Tag: itinerari Page 1 of 2

Pastorelli e figure tipiche del Presepe Calabrese

La devozione per il presepe si deve a San Francesco D’Assisi, ad un suo atto di fede di una magica notte di Natale di ottocento anni fa. Il presepe, lo sanno tutti è la stalla, la mangiatoia nella quale Gesù venne alla luce miseramente nel rigor dell’inverno, e ricevette i primi omaggi dagli uomini della terra.  

L’uso di rappresentare nelle chiese e anche nelle case il presepio nacque per opera di San Francesco, che in Greccio in valle di Rieti, circa nel 1223, la notte di Natale fece portare in una specie di grotta una mangiatoia col fieno, le figure del bue e dell’asino e il simulacro del bambino Gesù. Da quell’avvenimento storico-religioso, la rievocazione della nascita di Gesù Bambino con i simulacri di terracotta, sostituita ai figuranti, è diventato uno dei simboli più rappresentativi del Natale, mai tramontato, che ha ispirato e stimolato l’estro di numerosi artisti e artigiani italiani dalla Toscana alla Campania, dalla Sicilia alla nostra Regione. In Calabria, da Laino Borgo a San Floro, da Catanzaro a Tropea,  da Serra San Bruno a Seminara, fino agli anni cinquanta circa, era possibile acquistare i pastorelli da validi artigiani locali, i cosiddetti pasturari, molti dei quali erano soliti, nel mese di dicembre, allestire, per le vie e le piazze dei borghi, assortite bancarelle e veri e propri mercatini natalizi per l’esposizione e la vendita delle loro apprezzabili statuine di terracotta. Nelle cattedrali, nelle chiese, nei palazzi e in qualche casa nobiliare era possibile ammirare i presepi artistici della scuola napoletana con pastori di terracotta lucida o carta pesta dipinta, semplici o più elaborati, con abiti settecenteschi di tessuto sfarzoso o più rudimentali opere lignee, mobili o anche semoventi.

 

Da quando gli artigiani locali hanno chiuso le loro botteghe artistiche, sono però venute meno alcune figure tipiche, immancabili e peculiari della tradizione presepiale calabrese, personaggi carichi di storia, significato e simbolismo. I rinomati ceramisti di Seminara si sono distinti anche nell’arte presepiale, sia con la ripresa  di figure comuni come il meravigliato u lampatu da stijia,  e sia per l’aver forgiato personaggi allegorici e significativi come ‘u monacu cchì fujì  un pastorello di terracotta rappresentante un monaco in fuga, con una grande cesta sulle spalle, dove è nascosta una giovane e bella fanciulla. I pastori si facevano spesso voce di vere e proprie satire locali. Nei quartieri del capoluogo catanzarese e in alcuni borghi dell’hinterland, l’immancabile personaggio del presepe tradizionale era il pastore “che si cava la spina dal piede”.  Ho amato sin da piccolo questo pastore, che ogni anno, nell’avvicinarsi delle festività natalizie, veniva rifoggiato nella casa paterna, con piacere e cura, e con la sua storia e il suo originale significato: u pastura cchì si caccia a spina do peda  posto nelle vicinanze della grotta, figura emblematica della miseria spirituale e della debolezza umana, per i Catanzaresi valeva più di qualunque altro singolo pastore del presepe. Oltre a questa figura, che rimanda allo spinario della tradizione ellenica, si tramanda di altri personaggi tipici: ‘u ncantatu (il meravigliato), ‘u zzoparacaru (venditore di angurie), ‘u ricottaru, ‘  ‘u monacu capuccinu, ‘u cerameddharu e ‘u pipitaru (gli zampognari),  ‘a gadhoffara (venditrice di caldarroste), ‘a pacchjana (la donna in costume tradizionale), e a zingareddha  (la zingarella).

 Che ci fa una zingarella tra i pastorelli del presepe?

Se consideriamo la religione cristiana, viste le doti divinatorie attribuite alle donne zingare, additate di ricorrere all’astrologia e alla stregoneria, tale personaggio può risultare, in effetti, scomodo e fuori luogo. Ma ‘a zingareddha, nel presepe locale riveste un ruolo simbolico preciso.  La pastorella dal volto scuro, vestita di stracci dai colori accesi rappresentata, la maggior parte delle volte, con un bambino in fasce tra le braccia o nell’atto di allattare, annuncia, nel giorno della nascita del Bambinello, la Passione e Morte di Gesù Cristo, attraverso gli strumenti della Crocifissione (i chiodi, la tenaglia, il martello) che porta in un paniere. Come testimoniato dal grande ricercatore e musicologo Roberto De Simone, la Zingara, riveste stesso ruolo determinante anche nel presepe napoletano, e rimanda a figure profetiche ancestrali, le Sibille. La figura della Zingara, per via delle capacità divinatorie, è presente anche in diverse opere letterarie e teatrali, in rappresentazioni sacre e profane, canti e racconti e altre espressioni del mondo popolare del sud Italia. Durante la fuga in Egitto, episodio evangelico che molto si presta alla narrazione, secondo la tradizione orale, San Giuseppe, Maria e il Bambino in groppa all’asinello, durante il cammino si sono imbattuti in una zingarella indovina.   

Si tramanda, a tal proposito, in Calabria, un canto narrativo che riferisce l’immaginario colloquio fra la Madonna e la Zingarella indovina:

Diu ti sarvi, o beddha Signura,
e ti dia bbona ventura:
Bona ventura vecchareddhu
ccu ssu beddhu bambineddhu.

La Zingarella offre ospitalità a Maria e Giuseppe nella sua umile casupola, dà anche alla Madonna la ventura, narrandole il passato vissuto e predicendole la Passione di Gesù:

Cchi dolura sentireti
quandu mortu lu vedreti. 
cu gran lacrimi e suspiri
lu portati a seppeddhiri…

La zingarella  chiede in cambio l’elemosina, ma la Madonna risponde di essere forestiera e di non avere nemmeno uno spicciolo. Allora la zingarella indovina  chiede per ricompensa la salvezza dell’anima:

…s’anima,  sulu, dopu morta
falla entrare a li celesti porti.

 

Queste sono solo alcune strofe di lungo dialogo dialettale catanzarese,  tra la Madonna e la Zingarella indovina, pubblicata nel 1881, dal filologo e storico Francesco Corazzini in un libretto dal titolo Poesie Popolari calabresi. 

Autorevoli fonti scritte ci danno notizia che si tratti di un antichissimo canto di tradizione orale. Ad opera di un monaco parlemitano, nel 1775, è stato trascritto e pubblicato in un libretto, che ne ha permesso e facilitato la diffusione in Sicilia, in Calabria e in molte regioni italiane parallelamente alla trasmissione orale, e alla riproposizione dei cantastorie nei loro spettacoli di strada.

Anche io, nel mio spettacolo sul Natale calabrese, accompagnandomi con la chitarra battente, tra le tante storie che canto e racconto,  interpreto una colorita versione di questo affascinante canto narrativo della tradizione orale,  per tramandarlo alle nuove generazioni.

 

 

Di Andrea Bressi 

Domenica 2 Luglio Il progetto Poleis alla scoperta dei Tesori della Valle dello Stilaro

Domenica 2 Luglio maggio il progetto Poleis – Kalabria Experience propone uno straordinario itinerario alla scoperta della “Vallata dello Stilaro” sulle orme dei padri Bizantini.

Un itinerario trai più affascinanti della Calabria ionica, che ricalca il percorso dei monaci greco-bizantini che in questo territorio hanno lasciato profonde tracce del loro passaggio, attraverso le testimonianze monumentali e spirituali presenti nell’intera vallata.

Un tour completo, affascinante e gradevole, adatto anche alle famiglie che prevede un’intera giornata a spasso fra i borghi di Stilo, Pazzano e Bivongi che permetterà di conoscere le bellezze storico-monumentali del territorio, come la Cattolica di Stilo, il Santuario della Madonna di Monte Stella ed il monastero Bizantino di San Giovanni Theristis a Bivongi.

 

PROGRAMMA:

Ore 09:30 Incontro dei partecipanti a Monasterace marina (Piazza Stazione ) LINK APPUNTAMENTO
Ore 09:45 Partenza per Bivongi e visita guidata l’Abbazia di San Giovanni Theristis
Ore 11:30 Trasferimento a Monte Stella – Visita all’eremo di Santa Maria della Stella
Ore 12:30 Pausa pranzo (a sacco) presso area attrezzata di Monte Stella
Ore 15:00 Partenza per trasferimento a Stilo – visita guidata alla Cattolica di Stilo
Ore 17:30 Fine e saluti.

(Gli spostamenti tra un luogo e l’altro, avverranno con mezzo proprio)

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

  • 20€ a testa (che include visite guidate e ingressi: Cattolica di Stilo e Eremo di Monte Stella)
  • 15€ Quota giovani sotto i 18 anni (che include, quota di partecipazione e ingressi)

 

SI CONSIGLIA:

Scarpe comode, indumenti adatti al periodo e alle condizioni climatiche, cappellino, occhiali da sole, crema solare, pranzo a sacco, borraccia d’acqua, eventuali indumenti di ricambio.

 

PER PRENOTARE:

Confermare la propria adesione al programma telefonare al numero: 347-0844564 o in alternativa mandando un messaggio WhatsApp con i nominativi (nome e cognome) entro e non oltre il Martedì 30 Giugno.

 

Itinerario attraverso le coste calabresi

Non è facile immaginare la Calabria lontano dai soliti stereotipi ed itinerari turistici a cui siamo abituati a leggere in continuazione.

Una terra che ha visto per secoli un susseguirsi di vicende, influenze culturali e colonizzazioni che hanno cambiato il suo volto, restituendoci oggi una terra ricca di testimonianze antiche e lasciti culturali importanti, che rappresentano l’anima di un popolo in continua evoluzione.

Non è facile raggiungere la Calabria, godere della bellezza dei borghi, arroccati su montagne rocciose e valli incantevoli, occorre consapevolezza, occorre quella capacità interiore di comprendere appieno l’intimo rapporto uomo-natura di questa terra, bagnata dal mare e protetta dal grande massiccio dell’Aspromonte, della Sila, del pollino.

Terre inquiete, terre che hanno subito trasformazioni geologiche terrificanti, ma che nel contempo riescono a farti subire un fascino straordinario, con contrasti netti, dati dalla varietà delle zone climatiche, dai paesaggi che cambiano forma, colori e dimensioni.

Per la sua straordinarietà, la Calabria, non è semplice riassumerla in poche righe, occorrerebbe scrivere svariate pagine, di storia, cultura, popoli, usanze, enogastronomia, arte e bellezza struggente.

La Calabria è un viaggio appassionante che ti conduce in epoche lontane, fuori dalle logiche turistiche standard, che attraverso un viaggio a ritroso ti porta per mano alla scoperta di una terra selvaggia, che ancora conserva e custodisce preziose risorse e bellezze ancestrali.

Buon viaggio…

La Costa dei Gelsomini (o Riviera dei Gelsomini)

Spesso chiamata anche Locride) è il nome con cui si identifica la zona costiera della provincia di Reggio Calabria bagnata dal mar Ionio. Prende il nome dall’antica coltivazione della pianta di gelsomino, bello e delicato, ma anche robusto e rampicante, diffusa in tutta la provincia reggina, ma in particolar lungo la fascia costiera, tra punta Stilo e Palizzi. I fiori venivano raccolti dalle donne (chiamate gelsominaie) ed esportati in Francia per la preparazione dei profumi. La coltivazione venne introdotta anche in Liguria nel 1928 dalla Stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati dagli agrumi con sede a Reggio Calabria.

Le località più importanti della costa sono otto: Riace, Roccella Ionica, Monasterace, Marina di Gioiosa Ionica, Siderno, Locri, Brancaleone, Palizzi.

Il comune di Riace è assurto agli onori della cronaca per il ritrovamento, nel 1972, di due state bronzee di epoca greca, oggi note come “Bronzi di Riace”.

Riace; il primo documento che parla dell’esistenza del paese risale è al 1562 in merito alla morte del riacese Cristoforo Crisotomo e della sua probabile proclamazione a Santo. In quei tempi la città disponeva di una cinta muraria e di tre porte d’accesso: la Porta di Santa Caterina, la Porta di Sant’Anna e la Porta dell’Acqua. Nei pressi della costa, a circa 8km venne edificata Torre di Casamona per prevenire le incursioni turche, di cui se ne attesta la presenza dal 1583. Rappresentava un importante presidio difensivo che, nel 1500, era parte di una ”cellula” compresa nel Codice Romano Carratelli.

