feudo di Palizzi passò al nipote Giacomo Colonna Romano (Marchese di Altavilla), a metà del ‘600 una grave recessione produttiva colpì la famiglia Romano e Colonna, infatti nel 1652 il marchese di Altavilla Giovanni Colonna (successore di Giacomo), essendo oberato di debiti, fu costretto dai creditori a vendere al maggior offerente il castello ed il feudo di Palizzi.

Nel 1662 fu la nobildonna Messinese Margherita Arduino ad acquistare la terra di Palizzi per 27mila ducati che lo ebbe fino al 1751, quando risulta essere stato acquistato dalla famiglia De Blasio i quali lo mantennero fino al 1806. Sempre da documenti emersi dagli archivi, risulta che nel 1866 il Barone Tiberio De Blasio decide di ristrutturare il castello di Palizzi (ad un anno esatto della morte del padre avvenuta proprio nelle sue stanze), infatti dopo la ricostruzione, il castello fu utilizzato come residenza estiva da Don Tiberio fino alla sua morte, avvenuta nel 1873 all’età di 46 anni. Durante la II guerra mondiale pare che Don Carlo de Blasio (detto Caramella) si trasferì per alcuni mesi nel castello di Palizzi a causa dei bombardamenti Americani sulla città di Reggio.

Tra gli anni 1950-1960 Ferdinando, utilizzò il castello nei mesi estivi con la moglie ed i suoi figli. Don Nandino provvide ad apportare piccoli restauri alla parte abitabile, che comunque risultarono insufficienti ad arrestare il progressivo lento ed inesorabile deterioramento della struttura, che oggi grazie ad lunghe e complesse opere di restauro, sembra stia tornando a rivivere per la gioia degli amanti dei borghi e dei castelli medievali.

Siete ancora convinti che le nobiltà siano state poi così importanti come nel caso di Palizzi? Potrei citare molti e molti altri paesi (feudi) dell’epoca che hanno subito le stesse vicissitudini come quelle Palizzi.

Io credo che conoscere le vicissitudini di un luogo sia importante per avere un quadro cronologico della politica del medioevo e per comprendere quanto questa ha inciso sulla storia e sugli uomini dei nostri paesi, oggi ridotti per la maggio parte dei casi in vere e proprie ghost town. Lo dobbiamo fare senz’altro per cogliere con profonda consapevolezza tutti quegli aspetti giurisdizionali che hanno caratterizzato il passato dei nostri paesi, non certo per millantare una certa borghesia che invece di dare, ha soltanto tolto, e a volte diciamolo pure, ha sottratto anche la libertà ai nostri antenati costringendoli in una “non vita” il tutto e solo per imporre dazi, diritti e soprusi di ogni genere.

Ad ogni modo Palizzi è sicuramente una delle mete che io consiglio di visitare senz’altro insieme al borgo di Pietrapennata. Luoghi dell’anima, dove il tempo sembra si sia fermato, dove il cielo, la terra ed il mare sembrano dipingere quadri incredibili di una insolita Calabria stupefacente!

 

Foto e testo © Carmine Verduci

Fonti: Giuseppe Caridi “Palizzi. Dal tardo Medioevo all’Ottocento” Ediz. Falzea (collana  Città di Calabria e di Sicilia) Anno di pubblicazione 1999)

 

 

Zungri (VV) “La piccola Cappadocia di Calabria”

C’è un luogo in calabria, dove all’improvviso ti sembrerà di essere in Cappadocia, stiamo parlando di Zungri in provincia di Vibo Valentia.

L’antico insediamento rupestre è un villaggio rupestre di straordinaria bellezza. Localizzato ai margini del nuovo abitato, in una zona che si chiama significativamente i Fossi, nome che compare, insieme a quello di Cavernoli, già nel 1586 negli scritti di Monsignor Del Tufo (Solano 1998), è stato in parte frequentato fino a tempi non lontani.

Secondo l’Archeologo Francesco A. Cuteri  l’uso più recente di alcune grotte ha solo in parte intaccato l’aspetto originario e così l’abitato si presenta come un insediamento in cui è ancora possibile cogliere tutta la complessità e la raffinatezza del vivere in grotta. Ci troviamo, infatti, in un ambiente antropizzato dove niente è stato lasciato al caso e dove la mano esperta dell’uomo, munitasi di scalpelli e di picconi a doppia punta, ha saputo immaginare e realizzare ambienti, percorsi, servizi in cui, non di rado, è stata raggiunta la perfezione tecnica e funzionale. Qui l’uomo, forse più che altrove, ha saputo, con ingegno, misurarsi costantemente con la natura ed ha ponderato, con grande esperienza, ogni attività.L’abitato, composto da oltre una cinquantina di grotte di diverse dimensioni e forma, si sviluppa lungo un ampio costone roccioso, detto anche degli Sbariati, che si affaccia sulla fiumara Malopera.

