Il mosaico smarginato del Mar Ionio con i suoi fondali dai colori cangianti, accesi dal sole, in cui sabbia e rocce frastagliate disegnano una mappa preziosa che custodisce un tesoro ogni volta sorprendente. Un manto ondoso si infrange sugli scogli che nascono dall’acqua, prima di raggiungere la riva; qui la battigia ha il suono di un calpestio ostinato, delicato e soave oppure strepitante e burrascoso. Montagne bianche, un mare azzurro, atmosfere antiche e intenso profumo di gelsomino meravigliano chi arriva, percorrendo cinquanta chilometri di strada Statale Jonica, partendo da Reggio Calabria, città Metropolitana in cui ricade. Spiagge assaltate dall’incuria e dall’erosione delle coste che, nonostante ciò, ancora conservano, seppur in pochi preziosi tratti, un aspetto primogenito e prezioso; spiagge, nel pieno parco marino regionale Costa dei Gelsomini, scelte dalla specie di Tartaruga marina Caretta Caretta per deporre le uova e nidificare. Linee ondulate dal tempo tracciano un paesaggio lunare che l’erosione delle piogge ha modellato come uno scultore avrebbe fatto con la propria opera. L’assenza di vegetazione consente al sedimento argilloso di mostrare le sue striature e le delicate pendenze; passeggiare su di esse, dinnanzi ad una distesa azzurra e un panorama in cui gli occhi si perdono, è uno stato di grazia per nulla raro. Una via tra l’Aspromonte e il mare Jonio anima il versante meridionale dell’Aspromonte, ornato dai Gelsomini e costellato da rigogliosi e pregiati vigneti dove nasce un ottimo e generosi vino rosso, riconosciuto dal marchio IGT (Indicazione Geografica Territoriale) che vale a questo luogo la denominazione di Città del Vino. Anche qui risuonano echi antichi della floridezza e della prosperità dei vigneti che valsero ad un’ampia zona del Meridione di Italia – di cui questo è il luogo più a Sud – il nome di Enotria (dal greco ôinos vino).

“È Palizzi con il suo borgo e la sua marina a schiudersi così, come uno scrigno, ad ispirare incanto e a muovere la penna sul taccuino di un viaggiatore”

“Le strade di Palizzi, dove forse alcun inglese è ancora disceso, erano gremite di bambini completamente nudi e abbronzati (…)”. La vitalità di questo luogo ha affascinato anche l’illustratore e scrittore inglese Edward Lear, che nel suo Diario di un Viaggio a Piedi, ha descritto così il suo arrivo a Palizzi, il 3 agosto 1847: “Passando la fiumana ai piedi della cresta coronata dalla citta’ elevata, siamo ancora una volta saliti per la scura falda della collina coperta di cisti, con gigantesche querce dai rami nudi in primo piano e la vasta montagna blu d’Aspromonte coperta di foreste che chiudono tutto il lato Sud del paesaggio. Mentre il momento per la nostra sosta di mezzogiorno stava per avvicinarsi, e per il caldo cominciava ad essere fastidioso, siamo giunti in vista di Palizzi, un paese molto strano, costruito attorno ad una roccia isolata, dominante una delle tante strette vallate aperte al mare. Venendo, come noi abbiamo fatto, dall’altopiano siamo arrivati al di sopra di Palizzi, il cui castello è visibile solo dal lato nord, così, per arrivare al livello del fiume ed alla parte bassa dell’abitato, è necessario discendere una scala perfetta tra case e pergolati, aggruppati nel vero stile calabrese fra sporgenze coperte di cactus da una roccia all’altra dove sembravano crescere. (…) mi sono spostato a cercare un po’ d’ombra per ripararmi dal soffocante caldo e, raggiunto il castello, mi sono ben presto trovato al centro delle sue rovine, da cui ho colto incidentalmente una scena pittoresca, vale a dire un casolare, una pergola, sette grandi porcellini, un uomo cieco e un bambino (…)”.