Roccella Ionica; si trova sulla costa dei Gelsomini e sorge probabilmente sull’antica città magnogreca di Amfissa, è bagnata dal mar Ionio e caratterizzata da un territorio pianeggiante verso il mare e collinare nell’entroterra. Nel X secolo il paese venne chiamato “Rupella“, poi “Arocella“, fino al nome in uso di “Roccella”, a causa della sua localizzazione sulla rocca. Vanta origini molto antiche, che si presume risalgano fino all’epoca della Magna Grecia.  Storicamente è stata identificata con l’antica località di Amfissa, ricordata nei poemi del poeta romano Ovidio In contrada Focà è stato ritrovato un edificio a blocchi di calcare e dei reperti in terracotta facenti parte di una presunta tomba monumentale del IV secolo a.C. Al 1270 risale il primo documento che testimonia l’esistenza di Roccella Ionica: in esso è registrata la vendita del castello Donato a Gualtiero di Collepietro da parte di Carlo I d’Angiò. Fu un importante feudo e rocca difensiva della costa, come simboleggiato anche nel gonfalone araldico, che rappresenta il patrono san Vittore di Marsiglia che sconfigge un pirata turco.

Monasterace si pensa che derivi dal greco Μοναστηράκι (Monastiraki), cioè “piccolo monastero”. Si è certi dell’esistenza di un piccolo monastero di rito orientale dedicato a Sant’Eufemia, situato nel centro collinare del Comune in quella vallata dello Stilaro che vide il fiorire del cosiddetto monachesimo basiliano. Niente ha a che vedere con la molto più tarda chiesetta, di epoca angioina, di San Marco, i cui resti persistono nei pressi della spiaggia, in piena area archeologica dell’antica colonia magno-greca di Kaulonìa.

Marina di Gioiosa Ionica è strettamente intrecciata con la storia di Gioiosa Ionica, di cui costituiva una frazione fino al 1948, anno in cui essa si staccò formando un comune autonomo. Le sue origini risalgono perciò alle colonizzazioni greche del VI secolo a.C. della Magna Grecia. Nel 210 a.C. tali colonie passarono sotto il dominio romano.  Secondo alcune ricostruzioni (che tuttavia mancano di riscontri storici e che secondo alcuni sconfinano nella pura leggenda), risale al periodo romano la creazione di un borgo, Romechium, situato lungo la costa tra Locri e Roccella, nella posizione corrispondente all’attuale Marina di Gioiosa Ionica. Tale borgo ebbe il suo massimo sviluppo tra il III e il IV secolo d.C. Esso sopravvisse fino al X secolo, quando le coste calabro-ioniche furono oggetto di devastazioni e saccheggi provocate dalle incursioni arabe. A testimonianza delle vicende passate, rimangono ancora oggi, a Marina di Gioiosa Ionica, i ruderi del Teatro Romano e la Torre Borraca (detta anche Torre Spina o Torre del Cavallaro), che si presume costruita in età bizantina a difesa dalle incursioni arabe. A seguito di queste distruzioni, la popolazione superstite si spostò nell’entroterra, tra il fiume Torbido e le zone collinari a ridosso della costa, e fondò un nuovo borgo: Mystia. Ma nel 986 Mystia fu distrutta dalle incursioni Saracene, costringendo la popolazione a rifugiarsi in una zona ancora più distante dalla costa, a ridosso di uno sperone roccioso che offriva maggiore difesa e dove nacque il nuovo borgo di Mocta Geolosia, da cui trae origine l’attuale Gioiosa Ionica.

Siderno è composta dal borgo antico, posto in collina, denominato Siderno Superiore, e dalla parte moderna, denominata Siderno Marina, sviluppatasi a ridosso della Costa dei Gelsomini Siderno, al centro della Locride è il più grande e popoloso centro abitato presente sulla costa jonica, tra Reggio e Catanzaro. La storiografia e l’archeologia ritengono Siderno un sito di “origine antica”, ma non si hanno informazioni precise circa la sua origine anteriormente al 1220, quando il toponimo compare nei documenti d’età sveva. Il nome potrebbe derivare dalla famiglia Siderones o dal greco Sideros, che indicherebbe l’antico quartiere delle fonderie dell’antica Locri. Alcuni storici ritengono che fu una colonia greca risalente all’VIII-VI secolo a.C. Nel 1250 Siderno fu sotto il dominio dei conti Ruffo di Catanzaro, ai quali seguirono altri feudatari. Il paese subì numerosi danni in seguito al terremoto del 1783 che colpì quasi tutta la Calabria. Con la conseguente ricostruzione la zona costiera iniziò a popolarsi, diventando un importante polo commerciale, sbarco di merci provenienti dai maggiori porti italiani. Nel 1806 Siderno terminò il periodo feudale e, dopo essere stato una contea/frazione di Grotteria e solo nel 1811 divenne comune autonomo. Nel 1869 la sede del comune passò da Siderno Superiore a Siderno Marina.

Locri (llocrii in greco-calabro, Λοκροὶ in lingua greca è un comune italiano di 12.816 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria in Calabria, posto nel territorio della Locride di cui è il centro amministrativo, culturale e religioso. Patria di Zaleuco, primo legislatore del mondo occidentale, e di Nosside, la più grande poetessa magnogreca, Locri, in antichità Locri Epizefiri, è stata un’importante città della Magna Grecia. La storia dell’odierna città è strettamente collegata a quella di Gerace, infatti questi due centri un tempo formavano un unico ed importantissimo comune. Oggi è centro turistico balneare, polo direttivo per l’intera Locride in cui hanno luogo numerosi eventi culturali. La storia di Locri è strettamente legata alla storia di altri due centri sorti nella zona circostante: Locri Epizefiri, polis della Magna Grecia fondata nel VII secolo a. C., e Gerace, città medievale costruita nel IX secolo. Dopo la conquista romana di Locri Epizephiri e a seguito sia delle scorrerie saracene e turche che della piaga della malaria, il sito fu progressivamente abbandonato e gli abitanti si spostarono verso le più sicure colline dell’entroterra dove sorse Gerace. Nel XIX secolo, col ritorno della popolazione verso le zone costiere e grazie anche all’avvento della ferrovia, si sviluppò l’abitato di Gerace Marina, frazione appartenente al comune di Gerace. Gerace Marina acquistò sempre più importanza col trasferimento, da Gerace, di alcune importanti strutture amministrative e commerciali, tra cui il Tribunale e la Banca Popolare nel 1880, fino a divenire comune autonomo nel 1905. A dare ulteriore slancio furono la nascita e lo sviluppo di importanti attività commerciali ed industriali: ad esempio, le Officine Meccaniche Calabresi (OMC), nei primi anni trenta, impiegavano 200 operai. Nel 1934 il comune di Gerace Marina assunse l’attuale denominazione di Locri.

Brancaleone è stata definita “città delle tartarughe di mare” perché sulle sue spiagge, così come su quelle dei comuni vicini, depone le uova la tartaruga comune (Caretta caretta), facendo di questo tratto di costa l’area più importante di deposizione in tutta l’Italia. Le origini di Brancaleone risalgono al VI-VII secolo, in epoca bizantina, ma si pensa che la presenza umana vi fosse già da molto prima nell’antica città di Sperlonga, oggi luogo in cui si trova la vecchia Brancaleone, un bellissimo borgo medievale abbandonato alla fine degli anni ’50. Oggi è possibile visitare i suoi suggestivi resti, come la grotta-chiesa dell’Albero della vita, il sito archeologico dei silos-granai, silos per la raccolta delle acque, la Grotta della Madonna del Riposo con affreschi seicenteschi, Le origini di Brancaleone risalgono al VI-VII secolo, in epoca bizantina, ma si pensa che la presenza umana vi fosse già da molto prima.

Palizzi; dal greco Polischìn, ha avuto un ruolo importante in quanto confine tra il territorio di Reggio e Locri. Negli ultimi tempi il confine è stato accettato grazie al lavoro dell’archeologo onorario S. Stranges, che ha rilevato nel corso di un ventennio una fitta rete di siti di entrambe le appartenenze, definendo con chiarezza la netta linea di demarcazione tra i territori delle due grandi e antiche repubbliche. Ricordato solo nel XV secolo come feudo dei Ruffo fu in seguito dei d’Aragona d’Ayerbe dai quali passò ai Colonna nel 1580. Il castello di origini medievali, fu rifatto come palazzo in grandiose e semplici forme nel Seicento. Molto pittoresco è anche il centro di Pietrapennata, di carattere alpestre; la chiesa di origine medievale (basiliana), ma rifatta nei secoli XV-XVI, conserva la Madonna dell’Alica statua di marmo alabastrino del Cinquecento. Tra i siti paleolitici più antichi d’Europa, villaggio esteso con continuità abitativa risalente a 800.000 anni fa, e Monte Gunì, vi sono similitudini col sito di Caselle di Maida. Rinvenimenti sporadici di punte musteriane di 30.000 anni fa.  Per il neolitico sono moltissimi i siti della facies culturale detta di Steninello, con produzione litica e ceramica di pregevole valore artistico decorata con rombi e losanghe. Presenti diversi siti del neolitico medio e finale. L’età del rame e della prima età del bronzo sono oltremodo presenti con originalità culturali che dovranno essere studiate. Dalla fine del VII secolo a.C.

(non per ultimi sicuramente i comuni di; Bianco, Ferruzzano, Ardore, Bovalino, Sant’Ilario, Caulonia) di cui rinomate spiagge, ed entroterra ricchi di testimonianze storico-culturali e paesaggistiche unite alla gastronomia tipica, fanno di questi comuni affacciati sul mar ionio, tra le località gettonate dal turismo, non solo invernale)

Costa dei Cedri

E’ il toponimo che indentifica la fascia settentrionale litorale della Calabria, in provincia di Cosenza. Il nome stesso deriva dalla diffusa coltivazione del cedro, un agrume antichissimo di cui le radici affondano nell’antichità classica e nell’ortodossia ebraica. Il cedro che cresce in quest’area è per gli ebrei la cultivar più pregiata, tant’è che molti rabbini giungono ogni anno a Santa Maria del Cedro per selezionare i cedri adatti per i rituali di sukkot (festa delle Capanne o dei Tabernacoli). Fra i comuni della costa spiccano, per la produzione di cedro, Santa Maria del Cedro, in cui oggi si concentra maggiormente la produzione, Scalea, Orsomarso, Santa Domenica Talao, Buonvicino e Belvedere Marittimo.

Le località più importanti della costa sono cinque: Praia a Mare, Scalea, Diamante, Cetraro e Paola.

Praia a Mare è una piccola cittadina davvero graziosa e tra le sue attrazioni, protagoniste indiscusse sono senza dubbio le sue spiagge, tra le più popolari e ricercate del versante tirrenico della Calabria.  A questa si affianca inoltre un patrimonio architettonico, in cui spicca il Santuario della Madonna della Grotta: un luogo di raccoglimento e preghiera, nonché meta di pellegrinaggio, incastonato tra grotte naturali.

Scalea, invece raccoglie turisti sia d’estate che d’inverno, che grazie agli ottimi collegamenti ferroviari e autostradali, durante i mesi estivi la città pullula di turisti, attratti dalle bionde spiagge attrezzate e da una città sempre vivace. D’inverno, invece è affollata dagli amanti della natura, che svolgono molte attività all’aperto come il trekking.

Diamante, sorge quasi a metà costa dei Cedri, si tratta di un piccolo borgo di pescatori. Caratterizzato da un fitto dedalo di viuzze, costellato di modeste casette. Si tratta di costruzioni antiche e talvolta, dall’aspetto dismesso, ma è proprio questo a conferire fascino alla città.

Cetraro, il cui nome deriva proprio dalle folte coltivazioni di cedri presenti in quest’area. La spiaggia finissima accoglie numerosi turisti ogni anno, che tra un sorso di vino e una tipica frittura calabrese, possono godere del meraviglioso panorama offerto dal vicino scoglio della Regina.

Paola, ultima località a sud della costa, sorge a novanta metri sul livello del mare, le spiagge sono spaziose con un mare limpido, oltre a questo, la presenza del Santuario di San Francesco da Paola, conferiste alla località un’importanza notevole per il turismo religioso e spirituale che ogni anno ed in tutto il periodo dell’anno accoglie numerosi pellegrini e turisti da ogni parte del mondo.

Costa degli Dei

E’ il nome con il quale si designa un tratto di costa marina del Mar Tirreno meridionale che si estende da Pizzo Calabro a Nicotera, cioè l’intero tratto marittimo della provincia di Vibo Valentia, in Calabria.  Viene chiamata la “Costa degli Dei” perché secondo alcuni miti anticamente avevano dimora gli dei che la scelsero per la sua bellezza paesaggistica.  La costa viene anche chiamata “Costa Bella” per i suoi suggestivi panorami delle Isole Eolie. Lunghe spiagge bianche, si succedono rocce frastagliate creando piccole calette raggiungibili solo a piedi o in barca. In questo panorama Tropea riveste un ruolo importantissimo, che la rende una località di elevata vocazione turistica a livello internazionale, tanto da meritare la dicitura “Perla del Tirreno”, per la sua bellezza paesaggistica.

Le località più importanti della costa sono cinque: Pizzo, Zambrone, Parghelia, Tropea, Ricadi.