L’insediamento, articolato su più livelli, è attraversato da una scalinata tagliata nella roccia che presenta una canaletta, anch’essa scavata, funzionale alla raccolta delle acque. Alcune grotte si articolano su due livelli e molte conservano all’interno nicchie e numerosi altri elementi funzionali alle necessità del quotidiano. Talvolta l’esterno degli ingressi è impreziosito da incisioni che, imitando i portali in pietra, ne tracciano stipiti e archi. Accanto alle abitazioni, che conservano talvolta i segni di più recenti frequentazioni (forno da pane, muri in pietra, scale in legno), è possibile registrare la presenza di ambienti destinati al ricovero degli animali, altri ancora che conservano piani di lavoro, altri destinati alle attività produttive: è il caso di un piccolo palmento posto all’inizio dell’abitato e di una calcara, quasi interamente ricavata nella roccia. Ci sono, infine, delle fonti, una delle quali, scavata a mo’ di grotta, presenta una sorta di vasca lavatoio e una cisterna affiancata. L’abitato presenta in più parti strutture murarie realizzate con tecnica tarda. Queste, unitamente ad un certo numero di ambienti di forma rettangolare posti nella parte iniziale dell’insediamento, sono da riferire, come evidenziato anche da recenti interventi archeologici, all’età moderna. Quest’ultimo aspetto ci porta a trattare, seppur per sommi capi, la questione della cronologia dell’intero sito. Infatti, si è notata la tendenza, in letteratura, a voler riferire l’insediamento, nel suo insieme, all’età medievale o addirittura all’età bizantina. Ora, se da un lato è evidente che alcuni settori potrebbero essere riferiti al Basso medioevo, dall’altro è opportuno evidenziare quanto alcuni aspetti molto importanti: la strada principale del villaggio, quasi interamente scavata nella roccia, mostra in più punti di aver tagliato strutture con profilo a sacco da interpretare inequivocabilmente come silos; la presenza di fosse granarie, tagliate e riempite da porzioni di muratura, è attestata anche nell’area ora occupata dal nucleo di abitazioni in cui sono presenti tarde murature in pietrame;  anche la calcara, ancora di incerta datazione, è stata con tutta evidenza ricavata all’interno di un grande silos; le unità rupestri poste nel settore centrale dell’insediamento, ed in particolare quelle poste al livello più alto, sono state sempre interpretate come abitazioni fornite di un foro, posto alla sommità delle cupole, funzionale alla fuoriuscita del fumo. Anche in questo caso, invece, è evidente che ci trova in presenza di grandi silos successivamente trasformati, con il taglio regolare delle pareti e l’apertura di porte e finestre, in vere e proprie abitazioni. Le modifiche apportate alle strutture non consentono di stabilire con certezza se i silos fossero originariamente del tipo a sacco o a campana. Possiamo così affermare, in conclusione, che prima della realizzazione dell’insediamento, inteso come villaggio strutturato, l’intera area, interessata unicamente dalla presenza di silos, doveva apparire come un unico, grande granaio.

PH. Domenico Iannello

Ma quello di Zungri costituisce, in realtà, un “unicum”, un villaggio rupestre che non è mai stato realmente abbandonato in quanto sempre vissuto, anche se in modi diversi, utilizzato da sempre dai contadini fino a quando, negli anni ’80-90 non è stato espropriato dal Comune per renderlo fruibile. Il sito vive ancora, non solo per le innumerevoli visite, ma anche grazie alle molteplici attività che nel corso di questi ultimi anni sono state organizzate. I lavori di riqualificazione per migliorarne la fruibilità e gli apparati tecnologici multimediali ottenuti grazie ad un finanziamento comunitario, lavori eseguiti nel 2015, hanno permesso di poter lavorare in maniera professionale, facendo conoscere al pubblico il sito rupestre, soprattutto grazie all’ ausilio dei social. Ed infatti, i risultati non sono tardati ad arrivare, e già le attività museali riferite all’anno 2017 si sono concluse con un bilancio molto positivo, 23.500 ticket venduti nel 2017 (contro gli 11.000 ticket registrati nel 2016) ed abbiamo chiuso il 2018 con 25.500 ticket ed oltre 30.000 visitatori. L’aumento sostanziale di visitatori ha reso possibile, quindi, la programmazione di molteplici iniziative che hanno visto il sito archeologico protagonista di eventi molto importanti.

PH. Salvatore Mazzeo

 

IL MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA DI ZUNGRI

PH. Lorenzo Emanuele Labate

In questi anni di intense attività le attività museali hanno anche riguardato mostre di opere d’arte di vari artisti locali nei periodi di maggiore afflusso, lo svolgimento di laboratori didattici con vari gruppi e scolaresche, interscambi con varie associazioni culturali del territorio, intessendo, così, una rete per la promozione del territorio che dal mare arriva nell’entroterra e l’instaurazione di una fattiva collaborazione di co-marketing con varie aziende del territorio mirata alla promozione del sito rupestre. Inoltre, il sito rupestre è stato scelto come tappa per molteplici raduni di club calabresi e siciliani, di macchine d’epoca, moto d’epoca, motoraduni, raduni di gruppi scout, ecc. Sono stati accolti ed ospitati gratuitamente associazioni di ragazzi portatori di handicap e di ragazzi disagiati, in collaborazione, sempre, con associazioni di volontariato operanti sul territorio. Spesso le Grotte sono state scenario di set fotografici. Protagonista, ultimo, Mimmo Russo HairStylist ed il suo staff, che ha scelto il sito come sfondo perfetto per l’ambientazione del catalogo della sua nuova collezione MR. L’artista ha scelto di rimanere in Calabria e di creare un ponte diretto con Londra, veicolando, così, l’immagine della nostra terra attraverso le sue collezioni. Quindi, il sito di Zungri, sarà presentato, grazie a questa collezione, nei maggior atelier londinesi.