Tra i siti paleolitici più antichi d’Europa, già bene del monastero di Sant’Angelo di Valle Tuccio, poi casale della contea di Bova, nel XIV secolo feudo venduto da Bartolomeo Busca a Guglielmo Ruffo di Calabria, conte di Sinopoli, possidente di un grande tenimento della Calabria Meridionale, Palizzi – la cui etimologia è contesa tra i termini greco politsion, nel senso diminutivo di polis (città), e il termine polìscin (probabilmente luogo ombroso) – è diviso dalla fiumara nelle due contrade Murrotto e Stracia e consta di quattro frazioni: Palizzi Superiore, Palizzi Marina (la più popolosa con quasi duemila abitanti) con i suoi Calanchi e il lungomare più corto d’Italia, Spropoli e Pietrapennata con il suo paesaggio alpestre alle pendici del Monte Gallo, a settecento metri di altezza sul livello del mare, con la sua silenziosa e incantata vallata dell’Alìca, con i resti di una chiesa, forse di un monastero, dedita appunto al culto della Madonna dell’Alica. Qui era custodita una statua di marmo bianco raffigurante la Madre con Bambino della scuola di Antonello Gagini che oggi si trova nella Chiesa parrocchiale.

Il borgo di Pietrapennata è antico, secondo la tradizione orale, fondato dai Cavalieri di Malta, prima che il piccolo centro venisse distrutto nel 1696, come riportato in documenti d’archivio. Il suo nome ha un’etimologia contesa tra il riferimento alla collocazione del borgo adagiato sulla ‘rocca di Sant’Ippolito’ come una ‘piuma di pietra’ e il termine dialetto ‘pinnata’, ossia ‘capanna’ al quale potrebbe corrispondere il significato ‘pietra della capanna’. Lo scrittore inglese Edward Lear, nel suo viaggio nel Sud d’Italia, ha descritto così questo suggestivo luogo, il 5 agosto 1847:

“Come era squisita la dolce luce e l’aria del giorno, il profondo burrone pieno di edera, il mulino e la discesa al lato opposto, dove i boschi incomparabili bordavano la radura come parchi, o formavano dei paesaggi magnifici con i loro grigi tronchi e rami sparsi sopra rocce e valli strette! Oh, boschi rari di Pietrapennata! Io non ricordo di aver visto un più bel posto di quello della «roccia alata», nominata appropriatamente «piumata» com’è sin dalla base alla cima”.

Palizzi rimase dei Ruffo – ramo di Palizzi – Brancaleone – per generazioni, seppur con qualche breve interruzione determinata da contese dinastiche tra Angioini e Aragonesi. Nel 1505 il matrimonio tra Geronima Ruffo e Alfonso de Ayerbo d’Aragona avviò un avvicendamento di baronati: Troiano Spinelli, Ayerbo d’Argona, Romano di Messina – Giacomo Colonna Romano si deve l’apposizione dello stemma araldico all’ingresso del castello – Arduino di Messina fino alla vendita della terra nel 1751 ai De Blasio che ne restarono proprietari fino al 1806.

“Selvaggio e straordinario, così definiva sempre lo scrittore viaggiatore inglese Edward Lear il luogo natio dei fratelli Misefari, l’anarchico e poeta Bruno, lo storico e antifascista Enzo, il calciatore Ottavio e il biologo e attivista Florindo”