Capo Vaticano riveste un punto di riferimento della realtà turistica vibonese e calabrese. Il promontorio di Capovaticano si estende tra il golfo di Santa Eufemia e Gioia Tauro e il tocco di magia sta proprio nel significato del suo nome. La leggenda fa risalire la prima etimologia a una radice ellenica: ai tempi dell’antica Grecia, viveva in una grotta di questo promontorio un’indovina dal nome Manto. Era a lei che si rivolgevano i pescatori e i naviganti, ma anche le donne per conoscere il volere delle divinità. Pare che anche Ulisse in fuga fra Scilla e Cariddi si sia rivolto alla profetessa per conoscere la sua rotta e il suo futuro. Manto deriva dal greco “manteuo”, ossia interpretare la volontà divina. Così Capovaticano prese il nome di Mantineo, lo stesso nome dell’oracolo. L’asprezza e la bellezza di questi luoghi, ha conferito anche in epoca latina una certa sacralità a Capovaticano e al suo litorale, ribattezzato Costa degli Dei. Infatti in latino “vaticinium” significa oracolo ed è riconducibile a una figura in contato con le divinità come l’indovina Manto. Un manoscritto del 1736 attribuisce il nome di Capovaticano a Scipione l’Africano che su questo tratto di costa sconfisse il pirata Grancane; si avventò su di lui urlando “Abbatte Cane”. Da qui il nome Batticane e Batticano. Dagli studi ne risulta che la comunità del luogo è sempre stata legata al commercio marittimo e dal Medioevo ai nostri giorni anche alle coltivazioni dell’entroterra.

Pizzo, cittadina di origine medievale, deve il suo nome alla posizione arroccata sul pendio di una rupe di tufo (pizzu, nel dialetto locale), a strapiombo sul mare.  Nel corso del tempo, nonostante le trasformazioni urbanistiche legate al recente sviluppo turistico, è riuscita a mantenere l’aspetto del tipico borgo marinaro, con un caratteristico dedalo di viuzze e vicoli. La sua fama è legata sia alla pesca e lavorazione del tonno, da sempre base della sua economia, sia alle bellissime scogliere, che incorniciano la candida spiaggia e che si tuffano in acque limpide e trasparenti.

Zambrone sorge su un altopiano a 222 m di altitudine dal mare che dista circa 2 km; il comune con le sue frazioni di San Giovanni, Daffinà e Daffinacello si estende su una superficie di 14,36 km². Il territorio ordinato a terrazzamenti si presenta con valli e profonde incisioni fluviali. Le sue origini risalgono al 1310 quando gli abitanti di Aramoni vennero scacciati dalle pianure del monte Poro per ordine di Roberto d’ Angiò e si rifugiarono sulla costa presso la fiumara Potame. Secondo altre fonti storiche, il paese venne creato attorno al 1300 quando le continue incursioni dei saraceni spinsero gli abitanti di San Giovannello a spostarsi nell’attuale posizione del paese. Dal 1811 è un comune autonomo.

Parghelia confina la rinominata Tropea ed è un comune di 1338 abitanti della provincia di Vibo Valentia. Il paese è quasi interamente ricostruito negli anni venti in seguito al terremoto del 1905 che rase al suolo Parghelia (solo la chiesa della SS. Madonna di Porto salvo resistette al sisma).  Grazie alle sue splendide spiagge (Michelino, La Grazia e Vardano), alle strutture ricettive delle quali dispone e alla sua vicinanza a Tropea è divenuta negli anni una meta turistica di richiamo.

E’ uno dei paesi appartenenti alla costa degli Dei: tratto della indiscutibile bellezza ricadente nella provincia di Vibo Valentia.

Ricadi è un borgo turistico della Costa degli Dei situato a 284 metri di quota s.l.m. La sua costa è tra le più belle d’Italia, in dodici chilometri di spiagge, baie e calette, modellate dai venti e dal mare, si trovano: la baia di Riaci, la spiaggia di Formicoli, quella di Grotticelle, Santa Maria, Santa Domenica, della Scalea, Capo Vaticano, Praia i Focu, a Ficara, i Ziti e molte altre. Il litorale è stato premiato in più occasioni dalla Guida Blu e dalla Bandiera Verde Spiagge. Nel suo territorio ricade la produzione della cipolla rossa di Tropea.

La Costa Viola

La Costa Viola è un’area geografica della provincia di Reggio Calabria immediatamente a nord del capoluogo e rientrante nell’area metropolitana di Reggio Calabria, che sia affaccia sul mar Tirreno e sullo Stretto di Messina. La linea di costa, stretta tra il mare e le montagne, è dominata da alte e frastagliate costiere che con l’altezza di 600 metri sono tra le falesie più imponenti al mondo, oltre che da graziosi e suggestivi anfratti come la “grotta dello Sparviero”. Dal monte Sant’Elia è possibile godere di un superbo panorama con sullo sfondo l’arcipelago delle Isole Eolie e i due vulcani attivi: l’Etna e Stromboli.  Tutto il territorio, è, inoltre, caratterizzato da terrazzamenti coltivati a vigneti a strapiombo sul mare.  Le spiagge e i vari litorali sono tratti rocciosi, a tratti sabbiosi a tratti ghiaiosi, dominati dai crinali dell’Aspromonte e del Monte Poro, che precipitano direttamente in mare.  I fondali marini sono simili a quelli tropicali e presentano un ecosistema ancora integro.

Recentemente sono state scoperte, in prossimità delle coste di Scilla, rare colonie di corallo nero, mentre in quelli di Palmi, nei pressi di capo Barbi, altrettante colonie di corallo bianco.  Di fronte ai lidi di Tonnara di Palmi, si trova il caratteristico “Scoglio dell’Ulivo” così denominato per la crescita spontanea di un albero d’ulivo.

Le località più importanti della costa sono quattro: Scilla, Bagnara Calabra, Palmi e Seminara.

Scilla è una rinominata località turistica situata su un promontorio all’ingresso settentrionale dello stretto di Messina. Il toponimo Skyla richiama un misterioso mostro che sarebbe il responsabile di tempeste scatenatesi sul mare che determinarono la fine di molti naufraghi. Descritta da Strabone come uno scoglio simile a un’isola, Scilla mantiene tutt’ora i tratti di questo paesaggio. Il primo a parlarci di Scilla e Cariddi come di mitici mostri sanguinari fu Omero nella sua Odissea, poema a cui poi tanti antichi scrittori si rifecero data l’autorevolezza della fonte. Nacque pertanto più tardi il detto: “Incappa in Scilla volendo evitare Cariddi”.

Bagnara Calabra; occorre precisare che il toponimo originario è “Bagnara”, il termine identificativo “calabro o Calabra” fu assegnato in seguito all’unificazione d’Italia per distinguerlo da quello di Bagnara di Romagna. La città è situata a pochi chilometri dallo stretto di Messina, in una zona costiera chiamata Costa Viola, lambita a ovest dal mar Tirreno e posta in fondo ad un’insenatura tra le colline a strapiombo sul mare. Il primo nucleo abitativo di cui conserviamo sicura testimonianza storica nasce intorno al 1085, con la fondazione dell’Abbazia Nullius di Santa Maria V.G. e i XII Apostoli ad opera del conte Ruggero I d’Altavilla ed in breve tempo acquisisce un ruolo di primo piano nelle vicende politiche e religiose meridionali. Ipotesi storiche tendono a far risalire le origini di Bagnara al periodo fenicio all’VIII secolo a.C. Tali affermazioni sarebbero, secondo alcuni storici, suffragate dalle tante affinità con questo popolo di navigatori.

Palmi; circa le origini del nome dato a Palmi è costante la tradizione, nei secoli susseguiti alla sua fondazione, che abbia assunto tale denominazione a causa delle numerose palme che sorgevano nel suo territorio; tant’è che con l’indicazione De Palmis, Ruggiero I conte di Calabria specificava di concedere la chiesa di San Georgium, nel 1085, alla Chiesa di Santa Maria e dei XII apostoli di Bagnara Calabra. Dominus Palmae venne chiamata invece dal barone Iacobus De Roto di Seminara nei registri angioini dei baroni di Calabria del 1333 mentre, nei secoli seguenti, gli antichi notari si servirono dell’espressione “Civitas Palmarum”, nel secolo XVI, da Gabriele Barrio venne chiamata “Parma”, mentre da Fra Lando Alberti venne nominata come Palma.  venne pure denominata “Carlopoli” nel secolo suddetto, in onore del duca Carlo Spinelli che la ricostruì fortificata dopo una devastazione saracena, tanto che nel 1567 sono riportati l’appellativo di oppidum (a conferma della fortificazione) e di “Palma nunc Carlopolis” ipotizzando che la nuova Carlopoli fu costruita accanto al vecchio centro abitato. Solamente nel 1669 appare la scritta Palmi, ma col cominciare del XVIII secolo, la città venne chiamata “Palme”, nome che prevalse sempre fino al nuovo assetto del regno di Casa Savoia (1860), in cui si stabilì definitivamente il nome attuale di “Palmi”.

Seminara; A Seminara è legata la figura di Barlaam Calabro, filosofo, matematico, teologo e maestro di greco di importanti letterati italiani come Petrarca e Boccaccio e che qui nacque nel 1290. Inoltre, nel XIII e XIV secolo la Calabria era considerata ancora la Grecia d’Italia e qui ci si recava per apprendere l’antica lingua greca. Una volta giunti a Seminara, da non perdere è sicuramente il centro storico, dove tra i resti delle antiche mura di cinta e del Castello Mezzatesta occhieggiano portali, palazzi e dettagli rinascimentali che raccontano l’importanza cinquecentesca di questa cittadina. Ma non solo. Qui di certo non mancano le attrazioni, fra le quali opere scultoree di grandi artisti come il Gagini, il Mazzolo, Andrea Calamech, oltre che opere pittoriche di notevolissimo pregio del pittore Giovannangelo d’Amato. I più importanti reperti archeologici di Seminara sono senz’altro il borgo di Sant’Antonio, antiche mura di cinta della città, l’Arco di Rosea e i ruderi dell’antico Ospedale, costruito tra il 1400 ed il 1450, nonché il più antico ospedale della Calabria. L’arte qui si mescola alla sacralità e di certo non mancano le architetture religiose, come la Basilica e Santuario di Maria Santissima dei Poveri (1933) un edificio, dal prezioso stile neoromantico che conserva un museo che spazia da preziosi gioielli di arte sacra a reliquie di Santi, opere in argento, in legno, in ceramica e persino in avorio. Preziosissimi abiti talari e la bellissima, unica nel suo genere, venerata statua lignea della Madonna Nera, meglio conosciuta come Madonna dei Poveri. Ma non vi è solo la basilica, anzi, continuiamo con la chiesa di San Marco Evangelista (XVIII secolo), dove al suo interno conserva la statua della Madonna degli Angeli, attribuita ad Antonello Gagini (XVI secolo) e ancora la Chiesa di San Michele, la chiesa di Sant’Antonio dei Pignatari e la chiesa di Sant’Anna, chiesa di San Luigi, chiesa di Maria Santissima Addolorata e quella dedicata a San Giuseppe, ma anche l’iconica chiesa ortodossa dei Santi Elia e Filarete.

La Costa degli Aranci

Corrisponde al tratto di costa ionica della Calabria, compreso tra Steccato di Cutro a nord e Monasterace Marina a sud, che abbraccia il golfo di Squillace. Sono 75 chilometri di litorale calabro, in provincia di Catanzaro, che custodiscono rinomati centri balneari e scrigni di biodiversità. La costa è caratterizzata da lunghe spiagge di sabbia, intervallate da tratti rocciosi che creano scenari di grande suggestione. Intorno pinete, uliveti e aranceti che inebriano dei loro intensi profumi. Sulla costa si susseguono pittoreschi borghi marinari che d’estate attraggono numerosi turisti, mentre sulle colline alle spalle del mare si affacciano antichi borghi medioevali. Tra spiagge e paesini, inoltre, fate caso alle testimonianze della storia che affonda le sue radici nella Magna Grecia. Il golfo di Squillace infatti, strategico per i traffici nello Ionio, attrasse fin dall’VIII secolo a.C. i coloni greci che lungo la costa costruirono templi, agorà e necropoli. Fra i resti meglio conservati oggi si possono vedere quelli dell’antica Kaulon, con le rovine del tempio dorico, nella parte meridionale del golfo, a Monasterace Marina.

Le località più importanti della costa sono sette: Catanzaro, Roccella di Borgia, Squillace, Copanello, Stalettì, Pietragrande, Soverato

Catanzaro si affaccia sul golfo di Squillace, nel mar Ionio, dove secondo alcuni studiosi si trovava il porto del regno dei Feaci, nel quale, come racconta Omero nell’Odissea Ulisse fu accolto e raccontò la sua storia. È conosciuta come la “Città tra due mari”, in quanto è situata nell’istmo di Catanzaro, ovvero la striscia di terra più stretta d’Italia, dove soli 30 km separano il mar Ionio dal mar Tirreno. Ciò consente di vedere contemporaneamente, dai quartieri nord della 4città in alcune giornate particolarmente limpide, i due mari e le isole Eolie. È detta inoltre Città dei tre colli   corrispondenti ai tre colli rappresentati nello stemma civico che sono il colle di San Trifone (oggi San Rocco), il colle del Vescovato (oggi Piazza Duomo) e il colle del Castello (oggi San Giovanni). Il territorio comunale si estende dal mare fino all’altezza di 668 metri. La casa comunale sorge a 320 m. Comprende una zona costiera sul mar Ionio che ospita 8km di spiaggia e un porto turistico; da qui il centro abitato risale la valle della Fiumarella (anticamente detta fiume Zaro), sede di un forte sviluppo urbanistico, fino ai i tre colli: del Vescovato, di San Trifone (o di San Rocco) e di San Giovanni (o del Castello) su cui sorge il centro storico della città e che si ricollegano con la Sila verso Nord. Per la sua particolare orografia il territorio comunale è bagnato dal mare, ma soggetto a fenomeni nevosi d’inverno.