Stiamo già lavorando alla programmazione degli eventi per la stagione 2019!!!

PH. Marielle Epifanio

Possiamo quindi affermare che tutto il lavoro messo in campo per la valorizzazione dell’Insediamento Rupestre comincia a dare dei risultati. I lavori di riqualificazione, l’apparato multimediale, che consente di interloquire con i visitatori e le varie attività che si svolgono nel sito archeologico giocano un ruolo fondamentale. Ma, affinché un luogo viva, chi ne ha la custodia, deve fare in modo che ci sia dinamicità e non staticità. Le GROTTE esistono da sempre, sono state strutturate per un uso ben preciso che non si conosce, hanno sicuramente cambiato destinazione nel corso dei secoli e sono giunti fino a noi cosi, come oggi le vediamo. Innanzi tutto è di fondamentale importanza che la ricerca continui. Sono innumerevoli le cavità che ancora devono essere esplorate e già il Campo Speleologico che si è svolto nel mese di maggio 2017 ne ha portato alla luce tantissime.

“Servono finanziamenti mirati sia alla salvaguardia delle cavità stesse che alla messa in sicurezza dei percorsi che diano la possibilità anche di poter raggiugere le cavità al di fuori del nucleo centrale” – ci confessa Maria Caterina Pietropaolo (Coordinatrice del Museo della Civiltà Contadina ed Insediamento Rupestre) “…servono risposte ai vari interrogativi che da sempre accompagnano questo sito. Servono ricerche storiche, antropologiche, archeologiche. Cos’era questo posto, chi lo ha scavato, esiste una necropoli, un luogo di culto, come è stata l’evoluzione di questo sito? E le cavità che stanno venendo alla luce sono di epoca più antica del sito stesso? Tutti interrogativi che aspettano una risposta” !

“…Se i dati lo confermeranno, l’Insediamento Rupestre di Zungri sarà, in termini numerici, uno dei siti archeologici più visitati della Calabria, anche nell’anno 2018, avendo, alla data odierna, già superato il numero dei visitatori dello scorso anno. E questo è motivo di orgoglio. Lo è innanzitutto per l’attuale amministrazione comunale, che ha puntato moltissimo sulla valorizzazione del sito, riuscendo ad ottenere i finanziamenti che hanno permesso di dare lustro a questo luogo e che si sta adoperando per ottenerne altri, lo è per chi lavora con passione e dedizione e lo è per gli zungresi che sono stati custodi inconsapevoli di tale meraviglia, preservandola e tutelandola. Ma lo è anche per la provincia di Vibo Valentia così come per la Calabria tutta. Questo sito può fare da volano all’ intera economia della cittadina e del territorio. Indubbiamente è un luogo particolare, unico, raro. Il connubio mare, pianura è ottimale. Bisogna incentivare sempre di più le visite al sito. Certo, con moderazione. Bisogna tenere sempre conto che il sito va tutelato e custodito per essere tramandato. Vanno incentivate le visite scolastiche per tramandarne la memoria storica. E qua, forse più che in altri casi, il Museo della Civiltà Contadina gioca un ruolo fondamentale. Tramandare la memoria storica. I ragazzi devono vedere, toccare, capire come si è giunti al benessere. Devono capire il valore del sacrificio, del lavoro nei campi, devono capire il valore di ogni singolo oggetto custodito nel Museo. Questo è il compito prefisso. Valorizzare, custodire, tramandare. Lavorare per dare le giuste informazioni, lavorare per organizzare eventi, lavorare per coinvolgere la comunità che custodisce questo bene, lavorare, sempre congiuntamente all’ amministrazione comunale, per continuare a dare vita al sito rupestre di Zungri. Ma il sito di Zungri, oltre ad avere la necessità di essere studiato e valorizzato, per le criticità che mostra, ha la necessità di essere conservato. Zungri è un insediamento a rischio enorme perché sorge su un’area di dissesto geologico e un’area in frana R3-R4. In molti punti, infatti, si notano già delle lesioni, dei cedimenti e degli stacchi perché a monte delle grotte vi è un grande riporto di terreno,alberi e vegetazione e quindi il sito richiede molteplici interventi. Gli ultimi avvenimenti alluvionali hanno seriamente compromesso le prime cavità e la zona denominata area “pic nic”, ovvero l’area delle sorgenti, con frane e smottamenti che hanno divelto in più punti la staccionata facendola crollare nella vallata sottostante e provocato dei distacchi di massi e terreno compromettendo le vasche di raccolta delle acque che costituiscono un elemento fondamentale del sistema di canalizzazione delle acque del sito rupestre. Quest’area, fondamentale anche per lo svolgimento delle manifestazioni, per i danni subiti e per questioni di sicurezza, è stata chiusa al pubblico…”

Arh. Maria C. Pietropaolo

“Bisogna, quindi, intervenire con la massima urgenza prima che le piogge invernali compromettano il sito irrevocabilmente. Bisogna mettere questo Insediamento nelle condizioni di poter continuare a vivere oppure rischia di scomparire. Bisogna intervenire in maniera strutturata a monte non solo con interventi strutturali, di ripristino e conservativi, ma, anche regimentando le acque. Solo così verrà conservato quello che oggi è uno dei patrimoni più straordinari della Calabria”

Noi di Kalabria Experience che abbiamo avuto la fortuna di visitare questo insediamento rupestre ben due volte cogliamo questo accorato appello e lo rivolgiamo a tutti gli Enti competenti, affinchè il sito di Zungri possa diventare PATRIMONIO DELL’UMANITA’ e ottimo esempio per la Calabria di buona gestione e valorizzazione del patrimonio archeologico. Con la speranza di ritornarci presto intanto vi consigliamo di sfogliare la brochure ufficiale  ZUNGRI e iniziare a programmare una visita in questa meravigliosa Cappadocia del sud Italia!