Sotto il ponte tra le contrade Murrotto e Stracia, la sua fiumara, secondo alcuni, divideva l’antica Rhegion da Locri Epizefiri; un confine strategico secondo altri rappresentato invece dalla fiumara dell’Amendolea. Ne riferisce il geografo greco Strabone (I secolo a.C.): « Il fiume Alece, che divide il territorio di Rhegion dalla Locride passando attraverso una profonda valle, ha questa particolarità riguardo alle cicale: quelle sulla riva locrese cantano, mentre quelle sull’altra riva non hanno voce. Si congettura che ciò ne sia la causa: le seconde si troverebbero in un luogo ombroso, cosicché le loro membrane sarebbero sempre umide e non si distenderebbero mai; le prime, invece, stando in un luogo soleggiato, avrebbero le membrane asciutte e simili al corno, così da essere ben adatte ad emettere il suono ». (Strabone, Geografia, VI, I, 8). Alle pendici di una rupe di arenaria, incastonato il borgo di Palizzi (Superiore); in alto un antico castello, posto a 272 metri sul livello del mare, domina il comune più a Sud dell’Italia. Su una rocca di arenaria si erge, dunque, il castello di origini medievali, ricostruito alla fine del Settecento dalla famiglia Colonna e poi ristrutturato e ampliato dal barone Tiberio De Blasio nella seconda metà dell’Ottocento. Durante i bombardamenti degli Alleati su Reggio, vi si rifugiò Carlo De Blasio. Che il castello, dichiarato Monumento Nazionale dal Ministero ai Beni culturali, fosse cinto da mura con due torrioni emerge da un certificato del Mastro d’atti di Palizzi, Saverio Grimaldi, di fine Settecento. Non solo mura di cinta ma anche una grande scala con una sola finestra, la cucina, un’anticamera, poi altre stanze, magazzini e cantine e fuori le alte mura di cinta con poderosi bastioni, bocche da fuoco lungo il ciglio del costone roccioso con feritoie. Anche due torri, una cilindrica merlata sul versante est e una angolare sul versante opposto. Nella roccia viva ricavate le carceri. Vicoli stretti e caratteristici catoi segnano un percorso suggestivo che dal Castello conduce al borgo (e viceversa). Sulla piazza principale si affaccia la Chiesa di Sant’Anna (patrona del paese), con la statua in marmo della Santa con la Madonna in braccio della scuola del Mazzolo in fondo all’abside ed un complesso di statue, tra cui la scultura lignea dedicata a Sant’Anna, commissionata nel 1827 dall’ultimo barone di Palizzi, Tiberio De Blasio. Alla seconda metà del Cinquecento risale la cupola bizantina dell’edificio seicentesco con pianta a croce Latina. In questa parrocchia, il vescovo Stavriano, istituì la prima comunità latina della diocesi, dentro la quale non era consentito l’ingresso ai greci, dediti pertanto all’agricoltura e alla pastorizia. L’altra chiesa del borgo fu eretta alla Madonna del Carmelo. Essa risale alla seconda metà del 1500 e la sua denominazione spesso comprende anche la dicitura “fuori dalle mura” (“extra moenia”), poiché fu costruita dopo il completamento del tracciato delle mura di protezione.

“Il culto mariano a Palizzi nell’incontro tra la Madonna del Carmelo e la patrona Sant’Anna” A te, Carmen, legata come me a questi luoghi che già, insieme, ci custodivano

Apparsa anche sul monte Carmelo della Galilea nel 1251 essa è una delle linfe del culto mariano diffuso in tutto il mondo, dunque anche in Italia ed in Calabria. Si tratta della beata Vergine Maria del Monte Carmelo, festeggiata il 16 luglio. Una devozione che, non solo in Calabria, intreccia indissolubilmente storia, religiosità e sentimento popolare e che alimenta da secoli la devozione della Vergine Santa attraverso culti mariani tra i quali anche quello della madre di Maria, Anna. Sterile e poi graziata dalla Maternità per salvare l’Umanità, Sant’Anna fu moglie di Gioacchino e nonna di Gesù, zia di Elisabetta madre di Giovanni Battista. Il suo culto è antico e nasce in Oriente ai tempi di Giustiniano (550 d.C.) per poi diffondersi anche in Occidente. La sua festa, il 26 luglio, è occasione di celebrazione di speciale devozione in molti luoghi. Tante le comunità italiane poste sotto la sua protezione, come quella della omonima frazione di Seminara nel reggino e di Palizzi, che ancora oggi celebra questa tradizione religiosa con una festa molto sentita. A Palizzi, in particolare, la devozione alla Madonna del Carmelo e a Sant’Anna si intrecciano e, attraverso l’incontro della Madre con la Figlia in processione, danno vita ad una tradizione che, nel mese di luglio in cui ricadono entrambe le festività religiose, anima l’antico borgo. A Palizzi, infatti, già dai primi di luglio cominciano i festeggiamenti mariani che culminano, nella giornata del 26 luglio con i festeggiamenti in onore della patrona Sant’Anna, passando anche per il 16 luglio, giorno della Madonna del Carmelo. All’inizio del mese di luglio dalla chiesa di Sant’Anna di Palizzi esce la statua della Madonna del Carmelo e in processione per quattro chilometri di strada impervia giunge alla chiesa della Maria del Carmelo, accompagnata da canti, balli e dal suono di organetti e tamburelli. Il ritorno della Madonna del Carmelo a valle ha luogo la sera del 25 luglio quando la statua della madre Sant’Anna esce ad accoglierla e, anch’essa portata in processione sulle note della banda di Palizzi, va incontro alla Figlia lungo le vie del paese. Si tratta di una tradizione antica e ancora molto sentita che affonda le radici in un profondo sentimento religioso che continua a scrivere la storia di questo luogo.

 

By Anna Foti