Roccelletta di Borgia si distingue per essere un luogo sospeso nel tempo, immerso tra uliveti incantati e verdi colline che si stagliano verso le acque limpide del Mar Ionio.

Da queste parti è praticamente impossibile non lasciarsi inebriare dal fascino della Magna Grecia, poiché qui ha lasciato una delle testimonianze più importanti della sua presenza.
Impressionati scorci paesaggistici fanno da cornice al grande parco archeologico che si trova in questa frazione, con gli imponenti resti della basilica di Santa Maria della Roccella, del teatro e dell’anfiteatro della colonia romana di Scolacium, città millenaria abitata in tempi antichi dai greci, e molto altro ancora. Visitare questo parco vuol dire scoprire la storia di Skylletion, città della Magna Grecia che divenne una prospera colonia romana:

Borgia, un paesino interamente ricostruito a seguito del drammatico terremoto del 1783 e che, fortunatamente, oggi è un centro ricco di palazzi nobiliari, monumenti, chiese e sculture antiche. Di particolare interesse sono Villa Pertini e le sue Piazza del Popolo e Piazza Ortona. In quest’ultima sorge il duomo del 1852 dedicato a San Giovanni Battista (patrono della città). Borgia vanta anche una zona marina si estende per circa 6km e dove prendono vita paradisiache spiagge di sabbia bianca. Tra le più belle c’è proprio quella di Roccelletta di Borgia che si affaccia sullo Ionio nella Costa degli Aranci. Un piccolo sogno a occhi aperti circondato da una rigogliosa pineta che permette un po’ di refrigerio durante le ore più calde della giornata. Il mare, nemmeno a dirlo, è cristallino anche se subito profondo.

Squillace è un comune italiano di 3.641 abitanti della provincia di Catanzaro in Calabria. È l’antica Skylletion città della Magna Grecia su cui sorse la colonia romana di Scolacium patria di Cassiodoro che vi fondò il Vivarium. Sede di una delle più antiche diocesi del Sud Italia, fu un importante centro greco-bizantino durante l’Alto Medioevo, l’ultimo in Calabria ad essere conquistato dai Normanni. Alla cittadina deve il suo nome il golfo di Squillace, così noto fin dall’epoca magnogreca. Squillace affonda le sue origini nei tempi antichissimi. Il toponimo deriva da Skyllation, il nome della città che ebbe importante funzione di riferimento territoriale, come colonia greca. Il nuovo popolo dominatore costrinse gli abitanti di Scolacium a rifugiarsi in luoghi più sicuri, su un’altura, dove fondarono l’attuale centro di Squillace.

Copanello o Copanello di Stalettì (soprannominata la Perla dello Jonio catanzarese) è una frazione del comune di Stalettì in provincia di Catanzaro, situata lungo la costa jonica della provincia calabrese a sud del capoluogo. È delimitata a nord dal fiume Alessi e a sud dal torrente Lamia. Si suddivide in Copanello alto e Copanello lido. Nel VI secolo, Copanello fece parte dei possedimenti del politico e scrittore latino Cassiodoro (485-580). Questi vi fece costruire il Monastero di Vivarium intorno al 555.

Stalettì nacque tra la fine del XIX secolo ed il XX secolo, il territorio di Copanello alto è passato successivamente dalla famiglia Fazzari alla famiglia Falcone ed in seguito alla famiglia Gatti mentre Copanello lido restava alla famiglia Pepe dal XVIII secolo alla fine del XX secolo, quando divenne proprietà di diversi patrioti (Guglielmo Pepe, Enrico Cosenz, Damiano Assanti, Francesco Carrano, Girolamo Calà Ulloa e Camillo Boldoni) prima di passare alla famiglia dei marchesi Lucifero, di cui l’ultimo proprietario fu Francesco Lucifero. Il Paesaggio di Copanello viene inoltre visitato da Michele Frangella che compone la celebre poesia “A Copanello” esaltando le bellezze della costa e delineandole come un vero e proprio Eden.

Pietragrande è da oltre trent’anni un centro balneare e turistico di altissimo livello. Il mare cristallino, le tante spiaggette, le scogliere incantevoli, le antiche tradizioni storiche, compongono una cornice splendida per una vacanza indimenticabile. Scogliere e dirupi si alternano a spiagge accessibili solo via mare, veri e propri angoli di paradiso.

Soverato; è favorito dalla posizione al centro del Golfo di Squillace e a poca distanza dalle montagne, deve aver attirato degli uomini fin dai tempi più antichi; da quando popolazioni neolitiche abitavano la Calabria centrale. La zona a ridosso della collina dove venne fondato il borgo fortificato fu popolata sin da tempi protostorici da varie popolazioni, servirà l’arrivo dei coloni greci e poi della dominazione romana per poter far crescere economicamente e demograficamente l’intera zona di Soverato. Sotto l’Impero romano la Calabria vive in una oscura prosperità, appena sfiorata dalle guerre puniche e dalla rivolta di Spartaco. L’asse economico e politico della Calabria si sposta sempre di più dallo Ionio al Tirreno, lungo il quale corre la grande strada consolare Popilia che porta in Sicilia. Verso il V, VI secolo d.C. le coste ioniche vengono del tutto abbandonate, e gli abitanti si trasferiscono sui colli. Le cause del fenomeno sono da ricercarsi nell’esaurimento della funzione commerciale, nella malaria e nella minaccia prima dei Vandali dall’Africa e poi degli Arabi.

Costa dei Saraceni

Con il nome di “Costa dei Saraceni” indichiamo un tratto di costa ionica appartenente alla provincia di Crotone, delimitato a nord dal fiume Neto e a sud dal fiume Tacina.

Il territorio comprende, da nord verso sud, le località più importanti della costa sono sei: Cariati, Crucoli, Cirò Marina, Crotone, Capocolonna e Isola Capo Rizzuto.

Cariati è un centro turistico vivamente frequentato, caratterizzato da un paesaggio davvero unico, immerso in una natura rigogliosa a ridosso di un mare limpido e trasparente che le ha fatto aggiudicare la Bandiera Blu ogni anno fin dal 2009. Da visitare assolutamente il Borgo medievale sulla riva del mare, cui si accede da più punti ma che ha il suo accesso principale nella suggestiva “Porta Pia”. Subito dopo questa, inizia il corso XX settembre, la via principale, lungo la quale si trovano il Palazzo del Seminario, costruito nella prima metà del Seicento, la cattedrale di San Michele Arcangelo e il Palazzo Vescovile.

Crucoli è una località posta su un promontorio in cui sono ben visibili i resti di un castello di origine normanna con le sue mura difensive; è molto nota per le proprie attività artigianali, fra cui quella dei tessuti dai bei disegni orientaleggianti. Torretta di Crucoli è la località balneare che appartiene al piccolo comune. E’ costituita da una meravigliosa spiaggia dorata lunga circa 3km, ben attrezzata e orlata da un grazioso lungomare. Il mare che la bagna è limpido e cristallino, di un azzurro brillante, con fondali digradanti, ideali per i bagni estivi.

Cirò Marina è divenuta negli ultimi anni meta turistica rinomata grazie alla bellezza e alla ricchezza del mare, ma è nota anche per gli ottimi vigneti per cui è Città del Vino dal 2000. Le sue spiagge sono tutte lambite da una fitta pineta costiera molto pittoresca. Rinomata e molto frequentata dai turisti è la spiaggia Punta Alice di Cirò Marina, situata nella frazione omonima, caratterizzata da un litorale ampio e molto lungo con sabbia fine e dorata ed un mare trasparente e di un azzurro intenso, con fondali bassi e digradanti. Nelle vicinanze si trova la foce del fiume Neto, un’area di notevole importanza naturalistica poiché ospita aironi ed altre specie di uccelli.

Crotone fu fondata dagli Achei, i coloni greci provenienti dalla regione dell’Acaia (VIII secolo a.C.), in un’area dove si trovava un insediamento indigeno. Divenne molto presto uno dei centri più importanti della Magna Graecia. La città vecchia di per sé, può essere considerata un’opera d’arte perché tutta caratterizzata da stretti vicoli e graziose piazzette, nonché da architetture di maggiore rilievo come il duomo o la piazza Pitagora, nodo tra il centro storico e la Crotone nuova.

Isola Capo Rizzuto che “chiude in bellezza” la Costa dei Saraceni, essendo un luogo davvero unico, con un mare di straordinaria bellezza, ricco di scogliere e madrepore, di reperti storici e culturali, di natura incontaminata. Capo Colonna invece è il promontorio che determina il limite occidentale del Golfo di Taranto, dove sorgeva il tempio dedicato ad Hera Lacinia, di cui, fino a qualche tempo fa, erano rimaste molte colonne. Sfortunatamente, queste vennero poi utilizzate come fonte di pietre lavorate per decorare il castello, il porto e i palazzi nobiliari locali fino a che non ne rimase eretta soltanto una, tuttora presente sul promontorio.

Isola Capo Rizzuto si trova anche la famosissima spiaggia di “Le Castella”, chiamata così perché di fronte ad essa, in mezzo al mare, si staglia lo splendido Castello Aragonese (XV secolo), collegato con la stessa solo per mezzo di una sottile striscia sabbiosa e quando non si ha alta marea. Il mare qui è spettacolare, ideale per gli amanti dello snorkeling, poiché particolarmente cristallino, con fondali bassi e ricchi di anfratti dove si nascondono una miriade di pesci.

 

La costa egli Achei

Con il nome di Costa degli Achei, con chiaro riferimento alla frequentazione achea della zona e relativa fondazione dell’antica colonia di Sybaris, si indica quel tratto di costa dell’alto ionio calabrese compreso tra la foce del fiume Ferro a nord e la foce del Trionto a sud. Tratto costiero che vede proprio in Sibari il suo centro geografico. La costa degli Achei si sviluppa lungo la fascia costiera dell’ampia Piana di Sibari. Il litorale è poi racchiuso tra i possenti rilievi del Massiccio del Pollino a nord e gli ultimi contrafforti della Sila Greca a sud e solcato da una miriade di piccoli ruscelli e corsi d’acqua a carattere torrentizio.

La parte settentrionale della Costa degli Achei, è compresa tra le sette località balneari di: Roseto Capo Spulico, Amendolara Marina, Villapiana, Sibari, Cerchiara, Rossano-Corigliano e Trebisacce, e si sviluppa lungo i contrafforti della Serra Manganile, estrema propaggine orientale del Massiccio del Pollino.  Il litorale risulta quindi ciottoloso e carico di scogliere anche per la presenza di alcuni torrenti come il Pagliara e lo Straface che precipiti si gettano in mare con il loro carico di detriti calcarei. La Costa degli Achei termina in via convenzionale con la foce del Trionto, ma proseguendo a sud si incontrano importanti località balneari della costa ionica come Calopezzati e Marina di Pietrapaola. Le spiagge dell’alto ionio calabrese sono sovrastate dalla imponente mole del Massiccio del Pollino e offrono quindi un colpo d’occhio davvero straordinario. Ma tutta l’area della Piana di Sibari è interessata da importanti ritrovamenti archeologici come il sito indigeno degli Enotri di Francavilla Marittima, l’antica Cossa in località Paludi e la stessa Sibari dove è ubicato il Parco Archeologico omonimo.

Roseto deriva dal latino rosetum vista la diffusione della coltura delle rose in epoca greco-romana, che venivano utilizzate per riempire i guanciali delle principesse sibarite. La specifica “Capo Spulico” fu assunta nel 1970 in riferimento alla vicinanza del paese al Capo Spulico. Fondata attorno al VII secolo a.C., ai tempi della Magna Grecia Roseto era una delle città satellite di Sibari. La Roseto odierna nacque nel X secolo d.C., il principe Roberto il Guiscardo vi costruì tra il 1058 e il 1085 il Castrum Roseti, mentre raggiunse il suo massimo splendore nel 1260 quando fu costruito il Castrum Petrae Roseti (castello di Roseto) dato in feudo ai baroni della Marra. Fu centro di forte presenza albanese già dai primi del Cinquecento. Dopo un periodo di declino e di sottomissione al potere baronale, aggravato dall’Unità d’Italia e dall’emigrazione che ha segnato questa terra nella prima metà del Novecento, nei primi anni ‘70 vennero costruiti i primi “residence”, che aprirono le porte al turismo nello Jonio Calabrese e a Roseto Capo Spulico, che è andata nel tempo sviluppandosi specie nel settore del turismo balneare.