SCARICA L’APP  “ZUNGRI”   (una guida virtuale, una mappa del sito con punti ciclabili con foto e didascalie dell’ insediamento rupestre)!!!

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By Carmine Verduci

 

…Quel che resta di Aprichos (Africo antica) di Santina Marateia

Storicamente Aprichos, oggi “Africu vecchiu”, Africo Antico, come lo si qualsivoglia chiamare il toponimo Africo suscita emozioni e reazioni discordi negli animi di chi in maniera diversa ha sentito parlare di questo antico borgo situato nel lembo più remoto dell’Aspromonte.
Di fatto, visitare oggi questo luogo atavico e primordiale scatena in qualsiasi individuo un fiume in piena di sensazioni e sentimenti contrastanti, un’infinità di riflessioni e domande a cui, probabilmente, nessuno mai darà risposta! Perché l’antico borgo è stato abbandonato a se stesso e chi di competenza non ne ha garantito la sopravvivenza, sradicando un’ intera popolazione dal proprio paese di origine, decretando in maniera irreversibile la perdita di una cultura identitaria ben radicata?
Come ha fatto la gente del posto a vivere in mezzo alle montagne, isolata dal resto del mondo, senza corrente elettrica e acqua potabile all’interno delle abitazioni? 
Lo stupore sale ancor di più se si riflette sul fatto che l’unico segno della moderna civiltà è rappresentato dall’installazione del telegrafo voluto dal Governo per la cattura del brigante Musolino!


Africo, è per antonomasia il luogo dove più che in altri luoghi si è manifestato l’abbandono e l’assenza dello Stato e delle Istituzioni, e dove di contro la gente del posto, gente dignitosa e temprata dal quotidiano vivere in condizioni precarie e difficoltose, è comunque riuscita ad andare avanti nonostante tutto, adattandosi in maniera quasi simbiotica ad un territorio aspro, selvaggio e indomito come solo l’Aspromonte sa essere. Africo venne descritta in “Tra la perduta gente” dal meridionalista e antifascista Umberto Zanotti Bianco nel 1928 che denunciò, per la prima volta, le condizioni estreme in cui erano costretti a viveri gli africesi, afflitti da pesanti tasse, isolati geograficamente dal resto del territorio e costretti a vivere in abitazioni pesantemente compromesse dai precedenti sismi, in particolare quelli del 1783 e del 1908.

Questi raccontò ad una Nazione intera di come gli africesi si nutrissero di un particolare pane ottenuto dall’impasto di farina di lenticchie e cicerchie. Ciò nonostante, lo stesso Zanotti Bianco restò profondamente colpito da questa “terra bruciata” dimenticata da Dio, terra dove la natura aspromontana regna sovrana e incondizionata, regalando gratuitamente viste mozzafiato e paesaggi peculiari dei quale egli non poté non rimanerne affascinato:
“Le luci si spengono sui monti e le prime stelle tremano in cielo, assieme al trillo lontano dei grilli. Per vederle, ho lasciato aperta la portiera della tenda. La fiamma della candela che ne illumina le pareti aumenta il senso di pace e di poesia che scende in me: la pace tacita e deserta di questi monti, la poesia di questa vita solitaria che è però così vicina al cuore delle cose” (Umberto Zanotti Bianco – Africo 1928).

In seguito, nel 1948, Africo venne ulteriormente immortalata nel reportage fotografico di Tino Petrelli per il settimanale l’Europeo di Milano nella famosa inchiesta sulle condizioni del Mezzogiorno, dalla quale si evinse che a distanza di vent’anni le condizioni di vita della gente di Africo non fossero per nulla mutate. L’alluvione dell’ottobre del 1951 ne decretò il definitivo abbandono: dopo giorni di piogge incessanti, il già violentato e fragile territorio calabrese collassa idrogeologicamente e una valanga di terra e fango si riversa sull’insediamento di Africo, trascinando con sé abitazioni, persone e animali.

La popolazione intimorita trova rifugio nella Chiesa Matrice, inconsapevole di quello che la attenderà al sorgere del sole, quando passato temporaneamente il pericolo si accingerà a raccogliere e salutare per sempre quel che resta dell’amata terra per non farne più ritorno.
Ricalcare oggi i vecchi tracciati che conducono ad Africo, è come ripercorrere un viaggio indietro nella storia, una macchina del tempo che ti trascina vorticosamente alla scoperta di territori e insediamenti che di fatto hanno segnato la storia della Calabria.