Amendolara; deriva probabilmente dal greco Amygdalaria ossia “mandorlai” per la ricca produzione di mandorle.  Secondo altri invece il nome deriva dal nome di famiglia “La Mendelèa“. Un insediamento degli Enotri dell’età del bronzo è testimoniato da alcuni resti archeologici rinvenuti nel “Rione Vecchio”. Nel VII secolo a.C. l’abitato si spostò nella sottostante pianura, dove Epeo, il mitico costruttore del cavallo di Troia, avrebbe fondato la città greca di Lagaria (resti in località San Nicola). In epoca romana esisteva una stazione di posta della via litoranea che ebbe probabilmente nome Statio ad Vicesimum (a venti miglia dalla città di Thurii) i cui resti (in particolare un sistema di cisterne per l’approvvigionamento idrico) sono stati rinvenuti nella zona dell’attuale “masseria Lista”. Dopo l’epoca romana vi furono fondate un’abbazia bizantina e quindi un’abbazia cistercense, mentre nel territorio sono presenti grotte eremitiche. Intorno al 1000 venne costruito il castello, che passò in successione a numerose famiglie nobili.

Trebisacce è un comune italiano di 8593 abitanti della provincia di Cosenza. Il territorio del comune confina con quelli di Albidona a nord ovest, di Plataci a sud ovest, e di Villapiana a sud, mentre ad est è limitato dal Mar Ionio. Dal 2015 Trebisacce è Bandiera Blu delle Spiagge, l’autorevole riconoscimento europeo assegnato dalla FEE e dal 2018 Trebisacce risulta essere l’unico comune calabrese ad aver ottenuto il riconoscimento di Spighe Verdi dalla FEE. Il nome del paese deriva dal greco trapezikion, ossia “piccola tavola” quindi “tavoliere”, riferendosi alle caratteristiche geografiche del territorio. Nell’ultimo cinquantennio Trebisacce ha raddoppiato la sua popolazione. Dagli anni ’70 gode di uno sviluppo economico e commerciale continuo, che è aumentato ancor di più dagli anni ’90 del XX secolo fino ad oggi, trasformando radicalmente la cittadina, da paese di pescatori fino a metà del ‘900 ad un attivo centro economico-commerciale-turistico della Costa Jonica, l’unico centro dell’Alto Jonio che raggiunge i 10.000 abitanti di popolazione.

Villapiana;

Villapiène in dialetto locale, è un comune italiano di 5.423 abitanti della provincia di Cosenza in Calabria. Ai tempi della Magna Grecia la città era nota come Leutermia. Tale nome fu conservato fino al IX secolo, quando venne, verso l’850, distrutta dai saraceni contemporaneamente a Blanda e Cirella. Intorno al 1300 il borgo fu ricostruito e prese il nome di Casalnuovo che conservò fino al decreto del 4 gennaio 1863, quando assunse l’attuale denominazione. Del periodo feudale è testimone il castello, dove trovarono abitazione i feudatari che si sono succeduti al governo del piccolo paese. Al tempo della Repubblica Partenopea il generale Championnet, incaricato di procedere all’ordinamento amministrativo dello Stato, comprendeva Casalnuovo nel cantone di Tursi, dipartimento del Crati.

Cerchiara:

Tra i paesi dell’Alto Ionio cosentino, compare il comune di Cerchiara di Calabria (CS). Situato a circa 650 m s.l.m. gode di una posizione privilegiata sulla famosa e fertile Piana di Sibari; questa località può inoltre vantare una grande fama in tutto il circondario per l’ottima qualità del pane prodotto nel suo territorio, tanto da fregiarsi del titolo di “Città del Pane“, assegnato da un’associazione che mette insieme diversi comuni italiani che lavorano per far conoscere e valorizzare le diverse tipologie di pane. A Cerchiara vi sono anche tre località, uniche e di notevole interesse. Oltre il centro storico, in cui meritano sicuramente una visita la chiesa di San Pietro e il diruto castello, c’è da citare prima degli altri due importanti siti il Santuario della Madonna delle Armi a circa 13 Km dal paese, costruito e ampliato alle pendici del Monte Sellaro, cima del Parco Nazionale della Sila. La seconda località da non perdere è la Grotta delle Ninfe, acque sulfuree che alimentano un complesso termale dall’omonimo nome. Nella grotta da cui le acque provengono si è creata una piscina con acqua che raggiunge i 30°C già famosa all’epoca della città della Magna Grecia di Sybaris, importante colonia Achea dell’odierna pianura di Sibari sviluppatasi tra il 720 e il 510 a.C. distrutta in questa data dalla concorrente Kroton. Infine ma non meno importante e di un fascino tutto particolare abbiamo sempre nel territorio di Cerchiara di Calabria l’Abisso del Bifurto anche detto la Fossa del Lupo, un inghiottitoio dalla grande rilevanza speleologica e geologica. La tipologia delle rocce del Pollino, prevalentemente carsiche, ha permesso la formazione di simili meraviglie: un “pozzo” verticale profondo quasi 700 m dal livello del suolo. Un importante elemento che fa di Cerchiara un’importante meta per gli appassionati del settore.

Sìbari;

è una frazione del comune di Cassano all’Ionio in Calabria. Fu una delle più importanti città della Magna Grecia sul mar Ionio, affacciata sul golfo di Taranto, tra i fiumi Crati (Crathis) e Coscile (Sybaris), riuniti a circa 5 km dal mare ma con foci indipendenti. La cittadella si basa su un’economia prevalentemente turistica. Sybaris fu fondata tra due fiumi, il Crati ed il Sybaris, alla fine dell’VIII secolo a.C. da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso. Sibari si sviluppò rapidamente grazie alla fertilità del suo territorio dove si coltivavano olive, frumenti, frutta e si produceva olio. Secondo Strabone, Sìbari fu fondata da Is di Elice. La città perse importanza e nel 193 a.C. i Romani vi dedussero una colonia, cui diedero nome Copia. Nell’84 a.C. fu trasformata in municipio e in periodo imperiale, tra il I e il III secolo d.C., si sviluppò nuovamente. Nel corso del V e del VI secolo iniziò a decadere per l’impaludamento della zona. Un secolo dopo l’area era completamente abbandonata.

Rossano:

impropriamente chiamata anche Rossano Calabro per distinguerla da Rossano Veneto, è un’area urbana di 36 623 abitanti, attualmente parte del comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza, in Calabria. La città è detta anche “La Bizantina” e “Città del Codex”, in omaggio al “Codice Purpureo”, uno degli evangeliari più antichi al mondo, custodito presso il Museo diocesano e del Codex e inserito nella lista dei beni del patrimonio UNESCO nella categoria “Memoria del mondo”. Si presume sia stato ondato dagli Enotri intorno all’XI secolo a.C., passò sotto il controllo magnogreco (VII-II secolo a.C.) e successivamente divenne l’avamposto romano nel controllo della piana di Sibari. Tra il 540 e il 1059 Rossano visse una fase di grande splendore sociale, artistico, culturale sotto il dominio dei Bizantini. Nei secoli successivi passò prima sotto il dominio dei Normanni e poi degli Svevi conservandosi città regia e quindi libera università, fino alla politica di infeudazione seguita dagli Angioini e poi dagli Aragonesi e dagli Spagnoli, sotto i quali si registrò la repressione di alcune ribellioni popolari contro il sistema feudale e le politiche fiscali. Le politiche feudali proseguirono sotto il viceregno austriaco e con i Borbone. A partire dagli anni cinquanta del XX secolo, la città, come altre in Calabria il cui nucleo storico si era sviluppato nell’entroterra in considerazione della salubrità dei luoghi oltre che per i presìdi naturali di difesa proseguì la sua espansione prevalentemente a valle e in pianura, attraversata dalle maggiori infrastrutture di collegamento ferroviario e stradale.

Corigliano;

Le origini di Corigliano sarebbero da riportare all’epoca dell’incursione araba del 977 da parte dell’emiro di Palermo, al Quasim, quando alcuni abitanti della Terra di Aghios Mavros (San Mauro, nei pressi dell’attuale frazione di Cantinella) si spostarono in luoghi più elevati, determinando lo sviluppo del piccolo villaggio di Corellianum (il cui nome indicherebbe un “podere di Corellio”) sul colle secoli dopo denominato “delli Serraturi” (nome derivato dalla concentrazione nella zona di un consistente numero di segantini: la denominazione è stata successivamente adeguata all’italiano nella forma “Serratore”). Dopo la conquista normanna, a Roberto il Guiscardo viene attribuita nel 1073 la fondazione di un castello, con annessa chiesa dedicata a San Pietro. La città si sviluppa progressivamente intorno al castello e alle chiese di “Santoro” e di “Santa Maria”. Durante il XIV secolo vi era stata accolta una comunità ebraica e nella località “Pendino” venne costruito il monastero francescano. Nel XIV secolo fu sotto il dominio dei conti di Sangineto per passare in seguito ai Sanseverino. Un arresto dello sviluppo si ebbe nel XV secolo, a causa del continuo stato di guerra tra Angioini e Aragonesi. Nel 1863 Corigliano prese la denominazione di “Corigliano Calabro” per evitare la confusione con Corigliano d’Otranto. La zona costiera coriglianese con i suoi 12 km di spiaggia costituisce la “freccia” di quell’arco naturale che è la Piana di Sibari, alternando luoghi incontaminati a spazi turistico-balneari attrezzati. La caratteristica di queste spiagge è la presenza, in prossimità della riva, di sabbia e pietrisco di piccole dimensioni alla marina di Schiavonea e di Fabrizio, mentre salendo verso nord, superata la zona del Porto di Corigliano e giungendo ai Salici, questa si presenta soffice, allungandosi dalla pineta sino al mare. I fondali marini, differenti da zone in zone, presentano un habitat completamente sabbioso e fangoso superata una determinata profondità con una gran quantità di specie animali e vegetali. Il borgo marinaro della Schiavonea, oggi grosso centro turistico-balneare della Calabria, vanta la più grossa flotta peschereccia, annoverata come la prima della regione, che trova riparo nel grande Porto di Corigliano interamente scavato nella terraferma lungo la linea di costa. Passando attraverso il territorio di Corigliano è possibile incontrare una enorme varietà di paesaggi e di vegetazione che si rincorrono, tra il mare e la preSila, in poco meno di 5 km.

 

Proposta progettuale, per l’istituzionalizzazione del brand turistico-commerciale “Costa delle Zagare – Capo Sud”

Costa delle Zagare

Erroneamente questo tratto di costa è stata assimilata all’identificazione della “Costa dei Gelsomini”, ma che in realtà avrebbe un unico fattore denominatore poco considerato e mai promosso abbastanza; parliamo del tratto costiero della “Riviera delle Zagare” che in realtà sulle mappe turistiche on line e cartacee non compare, ma si tratta comunque di una fascia che va da Reggio Calabria sino a Capo Spartivento che è caratterizzata dalla presenza di numerosi ed estesi frutteti coltivati ad Aranci e Bergamotti. Questo tratto di costa è la zona più a sud dell’Italia peninsulare e la terza in Europa dopo Capo Tarifa (Spagna) e capo Catapan (Grecia). La presenza di estesi aranceti e bergamotteti sul territorio caratterizza l’area press in esame, oggi purtroppo gli aranceti di un tempo sono ormai desueti, ma il Bergamotto di Reggio Calabria (definito l’oro verde del territorio) profuma ancora di essenze Ed è in continua espansione, grazie alle numerose aziende agricole che si sono formate attorno a tutta la filiera di produzione. Quale miglior occasione sarebbe identificare questa fascia costiera con un appellativo tanto veritiero quanto ovvio?! Sono molte le spiagge presenti nel tratto di costa in questione. Quella di Capo d’Armi, con la rocca a pendio sul mare a Melito Porto Salvo bellissime sono la spiaggia di Annà (che va dal camping stella marina fino alla stazione ferroviaria di Annà) sabbiosa e con strati di ghiaia sulla battigia, un tuffo lo meritano anche le acque antistanti località Rumbolo, dove il 19 agosto 1960 sbarcò Garibaldi con i Mille e dove a pochi metri dalla riva riposa il bastimento Franklyn affondato dopo lo sbarco dalle navi Borbone. Altre spiagge bellissime, sabbiose ed estese si trovano a Marina di San Lorenzo e Condofuri Marina. Di notevole bellezza, è anche la spiaggia che dal lungomare di Condofuri continua fino alla foce della fiumara dell’Amendolea, spiagge bellissime sabbiose e molto ambite dalle tartarughe Caretta Caretta. A Bova Marina, molto belle sono le spiagge e le calette a ridosso Rocca del Capo e San Pasquale così come spiagge caratteristiche si trovano a Palizzi, Spropoli fino a Capo Spartivento, dove il Faro domina la visuale e la costa. Negli anni ‘70/’80 la Pro Loco Melitese su input del suo Presidente Roberto Pansera ed il Rag. Alfredo Palumbo, si era avviata una seria campagna di promozione per l’istituzione del brand – identitario dal nome “Riviera delle Zagare” poi in seguito caduto nel dimenticatoio.

Sarebbe quindi interessante se si riavviassero processi di rilancio dell’idea che all’epoca stava prendendo forma, al fine di promuovere e valorizzare al meglio questo tratto di costa, tra i più caratteristici del basso ionio reggino e dell’area grecanica che coinvolge e la identifica.