Superata la chora di Bova e i cosiddetti Campi si arriva in località Puntone Carrà (925m s.l.m.), presso il cosiddetto Villaggio Carrà, un abitato costituito da poche case popolari edificate dopo l’alluvione del 1951 a sostegno di una parte della popolazione di Africo dedita all’allevamento che ha deciso di non abbandonare questa terra e le proprie attività produttive. Da qui inizia il nostro viaggio a piedi, mediante un percorso ad anello che si articola per circa 8 km lungo i contrafforti orientali aspromontani, percorrendo l’antico sentiero che conduce ad Africo Vecchio, pressoché una mulattiera che si snoda su affioramenti di roccia arenaria.


Spettacolari e secolari boschi di querce e castagni in piena fioritura signoreggiano e fanno da cornice al cammino che procede costeggiando il Puntone La Guardia (865m s.l.m.), passando per il vecchio cimitero comunale per poi proseguire verso la piccola chiesa di San Leo, luogo spirituale e di culto, meta di pellegrinaggio, conteso a tutt’oggi tra la gente di Bova e di Africo. La chiesetta, dalle modeste dimensioni e di semplice fattura, costruita alla fine del XVIII secolo probabilmente sui ruderi di una struttura precedente, custodisce all’interno la statua marmorea di S. Leo e parte delle reliquie del santo patrono.

Lasciata la chiesetta si riprende la mulattiera che conduce al vecchio abitato, attraversando un sottobosco ricco e variegato dominato da felci, cisti, euforbie e biotipi tipici della macchia mediterranea.
Oltrepassato il Puntone La Guardia si giunge ad Africo. Lo scenario che si apre ai nostri occhi è irreale e romantico allo stesso tempo: un labirinto di ruderi completamente invasi dall’edera, dai rovi e da alberi di fico! Radici e rami infestano i vani di quelle che erano una volta le piccole cellule abitative, la vegetazione si è prepotentemente appropriata di ogni piccolo anfratto murario, ogni singolo interstizio o concio lapideo facendolo proprio.

Dalla lettura di quel che resta dell’insediamento si evince che l’impianto urbano si sviluppa sul pendio naturale sfruttando l’acclività del terreno, generando tipi edilizi semplici a cellula singola o doppia, dall’assetto complessivamente spontaneo che si adattano alla morfologia del territorio. La Chiesa Matrice, di più recente costruzione assieme alle Scuole Elementari e il Municipio (realizzati dopo gli anni trenta), costituisce l’unico polo emergente all’interno del vecchio centro abitato. La seppur veloce disanima del lessico costruttivo evidenzia tecniche costruttive che si rifanno alla tipica tradizione locale caratterizzata dall’utilizzo di materiali presenti in loco, con murature in pietra e solai in legno. Gli unici elementi architettonici di un certo rilievo rinvenuti consistono in alcuni pregevoli conci lapidei scolpiti appartenenti ai portali e alle mensole dei balconi.

Procedendo in mezzo a rovi e ruderi dalla piccola e intima piazzetta della chiesa verso la località Campusa, si incrociano quelle che erano le strutture destinate al Municipio, alla Caserma dei Carabinieri, l’asilo e infine le Scuole Elementari. Un brivido corre lungo la schiena nel leggere l’epigrafe delle Scuole Elementari e dover constatare con tristezza che non ci saranno più voci gioiose di bambini che risuoneranno dentro le ormai dirute aule e che le stesse piccole figure infantili non si rincorreranno più lungo la scala di accesso alla Scuola, stagliandosi verso il cielo. Tutto è andato perduto!

Rimangono solo le tracce, i segni, i ricordi, i racconti e le testimonianze della gente di Africo ancora legata passionalmente alla propria terra di origine, custodi premurosi di un pezzo di Calabria che non c’è più e che rivive caparbiamente in loro. Tra di essi, il poeta e cantastorie Giovanni Favasuli, che ha allietato e reso speciale la nostra giornata ad Africo, ammaliandoci con i suoi racconti e i versi delle sue poesie, accompagnati spesso dal suono armonioso della chitarra, versi commoventi e sinceri che raccontano l’amara realtà delle cose.
Adesso più che mai, mi risuona nella mente il ritornello di una canzone, attualissima e profonda nelle parole, che fa così:
“….Nescìmu fora e facìmu rota,
e sutta ’a luna di jancu pittàta,
sentimu ’i vecchj cunti di ’na vota,
facìmu festa tutta la nottata.
Nescimu fora e facìmu rota,
nsin’â quandu ’a lumera esti ddhumàta.
Arretu non tornamu annatra vota…
Esti ’nu viaggiu di sulu andata!”

Testo e foto © Santina Marateia 

Evento culturale Kalabria Experience del 18.06.2017

Lettera alla Calabria di Maria Celebre

Nel momento in cui il mio cuore e la mia anima hanno guardato e scoperto per la prima volta con amore infinito la Calabria, quello che mi sia successo non saprei descriverlo. Tutto ebbe inizio dai racconti di mio figlio, ringrazierò il professore di terza media che si rifiutò di portare la sua classe in gita al nord, preferendo la Calabria. Ha fatto vivere e scoprire ai suoi studenti l’amore, la storia e l’orgoglio di essere Calabrese. Al rientro più ascoltavo le parole di mio figlio su quello che aveva visto e vissuto, più sentivo il cuore scoppiarmi dal petto, mi sussurrava e mi spingeva a scoprire di più. Decisi un giorno di incominciare a viaggiare ed a percorrere quelle strade di cui avevo tanto sentito parlare. Percorro Briatico ed entro in paradiso sono immediatamente rapita da una bellezza incredibile, colori indescrivibili, da un vento caldo, piacevole che mi dava il benvenuto, immediatamente capisco perché i Greci hanno chiamato quel tratto di mare la “Costa degli Dei”

Solo gli Dei hanno potuto creare tale meraviglia. In lontananza vedo una Rupe ,un qualcosa che mi incuriosiva, ”che cosa è, quale divinità mi attende laggiù?” ricordo che sentivo una gioia infinita, più mi avvicinavo è più stranamente percepivo la sensazione che stavo ritornando a casa. Ultima curva ed eccola in tutto il suo splendore la mia Lady Tropea, con le sue spiagge bianche, acque cristalline e palazzi. Unica ed affascinante Dea. Eccomi ritornata a casa, ho percorso le sue stradine ed ogni angolo ed ogni palazzo mi raccontava qualcosa. Pian piano mi avvicinai ad una terrazza piena di gente,non trattenevo più il mio cuore dal emozione, è in quel istante in quel pomeriggio, io mi sono totalmente e perdutamente innamorata di lei. Ho atteso che il sole tramontasse ed anche li rimasi senza parole.

Sul orizzonte c’era lui “iddu” l’isola di Stromboli che proteggeva la sua Lady, quando loro due si incontrano al tramonto è magia ,amore puro. Continua il mio viaggio a Capo Vaticano, scendo dalla macchina e le mie gambe tremano, sono stata catapultata in un mondo irreale, magico in una leggenda dove la natura primeggia e toglie il fiato.Il colore turchese che mi da il benvenuto e magnetico, lo sguardo verso l’infinito, il sole avvolge tutto, nell’aria i profumi del mediterraneo. Quanti tesori nascosti ,quanto ancora andrò a scoprire? Ogni giorno che passava mi arricchivo di più, la mia vita ha iniziato ad avere un senso. Ho iniziato a vedere col cuore,lei la mia Calabria eri li che mi aspettava ed io carica di curiosità e amore non mi sarei fermata, una regione così non può non essere vissuta. La Costa Viola dove ogni cosa si tinge con le diverse tonalità del colore viola, dando vita ogni sera, con i suoi riflessi spettacolari, ad una visione sempre nuova. Monte Sant’ Elia dove con la punta delle dita riesci a toccare l’infinito.

Il Tracciolino, sentiero azzurro sospeso tra cielo e mare con l’affascinante leggenda di Donna Canfora. Scilla meravigliosa bomboniera sul mare,dal promontorio ascolto un’ altra leggenda di pozioni magiche e mostri marini, incredibile! Ricordo che dissi fra me e me, non può tutto questo non essere condiviso, il mondo deve rendersi conto di quanto meravigliosa e la Calabria, devo fare qualcosa!

Reggio Calabria non solo il lungo mare più bello d’ Italia ma una città ricca di storia che esisteva già prima del impero romano. Ma lei la Calabria non è solo bellezze mozzafiato, quello che offre, la sua natura è immensa; mare, monti e gastronomia danno il benvenuto a una regione completa.

La scoperta di Zungri,  “la città di pietra”. Una piccola Matera in Calabria di cui in pochi ne sapevano l’esistenza. Non credevo ai miei occhi nel momento in cui ho percorso e sono entrata nelle grotte. Non è possibile un patrimonio così non può e non deve essere nascosto. Ricordo che sono ritornata al belvedere di Capo Vaticano dove ho trascorso e dove attualmente trascorro tanto tempo seduta sulla mia panchina, parlo con me stessa e ascolto lei. Ho deciso quello che farò, voglio organizzare escursioni ma niente di grande, piccoli gruppi che insieme a me come la loro accompagnatrice vivranno le loro giornate da locali, li guiderò io da Calabrese innamorata della sua regione, a trascorrere le loro vacanze in tranquillità ad abbracciare una regione umile, semplice, bella ad apprezzarla per quello che è,  solo così vivranno la loro vacanza al 100%.

Ma in tutto questo c’era un posto che mi incuriosiva più di tutte, si trovava sullo Ionio, Brancaleone Vetus con il mio gruppo su facebook lo seguivo e non vedevo l’ora di conoscere questo posto affascinante e di conoscere colui che gli ha ridato la vita. Finalmente è arrivato il momento,ricordo quando il pulmino si fermò in piazza ed io scesi per abbracciarlo. Che gioia, finalmente lo conosco il mio ultimo cavaliere, perché le persone che io ho incontrato lungo il mio cammino alla scoperta della Calabria ,persone che come me l’amano e la rispettano sono preziosi e sono i miei cavalieri. Li porterò sempre con me. La tavola rotonda “la Calabria”, e noi i suoi cavalieri, quel giorno il mio cerchio si chiuse perchè finalmente ho conosciuto Carmine Verduci.

Una giornata indimenticabile, un borgo unico, un viaggio sensoriale meraviglioso. Ma la parte più bella ancora doveva venire. Carmine si sofferma davanti alla grotta chiesa, e racconta di lei. Siamo entrati rispettando il luogo. Sono poi rimasta da sola nella grotta, dovevo fare una ripresa per le persone con cui lavoro che elaboreranno il mio tour della Calabria. Cosa mi sia successo quando rimasi da sola con l’albero della vita, lo custodirò con me per sempre.