 

Itinerario elaborato dai Volontari del Servizio Civile Universale – Brancaleone

Si ringraziano:

Alessandra Sgrò e Antonino Guglielmini e tutti gli autori delle immagini e dei testi.

Leonardo Condemi (Copertina)

 

Alla scoperta dei Castelli dell’Area Grecanica e Locridea

Un viaggio attraverso i castelli e le fortezze dell’Area Grecanica – Reggina  e della Locride!

Il progetto di ricerca e creazioni di itinerari e contenuti del Servizio Civile presso la Pro Loco di Brancaleone (RC) continua. Tantissime le storie da raccontare, i paesaggi da vedere, le bellezze da custodire, complimenti da tutti noi ai ragazzi che hanno curato questo itinerario e buona lettura ai nostri utenti!

CASTELLI E FORTIFICAZIONI “AREA GRECANICA-REGGINA”

1- Castello di Scilla

Il castello Ruffo di Scilla, talvolta noto anche come castello Ruffo di Calabria, è un’antica fortificazione situata sul promontorio scillèo, proteso sullo Stretto di Messina. Il castello costituisce il genius loci della cittadina di Scilla, circa 20 km a nord di Reggio Calabria, e sicuramente uno degli elementi più caratteristici e tipici del paesaggio dello Stretto e del circondario reggino. La prima fortificazione della rupe di Scilla risale all’inizio del V secolo a.C. quando, durante la tirannide di Anassila, la città di Reggio assurse a una notevole importanza, tale da permetterle di ostacolare per oltre due secoli l’ascesa di potenze rivali. Infatti, nel 493 a.C., il tiranno di Reggio Anassila il giovane, per porre fine alle incursioni dei pirati etruschi che lì avevano una sicura base per le loro scorrerie, dopo averli sconfitti col dispiego di un notevole esercito, fece iniziare l’opera di fortificazione dell’alta rocca. Questa divenne per Anassilao un importante avamposto di controllo sulle rotte marittime. Il castello di Scilla si erge sul promontorio che divide le due spiagge di Marina Grande di Chianalea. Data la posizione dominante del castello sullo Stretto di Messina, nel 1913 venne costruito un faro per fornire un riferimento alle navi che attraversavano lo stretto. Il faro di Scilla, una piccola torre bianca con la base nera, è tuttora attivo ed è gestito dalla Marina Militare.

 

2- Castello Aragonese di Reggio Calabria

Il castello aragonese di Reggio Calabria è la principale fortificazione della città, nonostante venga definito “aragonese”, la sua fondazione risale in realtà all’epoca bizantina, tra il IX e l’XI secolo, quando Reggio divenne capitale del Thema di Calabria. In epoca spagnola, per volere di Re Ferdinando I d’Aragona, la struttura subì un radicale cambiamento con l’aggiunta delle due imponenti torri circolari merlate che le conferirono l’aspetto attuale e la denominazione “aragonese” . Sorge nell’omonima piazza Castello tra la via Aschenez e la via Possidonea. Esso è considerato, insieme ai Bronzi di Riace, uno dei principali simboli storici della città di Reggio.

 

3-  Castello Santo Aniceto – Motta San Giovanni

Il Castello di Santo Niceto è una fortificazione bizantina costruita nella prima metà dell’XI secolo sulla cima di un’altura rocciosa, tra quelle che dominano la città di Reggio Calabria, nei pressi di Motta San Giovanni. Edificato durante l’impero romano d’oriente la fortificazione è di fatto un Kastron bizantino che serviva a mettere in salvo le merci (soprattutto la preziosissima seta prodotta nel territorio reggino per sostenere l’economia di Costantinopoli) e tenere al sicuro la popolazione di Reggio durante le incursioni. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medievale calabrese.

4- Castello Amendolea – Condofuri

Il castello Ruffo di Amendolea, fortezza medievale situata nell’omonimo paese nel pieno centro di quella che è conosciuta come l’area grecanica della provincia di Reggio Calabria, sorgeva in un ruolo altamente strategico, in quanto la valle della fiumara Amendolea costituiva in epoca storica il confine tra Locri e Reggio. Le sue origini sono normanne; la fondazione del castello si attribuisce solitamente a Riccardo di Amendolea, un normanno, anche se è presumibile che la sua realizzazione sia avvenuta in più fasi diverse ad opera dei vari popoli che hanno dominato la zona durante il Basso Medioevo. Dall’analisi delle mura, mostranti un vero e proprio martellamento, si ha conferma che il castello fu coinvolto nel XIII secolo nell’opera di abbattimento dei castelli ordinata da Federico II di Svevia nel 1230. Successivamente ristrutturato, nei secoli seguenti il castello fu coinvolto nelle lotte di potere fra nobili famiglie locali, cambiando spesso proprietario. Del castello oggi non rimangono che pochi resti: le mura di perimetro, una torre e quella che un tempo doveva essere una cappella in cui i circa 300 abitanti del castello si recavano a pregare.

5- Castello di Pentidattilo – Melito di Porto Salvo

La fondazione di Pentedattilo, risale all’epoca alto medievale. Tra le prime opere ci fu la costruzione del Castello di Pentedattilo, un castello feudale edificato nel XIV secolo posto a 454 m s.l.m. e distante 32 km da Reggio Calabria.  Alla fine del XV secolo, i Francoperta da Reggio, furono i primi feudatari laici della baronia di Pentedattilo trasformando l’aspetto militare del castello in struttura residenziale. A loro subentrarono gli Alberti di Messina nel 1589, a questo periodo le opere di ampliamento e potenziamento del castello, che venne dotato di baluardi e ponte levatoio. Nel 1760 il feudo passò a Lorenzo Clemente, marchese di S. Luca, ma il terremoto del 1783 danneggiò notevolmente l’abitato ed il castello. Il feudo fu acquistato, nel 1823 dai Ramirez di Reggio, e fu abitato fino al terremoto del 1908, che assieme a frane ed alluvioni fece sì che il borgo pittoresco rimanesse disabitato. I ruderi del castello si modellano sulle asperità della rupe che domina l’abitato confondendosi con la roccia.

6- Castello di Roccaforte del Greco

Non vi sono quindi notizie storiche sulla costruzione del Castello, dalle fonti storiche si evince che Roccaforte. Fu casale di Amendolea, e quindi posta sotto il dominio di tale famiglia fino al 1400. Successivamente fu infeudata ai Malda de Cardona, agli Abenavoli del Franco, ai Martirano, ai De Mendoza, fino agli ultimi feudatari, i Ruffo di Bagnara, che la dominarono fino al 1806. nel rione Castello, è ancora possibile vedere qualche tratto delle mura che cingevano il paese. La parte vecchia ospita il Municipio, proprio dove secondo la memoria popolare sorgeva, a ridosso del precipizio, il castello poi crollato.

7- Castello di Bova

Bova è il centro più importante di quella che è conosciuta come “l’isola grecanica”. Il Castello Normanno dell’antico borgo, in parte scavato nella roccia, risale al secolo XI e sorge sulla cima del Monte Rotondo a circa 827 m s.l.m., in posizione egemone sulla sottostante vallata. Le poche tracce che rimangono della struttura originaria non sono sufficienti per ricostruire lo sviluppo planimetrico della pianta e nemmeno per datare e riconoscere le successive fasi costruttive di tutto l’impianto. Le fonti descrivono un imponente castello fondato in epoca normanna e potenziato nel 1494 dagli Aragonesi. Al Castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte la Torre Parcopia ancora oggi esistente. La Torre, costruita nel X secolo, è posta ad ovest  rispetto all’abitato. Da Reggio Calabria il sito è raggiungibile in circa 52 km.

8- Castello di Palizzi

La rocca fu costruita come baluardo difensivo per le incursioni dei pirati turchi. A riguardo non si hanno dati certi, si suppone che la prima edificazione della rocca potrebbe risalire al XIII secolo ma è probabile che il castello sia stato edificato dai Ruffo nel XIV secolo. Il castello di Palizzi è stato dichiarato monumento nazionale dal Ministero dei Beni Culturali.  Una iscrizione in latino posta sulla porta di ingresso riporta che il castello, nel 1580, era “cadente per vecchiaia”, quindi, negli anni ci furono diversi interventi: l’impianto difensivo venne rimaneggiato dai Romano, dai Colonna e poi dagli Ajerbo nel XVI secolo, dagli Arduino di Alcontres nel XVIII secolo e, nel 1866, divenne un palazzo residenziale per la famiglia baronale dei De Blasio che sul lato ovest edificò un palazzo in laterizio. Venne abitato fino agli anni sessanta dalla famiglia De Blasio che fece anche qualche lavoro di restauro ma venne poi abbandonato e cadde in rovina, perdendo la copertura.

9- Rocca Armenia Bruzzano Zeffirio 

Superato di poco l’abitato di Bruzzano Zeffirio, un borgo della provincia di Reggio Calabria non lontano dalla costa dei Gelsomini, si presenta davanti ai nostri occhi un monolite di arenaria di dimensioni sufficienti ad ospitare un castello. Siamo di fronte a Rocca Armenia. Sulla sommità di rocca armenia sorge il castello di Bruzzano Vecchio o meglio ciò che ne rimane. Il complesso infatti venne danneggiato dai terremoti nel corso degli anni. Ciò che ne rimane rappresenta la storia di un luogo che risale alla fine del X secolo a.C.  Nel 925 divenne quartier generale dei Saraceni. In seguito fu feudo di Giovanni De Brayda dal 1270 al 1305, di proprietà del Marchese di Busca dal 1305 al 1328, dei Marchesi Ruffo dal 1328 al 1456, dei Marullo dal 1456 al 1550, dei Danotto dal 1550 al 1563, degli Aragona de Ajerbe dal 1563 al 1597, degli Stayti nel 1597 e dei Carafa di Roccella fino al 1806. Fu danneggiato dal sisma del 1783 e ridotto a rudere dai sismi del 1905 e 1908. Numerose aggiunte e rifacimenti sono stati effettuati nei periodi storici che si susseguirono dal Medioevo fino ai primi dell’Ottocento.

10- Castello/maniero di Capistrello di Brancaleone

“Capistrello” o in dialetto locale “Crapisteddhu” era un antico maniero Saraceno, poiché in molti luoghi come questo i saraceni convivevano in pace con i locali abitanti Secondo due studiosi tedeschi i due territori cioè Capistrello e Brancaleone, erano molto vicini e divisi dal torrente chiamato “Ziglia”, e si passava da una parte all’altra tramite un ponte passerella (che veniva costruito di giorno e disfatto di notte) una frana più tardi allontanò i luoghi. Degli studiosi riferiscono che vi sono dei resti di mura, probabilmente  di un castello. La struttura è simile ad una piccola fortificazione, in questo luogo si racconta si ricavavano  oro e argento. Oltre alle curiose leggende che aleggiano su questo luogo ,una delle ricorrenti è sicuramente la leggenda che vuole in questo luogo  la presenza della gallina dalle uova d’oro, che i nostri antenati tramandano fino a noi oggi, che potrebbero trovare una spiegazione plausibile dall’ antica estrazione di metalli preziosi in questa zona.

11- Castello di Brancaleone 

Nel punto più in alto e strategico del vecchio borgo di Brancaleone sorgeva un piccolo castello medievale, accessibile solo da un lato attraverso un ponte levatoio. Il castello risale al XIV secolo e fu costruito sopra la chiesa grotta datata tra il Ve VIII secolo d.C. Fu probabilmente costruito dai Ruffo poiché la terra di Brancaleone nel 1364 risulta infeudata a Geronimo Ruffo ed era capoluogo di baronìa con Placanica e Palizzi. Nel XIX secolo il castello venne venduto alla famiglia Terminelli. Il castello era composto da molte stanze e le prime tre erano una dietro l’altra.
Alcune travi erano coperte da travi in legno e altre erano scoperchiate il pavimento era a mattoni e all’interno del castello vi era una cappella intitolata a San Domenico.

CASTELLI E FORTEZZE DELLA LOCRIDE

1- Pietra Castello – San Luca 

Pietra Castello è una delle “pietre preziose” all’interno di quello che è un vero è proprio tesoro geologico: Valle Delle Grandi Pietre, uno dei geositi dell’Aspromonte Geopark UNESCO. Pietra Castello domina , con la sua forma, che ad alcuni ricorda una torre ad altri un indice puntato verso il cielo, tutta la Vallata delle Grandi Pietre. Il panorama che si vede una volta raggiunta la “ Torre d’Aspromonte” è veramente mozzafiato: si vede tutta la Valle delle Grandi Pietre, la fiumara Bonamico e sullo sfondo un azzurrissimo Mar Ionio. Questo luogo fu trasformato dai bizantini in una fortezza per poter controllare il territorio circostante. A testimonianza di questo fatto ancora oggi sono visibili i resti di una cinta muraria , di una chiesetta bizantina e di una cisterna per la raccolta dell’ acqua piovana.