Quando ho abbracciato l’albero lui mi ha parlato tramite il battito del suo cuore. Le sue parole sono nel mio di cuore. Io dovevo essere lì in quel momento, perchè nulla nella vita è per caso, dovevo incontrare Carmine per chiudere il mio cerchio e dare un senso alla mia vita, una carica pazzesca che non mi farà mollare. Io non sono nessuno, ma penso che nel mio piccolo darò una mano, organizzando viaggi, facendo si che le persone iniziano a conoscere la Calabria, attraverso i miei video, foto, post, racconti. Il mio desiderio più grande e fare si che le persone si innamorano della Calabria e la guardano attraverso i miei occhi. So per certo ed io ci credo che lei diventerà bellissima, siamo in tanti adesso e diventiamo sempre di più, noi non molleremo assolutamente no, il mondo ci osserva, la Calabria ci ha regalata tantissimo e noi non la deluderemo perché lei lo merita!

Sono figlia di emigranti Calabresi, consapevole di quanto la nostra terra sia amata a l’estero, voglio fare in modo che quando loro parlano della loro amatissima Calabria, le lacrime che si accumulano nei loro occhi saranno lacrime di gioia, non più di tristezza, che quella terra che loro hanno dovuto lasciare a malincuore sia un Orgoglio, che i Calabresi che hanno avuto la fortuna di rimanere a casa loro finalmente capiscano il grande valore che ha la loro regione. Una regione che in tantissimi ci invidiano, una regione completa a 360 gradi, una regione che ci chiede soltanto di essere finalmente Amata e Rispettata, questo è il mio augurio. Io Maria giuro solennemente che insieme ai miei cavalieri non la abbandoneremo mai più!

La Via dei Borghi a Belmonte Calabro e Fiumefreddo Bruzio (CS)

Al via la seconda edizione de La via dei borghi con un viaggio che per la prima volta porterà il progetto oltre il confine provinciale. Non potevamo che partire con due Borghi eccezionali e per questo abbiamo scelto Belmonte Calabro e Fiumefreddo Bruzio (CS)

La mattinata sarà dedicata al centro di Belmonte con le sue bellezze i suoi palazzi storici ed i suoi affacci mozzafiato sul Mar Tirreno e sulla Riserva Naturale Marina WWF “Oasi Blu Isca”. Conosceremo meglio le tante figure storiche che hanno legato la propria vita al borgo ed infine saliremo ai ruderi del Castello di Belmonte dove gli amici di Pensando Meridiano ci racconterann del progetto “Una porta sul paesaggio”.

Dopo la pausa pranzo durante la quale scopriremo le specialità del ristorante “Da Gianni” ci sposteremo in direzione Fiumefreddo Bruzio dove una navetta ci attenderà per portarci nel cuore del borgo che domina la costa sottostante.

Il percorso che abbiamo pensato abbraccerà l’intero centro e comprenderà la visita di tutti i siti d’interesse dal Castello della Valle, alle tante Chiese che custodiscono opere d’arte di grande interesse.
Durante la passeggiata si potranno ammirare i palazzi nobiliari e scoprire tante curiosità.
Incontreremo dislocate per il borgo le opere del grande artista Salvatore Fiume e potremo godere delle magnifiche terrazze sul mare che offrono spettacolari panorami.

Durante la giornata verrà lanciato il nostro consueto contest fotografico: PHOTO CONTEST LA VIA DEI BORGHI ” Fiumefreddo Bruzio & Belmonte Calabro ”
@IG_CALABRIA @IGCOSENZA @KALABRIA_EXPERIENCE
@ILGIARDINODIMORGANA

INIZIO CONTEST 31.03.2019 PREMIAZIONE 5.04.2019

REGOLAMENTO:
1)TAGGA E SEGUI @IGCOSENZA @IG_CALABRIA
2) USA GLI HASHTAG  #IG_FIUMEFREDDO  #IG_BELMONTE

MODALITÀ VOTAZIONE:
1)Segui @igcosenza @ig_calabria
2) Vota la foto che più ti piace lasciando un like

PREMIAZIONE
Le 4 foto che alla scadenza avranno il maggior numero di likes saranno le foto finaliste. Una giuria voterà successivamente la foto vincitrice tra le 4 finaliste. Criteri di valutazione : tecnica, emozioni, pertinenza alla promozione territoriale.

Programma dell’escursione (gli orari indicano la partenza del Pullman)

Ore 6.00 partenza da Bianco
ore 7.00 partenza da Brancaleone
ore 8.00 partenza da Reggio Calabria (zona CEDIR)
ore 10.00 arrivo a Belmonte Calabro ed inizio visita del borgo
ore 12.00 Fine Visita.
PRANZO dalle13.00 alle 14.00
ore 15.00 arrivo a Fiumefreddo ed inizio visita del borgo
ore 17.30/18.00 fine visita e rientro
arrivo a Reggio intorno alle ore 20.00 e a Brancaleone intorno alle 21.00

Pranzo comprende: antipasto e primo (menù pesce), vino della casa bianco, acqua minerale, sorbetto al limone

SI RICHIEDE MASSIMA COLLABORAZIONE NELLA COMUNICAZIONE DI EVENTUALI ALLERGIE ED INTOLLERANZE AL MOMENTO DELLA PRENOTAZIONE

Contributo escursione di 45€ (comprende: viaggio in pullman, guide, pranzo come specificato, navetta per Fiumefreddo e contributo alle associazioni promotrici) da versare 20€ al momento della prenotazione brevi manu o tramite ricarica postepay ed i restanti 25€ al momento della registrazione il giorno dell’escursione.