2- Castello di Bovalino Superiore

Il borgo di Bovalino Superiore sorge su uno dei tanti rilievi collinari, naturalmente fortificati, della fascia costiera della Calabria meridionale. Non è nota la data di fondazione della cittadina, che per tipologia d’insediamento risale almeno al X-XI sec.La Terra con cui si identifica il borgo cinto da alte mura, con due porte urbiche di accesso e con al suo interno il castello e la chiesa Matrice dedicata a Maria SS. della Neve e a S. Nicola di Bari, si sviluppa in senso longitudinale secondo un lungo percorso di spina, a cui si attestano le case e i vicoli disposti a pettine. Il castello,di fondazione medievale, è stato danneggiato nella seconda metà del ‘900.I suoi resti sono di grande interesse in quanto testimoniano l’evoluzione dell’architettura fortificata nel ‘400 e nel ‘500.Presenta pianta quadrangolare con fossato, ponte levatoio e bastioni triangolari agli angoli, ambienti coperti a volta disposti su più livelli intorno ad un cortile centrale e una cisterna lungo le cortine murarie

3- Castello di Condojanni

Il castello di Condojanni si trova nei pressi del centro abitato di Condojanni, nell’odierno comune di Sant’Ilario dello Ionio e fu eretto dai Normanni nell’XI secolo sulla cima di un’altura rocciosa, tra quelle che dominano la Locride. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medioevo Calabrese. Il castello, insieme a quelli vicini e simili di Gerace, Stilo, Amendolea, Sant’Aniceto rientrava in un sistema difensivo di età normanna volto a controllare la costa ionica meridionale. Con il passaggio della Calabria sotto il dominio degli Svevi, tale struttura fu ristrutturata ed ampliata, creando il vero e proprio castello, con l’aggiunta di alcune torri rettangolari. Da questo momento vennero scritti documenti che ne danno notizia. Nel corso del XIII secolo il castello divenne il centro di comando del fiorente feudo di Condojanni. Il castello divenne nei secoli proprietà di famose ed illustri dinastie siciliane, tra le quali i Ruffo di Calabria, i Marullo, i Carafa, principi di Roccella.

4- Castello di Ardore

Esiste l’antico Castello Feudale costruito dai baroni di Ardore prima del 1600. E’ un edificio quadrato con quattro torri ai quattro angoli, due rotonde e due quadri. Nel fondo di queste si aprivano dei trabocchetti che, per vie sotterranee andavano a mettere capo, secondo la tradizione, in diversi e lontani punti del territorio, e uno di essi, quello a sud, al Castello Feudale del vicino Bovalino. Il Castello era ben fortificato, nelle torri e nelle mura si vedono, ancora, molte feritoie e, sino al 1847 si conservavano due colubrine. Tra il ponte levatoio e la facciata principale esisteva un bel giardino, che nel 1882 fu espropriato per ingrandire la Piazza Umberto I. Il Castello di Ardore era considerato tra i migliori del circondario.

5- Castello di Gerace

Il castello di Gerace sorge proprio in cima all’amba rocciosa intorno alla quale si sviluppò l’originario centro abitato del paese. Edificato secondo alcuni nel corso del VII secolo d.C. come semplice fortificazione, il maniero esisteva di certo già a metà del X secolo, quando all’arrivo delle truppe bizantine, venne raso al suolo insieme alla devastazione dell’intera cittadina. Il castello, oggi allo stato di rudere, sorgeva sulla rocca più alta a dominio della vallata sottostante. Ristrutturato completamente e potenziato dai Normanni nel XI secolo, esso andò soggetto nel corso del tempo a diverse distruzioni, causate principalmente dai continui e violenti terremoti che investirono questa parte di Calabria. Ad ogni distruzione seguivano puntuali ricostruzioni e rimaneggiamenti. Per la sua posizione in cima alla rupe a dominio della vallata, il castello normanno di Gerace è meta di turisti e visite guidate, nonostante sia oramai ridotto a rudere.

 

6- Castello di Roccella Jonica

Il Castello è situato su un promontorio roccioso a 104 m. s.l.m. e sovrasta l’intero paese. Fondato in periodo normanno da Gualtieri De Collepietro, successivamente la proprietà passò alla famiglia Ruffo per diverse generazioni, poi a Galeotto Baldaxi, un personaggio noto per le sue imprese militari durante la guerra di re Alfonso. In seguito, al marchese di Crotone Antonio Centelles e, infine dal 1479 al 1806, alla nobile famiglia Carafa della Spina, dalla quale è stato in parte rimaneggiato e restaurato. Questo edificio monumentale, potente nella sua struttura, costituì un inespugnabile baluardo, resistendo agli assalti del corsaro turco Dragut Pascià, nel 1553. Numerosi sono i ruderi del nobile palazzo, conservante un magnifico portale litico, sormontato dallo stemma, in pietra calcarea ed eroso dal tempo, dei principi Carafa della Spina. Nel campanile della chiesa era installato un orologio che rintoccava le ore sulla campana, la cui impronta circolare è ancora visibile.

7- Castello di Caulonia

Il castello, che forse, dette il nome alla città e del quale non si conosce il fondatore, fu residenza di Malgeri d’Altavilla. Costruito, comunque, in stile normanno, fu successivamente abitato dalla famiglia Carafa.  In seguito al trasferimento a Napoli dell’ultimo marchese Carlo Maria Carafa, l’antico baluardo fu sede dei castellani fino a quando il terremoto del 1783 lo devastò. “Il castello era di figura esternamente irregolare, fortificato con scarpa e controscarpa, circondato da alcuni torrioni e nei vani anteriori munito con pietre vive e cancelli di ferro”. Munito di milizie e di artiglieri, il castello era separato dalla piazza da un fosso “manofatto”: il collegamento avveniva tramite un ponte elevatoio. Nell’aprile del 1842 i ruderi del castello risultavano di proprietà di un certo Ilariantonio Taranto che, dopo aver coperto il fosso e reso fisso il ponte levatoio, impiantò un filatoio di seta, che durò pochissimo. Nel 1897 i ruderi del castello, passati alla famiglia Gallo, passarono ulteriormente a quella degli Scalisi e così via fino alla famiglia D’Amato, la quale ancora oggi gode del privilegio di abitare all’ombra del vetusto baluardo normanno.

8- Castello di Gioiosa Ionica

Il castello sorge a strabiombo lungo il corso della fiumara galizzi, a cinque chilometri dalla costa, sulla sommità del promontorio roccioso dove nel corso dei secoli ebbe inizio lo sviluppo dell’abitato gioiosano. Il castello è a pianta più o meno triangolare e presenta due torri dislocate agli angoli esposti ad oriente e occidente. L’analisi delle fonti induce a ritenere che la costruzione del castello vada collocata durante il periodo svevo (1194-1265) o nei primi decenni del dominio angioino (1266-1443). Il castello, appartenuto alle famiglie Caraccciolo e Carafa, dalla fine dell’ottocento è di proprietà dei marchesi Pellicano. L’ingresso è posto sull’antico fossato, presso la parete meridionale, e immette in un lungo corridoio che separava le due ale del complesso, l’orientale e l’occidentale. A tale ingresso si accede attraverso un ponte in muratura con annessa scalinata. Al di qua del fossato si trova un edificio signorile che a partire dalla metà del seicento è stato adibito a palazzo baronale e dimora del feudatario.

 

9- Castello di Placanica

Costruito dapprima come monastero intorno al 1300, fu adibito poi a castello durante la dominazione spagnola. Sorse ad opera dei frati basiliani che intorno all’anno Mille salirono lungo il corso della fiumara Precariti. Attorno all’antico monastero sorsero le umili casupole, inglobate nell’odierno rione San Leonardo. L’edificio, per la mancanza di merli e feritoie, ha più l’aspetto di dimora nobile che di fortezza. Fu trasformato in residenza ad opera dei feudatari che vi si alternarono: Caracciolo, De Licandro, D’Aragona D’Ayerbe, Passerelli, i frati domenicani di Suriano e i Musitano. Da questi, per matrimonio, passò ai Clemente di San Luca, del cui feudo faceva parte anche la sontuosa villa di Scinà, oggi proprietà della famiglia Caristo della vicina Stignano. L’ultimo erede del marchese Clemente lasciò il castello nel secolo XVIII; da allora questo decadde e divenne dimora comune per una ventina di famiglie e tale rimase fino a quando la disastrosa alluvione del 1951 non lo rese inabitabile. Difronte alla facciata del castello si trova un giardino, oggi villa Panajia. Sono in corso lavori di restauro dell’edificio.

10- Castello di Stignano

Il castello di San Fili, o casino di San Fili, si trova nel comune di Stignano, nella città metropolitana di Reggio Calabria, in Calabria. Fu costruito agli inizi del XVIII dalla famiglia Lamberti ed è sottoposto a vincolo di tutela dal Ministero dei Beni Culturali. L’edificio venne costruito tra il 1711 e 1720 per volere del capitano Giuseppe Lamberti, patrizio della città di Stilo, e progettato da Vincenzo Lamberti. Il fortilizio sorge in un territorio anticamente denominato “feudo di San Fili”, che aveva fatto parte dei corpi feudali dell’Università di Stilo sino alla metà del XVII secolo, quando era stato acquistato dal napoletano Antonio Pulce e poi rivenduto ad Antonio Lamberti nel 1696. Giuseppe Lamberti, nipote di Antonio, dopo l’edificazione del “casino”, acquistò nel 1721 la vicina torre di guardia di San Fili. Nel 1894 il casino e il suo podere vengono venduti dalla famiglia Lamberti a Ponziano Alvaro, che apporterà all’edificio delle trasformazioni per renderlo più consono all’ uso di residenza.

11- Castello di Stilo

La prima attestazione del Castello Normanno risale al 7 maggio del 1093. La sua nascita segue l’avvento dei normanni nel 1072 d.c., conquistatori del borgo di Stilo. Essi infatti prescelgono il borgo, per la sua posizione strategica a dominio dell’intera Vallata dello Stilaro, come regio demanio, vale a dire città sotto il diretto controllo del re, ruolo mantenuto anche nelle dominazioni sveve, angioine e aragonesi.  Eretto da Ruggero il Normanno nella seconda metà del XI secolo, per meglio dominare la sua città irrequieta, l’affascinante castello medievale, domina incontrastato il territorio circostante. La zona centrale del Castello era una chiesa-cappella con un altare principale e 4 altari adiacenti ai muri del locale. Di questa area, sopravvivono solo alcuni tratti dei muri portanti, ma non è stata ancora stabilita la datazione di questi ultimi. Il Castello era cinto da varie opere di difesa che lo rendevano assolutamente inespugnabile. Nel 2015 è stata realizzata una piccola monorotaia, al fine di favorire l’accesso a questo luogo mozzafiato.

 

 

 

Progetto cura di; Leonardo Condemi e Noemi Macrì (Servizio Civile Universale Brancaleone;  Torri Costiere e Montanare, le sentinelle dimenticate della Calabria).

 

Le Vie dell’Acqua; 20 itinerari fra la bellezza ed il fascino di una Calabria meravigliosa

Quando si parla di Calabria, subito vengono in mente i suoi 800km di costa, mare cristallino, spiagge che non hanno nulla da invidiare a note mete caraibiche, buon cibo, sano e biologico e tanto altro.

Ma la Calabria è un universo immenso, fatto di massicci alti fino a 2.000mt, borghi caratteristici, fiumi e fiumare, gole, cascate e laghi artificiali che rendono il nostro entroterra un luogo ideale per trascorrere le proprie vacanze, vivere esperienze uniche ed irripetibili.

L’idea di portare alla scoperta delle più suggestive e meravigliose cascate lungo i corsi d’acqua Calabresi, si inserisce nel quadro di una promozione di tutte quelle risorse turistiche in grado di soddisfare qualsiasi tipo di vacanza, dai percorsi più semplici a quelli per i più esperti. Guidati da professionisti che nella loro mission hanno a cuore questa terra e la montagna. Ed in Calabria di montagna ce ne davvero tanta…!

Abbiamo selezionato per questa guida solo una serie di percorsi, che abbiamo battezzato “Le Vie dell’Acqua”, un itinerario naturalistico e culturale che ci invita a riscoprire una Calabria dalle mille meraviglie …e dove trovarle!

Non in ordine di bellezza o importanza, non in relazione alle province, questo itinerario è solo una piccola anticipazione di tutte quelle meraviglie che esistono e insistono nella nostra bella regione.

 

Abbiamo selezionato 20 fra le cascate, gole, canyon e percorsi naturalistici più suggestivi della Calabria, con ulteriori 11 fra laghi e invasi più caratteristici della nostra regione.