Numero Max 50 partecipanti

Prenotazioni entro 28/03/2019 contattando i numeri 348-9308724 o 347-0844564

Escursione alla scoperta della cascata Altalìa – Brancaleone (RC)

Domenica 10 Marzo  Kalabria Experience è lieta di proporre questa esclusiva escursione alla scoperta di un luogo straordinario a pochissimi km dal centro abitato di Brancaleone, una bellissima cascata nell’entroterra Brancaleonese immersa in un ambiente naturale incontaminato all’interno di un canyon naturale che attraversa luoghi ancora intrisi di fascino e mistero.

 

DESCRIZIONE:

Il torrente Ziglia  conosciuta con il nome di Torrente Altalìa si origina a circa 8 km tra i comuni di Brancaleone e Staiti, convoglia le acque fluviali delle colline intorno all’altopiano di Campolico e riscende a valle tagliando le colline di Monte guardia e Monte Fucine (dove sorge la piccolissima frazione di Pressocito di Brancaleone) questo torrente riscende zigzagando a valle per strette gole dalla conformazione rocciosa davvero particolare creando a una manciata di km dalla costa dei salti che nei periodi piovosi e fino alla fine della primavera creano delle cascate davvero singolari e affascinanti.

ITINERARIO:

Il nostro cammino comincerà da loc. Frischìa dove sarà possibile ammirare in un uliveto caratterizzato da meravigliosi esemplari di Ulivo millenari, da qui inizieremo a risalire il il torrente  zigzagando nelle sue gole che man mano si faranno più strette.  Attraverseremo l’ antico e misterioso Maniero di Capistrello su cui aleggiano ancora straordinarie e misteriose leggende. Proseguendo lungo il letto del torrente tra rocce variegate arriveremo ad una piccola radura dove insistono dei ruderi di un antico Mulino. Da questo punto in poi il percorso si farà sempre più impegnativo e mentre attraverseremo tratti con vegetazione insidiosa, e superando alcune rocce dalle forma più varie, di li a breve giungeremo sotto questa meravigliosa cascata che con i suoi 28 mt d’altezza ci regalerà la sensazione di trovarci in un qualsiasi luogo del cuore dell’Aspromonte. Qui potremo sostare per consumare il nostro pranzo ( rigorosamente a sacco) e una volta riposati ripercorrendo i nostri passi giungeremo al punto di partenza.

Possiamo in definitiva considerarlo un itinerario medio/facile, completo e divertente, un mix fatto di storia, archeologia industriale e natura, caratterizzato da scenari mutevoli ma nel contempo surreali.

Escursione non adatta a chi non ha dimestichezza con terreni impervi, le condizioni dell’ambiente sono legate anche agli apporti pluviometrici del periodo, le difficoltà durante il tragitto possono essere tante e saranno  affrontate con spirito di gruppo e sopratutto adottando tutte le precauzioni del caso onde evitare scivolate, cadute o ferite dovute alla vegetazione tipica alcune volte insidiosa. Per cui consigliamo questa escursione a chi ha familiarità con l’escursionismo di media difficoltà!

 

PROGRAMMA:

ORE 09:00 raduno partecipanti a Brancaleone presso Bar 2001 (SS106)
ORE 09:30 Partenza con la auto verso loc. Frischìa (parcheggio) e inizio escursione
ORE 13:00 pranzo a sacco
ORE 14:30 Rientro
Ore 15:30 Termine dell’escursione

 

SCHEDA TECNICA

Grado di difficoltà: E (Escursionistica)
Terreno: Gretto sul torrente
Lunghezza: 4km (A/R)
Dislivello: 50mt
Acqua potabile: NO

 

ATTREZZATURA CONSIGLIATA:

Scarponcini da trekking, bastoncini da trekk (facoltativo) cappellino, occhiali da sole, abbigliamento a strati (adatto al periodo), k-way, indumenti di ricambio (calzini e scarpe), scorta d’acqua (almeno 1,5 Lt), pranzo o spuntino da consumare per pranzo.

 

COME PARTECIPARE:

Telefonare al numero 347-0844564 (entro e non oltre il 9 Marzo) fornendo dati personali  (nome cognome del singolo partecipante)

 

Per motivi logistici e organizzativi il numero massimo di partecipanti sarà solo per 20 partecipanti!

E’ prevista una quota di partecipazione di 10€ (a sostegno delle attività di promozione e valorizzazione territoriale della nostra Associazione)

 

Non è prevista alcuna formula di assicurazione infortuni per il partecipante.

Chiunque partecipa dichiara sin da ora la sua volontà di sollevare l’organizzazione da eventuali responsabilità civili o penali che possano derivare dall’escursione.

NOTA:

L’organizzazione si riserva di rinviare l’escursione in caso di condizioni meteo sfavorevoli.

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