ROCCAFORTE DEL GRECO (RC); CASCATE MAESANO (SCHICCIU DA SPANA)

Situate a circa 1.200 metri di altitudine e con un’altezza totale di circa 60 metri, maestose da far rimanere a bocca aperta, le cascate del Maesano sono tra le mete più affascinanti e magiche per molti turisti e appassionati della montagna, simbolo delle escursioni in Aspromonte. Sono formate da tre ben salti (di circa 20 metri l’uno) e alla base di ognuno di essi vi è una pozza d’acqua cristallina color smeraldo nel quale ci si può immergere e fare un bagno. L’acqua delle cascate in estate raggiunge appena i 12/13 gradi di temperatura. Di sicuro un bagno in queste acque risulta davvero tonificante per la muscolatura del corpo sopratutto dopo il lungo cammino di oltre un ora e mezza per raggiungerle. Il percorso per arrivare alle cascata passa dalla confluenza del torrente Menta con la Fiumara Amendolea ed è incredibilmente suggestivo, ricco di panorami mozzafiato. Si attraversavo crinali ricchi di faggete e pinete, alberi di mandorlo e vegetazione con orchidee sanbucine (gialle e viola), orchidee papilionate, euforbie e ginestre, fino a raggiungere la cascata, che compare quasi all’improvviso nella valle e ripaga la fatica del percorso.

(FONTI: www.quicosenza.it) 

 

 

 

SAMO (RC); CASCATE FORGIARELLE

Uno dei luoghi più interni di tutto l’Aspromonte. Siamo nel cuore selvaggio del Parco, lontani da tutto e da tutti. Le Cascate Forgiarelle sono una destinazione particolare, immersa in una zona di riserva integrale (zona A). Già raggiungere l’inizio del trekking ci fa capire che ci stiamo addentrando nella montagna, per poi partire a piedi in un viaggio tra querce secolari, torrenti, caselli forestali di fortuna e soprattutto natura incontaminata. Siamo nel cuore delle foreste demaniali aspromontane, protette dall’ex Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestali) già dagli anni ‘70. L’itinerario lambisce quasi anche la zona che ospita un sito UNESCO riconosciuto di grande importanza, ovvero la faggeta di Valle Infernale. Sempre in zona, ma in una località segreta, vegeta Demetra, che con i suoi stimati quasi 1000 anni è la quercia datata più antica del pianeta, che l’Aspromonte ancora oggi custodisce. Il percorso ad anello è di media difficoltà, ma la vista delle cascate ripaga sicuramente la fatica. Si può accedere da Canovai, facendo richiesta ai Carabinieri Forestali oppure a piedi da diversi sentieri.

(FONTI: GUIDE UFFICIALI PARCO ASPROMONTE)

 

 

 

 

BIVONGI (RC); CASCATE DEL MARMARICO:

Le Cascate del Marmarico si trovano all’interno del Parco Regionale delle Serre e infatti, anche se fanno parte del comune di Bivongi ed è da qui che la maggior parte dei turisti le raggiungono, noi serresi siamo abituati a partire da Ferdinandea e raggiungere le Cascate del Marmarico a piedi, in un lungo percorso di trekking che dura l’intera giornata.Il fiume Stilaro affronta il vallone Folea con una serie di salti d’acqua e si precipita a valle formando la spettacolari cascate del Marmarico. La cascata, alta ben 114 metri, è formata da tre salti in successione, e termina in un laghetto dove in estate è possibile fare il bagno nelle acque tanto limpide quanto gelide.Il nome Marmarico deriva dalla parola dialettale “marmaricu” che vuol dire lento e pesante; è infatti questa la sensazione che lasciano queste acqua che sembrano quasi immobili nonostante il grande salto.

(FONTIE: www.vieniviadiqui.it)

 

 

 

 

 

 

SAN GIOVANNI DI GERACE (RC); PERCORSO NATURALISTICO LA SCIALATA

Il percorso naturalistico della “Scialata” (o del Torrente Levadìo) è un sentiero escursionistico montano situato nel territorio del Comune di San Giovanni di Gerace (RC).  Costeggiando a ritroso, in risalita, il tracciato del Torrente Levadìo, il sentiero conduce gli escursionisti fino alla sorgente di acqua oligominerale di Cannavarè, nei pressi dell’area pic-nic denominata “Scialata” . La Fiumara Levadìo, in tutto il suo percorso dalle sorgenti a valle, fino alla confluenza nel fiume Torbido, si caratterizza per il suo scorrere selvaggio e prepotente, attraversando fitti boschi e verdi radure alberate, creando salti e cascate tra enormi massi granitici. Nei tratti più a valle, la Fiumara lambisce distese di campi un tempo coltivati, in contrade disseminate di vecchi mulini ad acqua ormai in disuso. Il percorso della Scialata offre agli escursionisti la possibilità di costeggiare un bel tratto di questa affascinante fiumara calabrese, ammirandola nella sua prepotente discesa verso valle nel cuore di una natura verde e rigogliosa. Si tratta di uno dei percorsi naturali  più suggestivi tra quelli esistenti nella provincia di Reggio Calabria, accessibile anche agli escursionisti meno esperti e consigliato a tutti gli amanti della natura, del trekking, della fotografia naturalistica e delle passeggiate all’aria aperta. Le bellissime cascate offrono agli amanti dell’avventura l’opportunità di trovare un piacevole refrigerio nelle fresche acque della fiumara. Alberi secolari e cielo azzurro fanno da sfondo a quella che si può ben definire un’esperienza unica.

(FONTI: Comune di San Giovanni di Gerace)

 

 

 

CIVITA (CS); LE GOLE DEL RAGANELLO

Le Gole del Raganello regalano uno scenario tra i più belli, dov’è possibile praticare canyoning e torrentismo. Hanno inizio a quota 750 mt., nei pressi della sorgente Lamia e terminano dopo aver percorso 13 km nelle vicinanze del Ponte del Diavolo. Esse rappresentano di sicuro una delle emergenze ambientali più degne di essere visitate, si sviluppano tra montagne che sembrano mettere in atto giochi di equilibrio tra colori immutabili o varianti secondo la tavolozza che madre natura mantiene integra in questo angolo di Calabria. L’ambiente offre uno scenario bellissimo, specie nella parte bassa dove si osserva sia l’azione corrosiva delle acque, che ha inciso stupendi capolavori nella pietra, sia l’azione erosiva che ha creato strapiombi e verticalità. Numerosi sono gli ostacoli da superare, macigni di pietra scivolosi incastrati fra le acque gelide cascatelle e piccoli laghetti, piccole pareti da scavalcare e passaggi più larghi si alternano strettoie quasi buie, rischiarate da una sottile lama di luce, che penetra dall’alto, mentre di tanto in tanto grossi massi incastrati e tronchi d’albero movimentano lo scenario, creando degli scorci di orrida bellezza. L’ambiente è spettacolare soprattutto la forra del Raganello che richiama nelle sue Gole basse, il ricordo delle bolge dantesche, ma nello stesso tempo offre l’habitat ideale per i grandi rapaci e per piante tipiche ed uniche,così come offre per un verso una galleria di sculture naturali. Le Gole sono tecnicamente divise in tre tratti: Gole alte meglio conosciute come Gole di Barile, Gole basse o Pietraponte-Santa Venere-Civita, e i bacini del Raganello.

(FONTI: Comune di Civita)

BRANCALEONE (RC); CASCATA ALTALìA 

Il torrente Ziglia  conosciuta con il nome di Torrente Altalìa si origina a circa 8 km tra i comuni di Brancaleone e Staiti, convoglia le acque fluviali delle colline intorno all’altopiano di Campolico e riscende a valle tagliando le colline di Monte della Guardia e Monte Fucine (dove sorge la piccolissima frazione di Pressocito di Brancaleone) questo torrente riscende zigzagando a valle per strette gole dalla conformazione rocciosa davvero particolare creando dei salti meravigliosi ed incredibili, che nei periodi piovosi e fino alla fine della primavera creano delle cascate davvero affascinanti. Tutto questo ad una manciata di km dal centro di Brancaleone. Da località chiamata Frischìa si risale il greto della piccola fiumara che zigzagando nelle sue gole giunge fino ad un antico Mulino. Da questo punto in poi il percorso si fa sempre più impegnativo caratterizzato da una vegetazione di macchia mediterranea molto insidiosa, si superano alcune rocce dalle forme più variegate, e di li a breve si giunge sotto questa meravigliosa cascata che con i suoi 28 mt d’altezza regalerà la sensazione di trovarci in un qualsiasi luogo del cuore dell’Aspromonte.

Possiamo in definitiva considerarlo un itinerario medio/facile, completo e divertente, un mix fatto di storia, archeologia industriale e natura, caratterizzato da scenari mutevoli ma nel contempo surreali. L’aspetto più triste è che questa cascata si ammira soltanto dopo periodi molto piovosi, quindi è consigliabile sempre massima prudenza.

(FONTI: Kalabria Experience e Pro Loco di Brancaleone)

CATANZARO;  RISERVA NATURALE DELLE VALLI CUPE

La Riserva naturale delle Valli Cupe si trova nel cuore della Presila catanzarese, che coincide all’incirca con il settore sud-orientale del massiccio silano e della Sila rappresenta le ultime propaggini, che si prolungano nella corona collinare degradante verso la stretta fascia costiera che si affaccia al mare Ionio, proprio al centro dell’ampio golfo di Squillace. La particolare esposizione, unita alla vicinanza del mare, determina la presenza di numerosi microclimi, con alto grado di differenziazione su scala locale,  e di una vegetazione particolarmente ricca e variegata. Nella parte interessata da condizioni climatiche più marcatamente mediterranee, l’ambiente fisico della Presila si caratterizza per la presenza di pendici molto scoscese, gole e forre profonde, dove i vari corsi d’acqua, formando una serie di salti e cascate, creano degli habitat unici proprio in conseguenza dei particolarissimi microclimi che le condizioni ambientali concorrono ad instaurare. La fascia territoriale presa in esame rientra, dal punto di vista fitoclimatico, nella zona del Lauretum (dalla sottozona fredda alla sottozona calda)  dove la fase climax è rappresentata dalla lecceta e dall’oleo-lentisceto, con le loro varianti , nella zona del Castanetum e nella zona del Fagetum. La ricchezza di specie, indice di elevata biodiversità, rappresenta una formidabile risorsa ambientale e rende l’area particolarmente interessante dal punto di vista naturalistico. Un centinaio di spettacolari cascate alte fino 100 m è immerso in una cornice di vegetazione lussureggiante di tipo subtropicale, dove è possibile vivere l’esperienza unica di un bagno in acque limpide e incontaminate, alimentate da torrenti che scendono impetuosi attraverso le pendici montuose fino a raggiungere le acque cristalline del mar Ionio. La Cascata dell’Inferno è una delle più suggestive della Riserva: si trova infatti incastonata in una stretta gola con una pozza molto profonda. Di particolare valore naturalistico sono poi la Cascata delle Rupe, spettacolare salto d’acqua inciso in roccia granitica, arricchita dalla presenza di due felci tropicali molto rare (la Felcetta lanosa e la Pteride di Creta) e le Gole del Crocchio, nel tratto montano dell’antico fiume Arocha, dove tra l’altro è possibile ammirare la Felce regale, preziosa e rara pianta di antichissima origine e di grande valore botanico. Anche la cascata del Campanaro, di facile accesso, consente ai meno avvezzi all’escursionismo di immergersi in uno scenario naturale bellissimo e di forte impatto visivo. Nei dintorni della Riserva, soprattutto all’interno del Parco nazionale della Sila,  si trovano numerose altre cascate di notevole interesse, tra cui la Cascata delle Ninfe, del Tronco, della Pietra, dell’Anemone, del Frassino, del Faggio, dei Lamponi, del Lupo, dell’Aquila, delle Grotte e del Paradiso. Quest’ultima, con i suoi 100 metri, è una delle più alte di tutta la zona. Le profonde Gole del Crocchio sono scavate fra suggestive pendici rocciose sovrastate da un ricco manto boschivo. Il corso selvaggio del fiume Crocchio forma spettacolari salti d’acqua, intervallati da profonde e larghe pozze — conosciute con il termine dialettale di vulli dove, almeno in estate, chi ama l’ebbrezza del contatto con le acque limpide e pure dei torrenti montani, può fare un rinfrescante e salutare bagno. Sulle sponde del fiume è presente una ricca vegetazione ripariale con ontano, salice e qualche alloro, accompagnata da una lussureggiante presenza della rarissima Felce regale (Osmunda regalis), che contorna grossi massi e lastre di pietra granitica.

( FONTI: www.riservanaturalevallicupe.it)

ZAGARISE (CZ);  CASCATA DEL CAMPANARO

Della Riserva Naturale delle Valli Cupe fa parte, anche la Cascata del Campanaro,  immersa in una cornice molto suggestiva, dovuta al particolare colore della roccia su cui l’acqua scorre, tra felci e liane che donano al posto un aspetto simile alla foresta equatoriale. Si raggiunge percorrendo un sentiero che si inoltra in un bosco di lecci. Il breve sentiero che porta alle Cascate del fiume Campanaro, si trova sulla strada tra i comuni di Sersale e Zagarise. Prima di giungere alla cascata, lungo il sentiero, è possibile ammirare un pagliaro, tipica costruzione contadina, i resti di un ponte costruito nel secolo scorso e bombardato durante la seconda Guerra Mondiale (poi ricostruito da maestranze locali), una piccola cascata a più salti che termina in una graziosa pozza naturale e numerose specie di piante come quella dell’aspirina (salice) e l’albero della manna. Oltre alla principale cascata troviamo tre sorgenti e un “vullu” cioè una pozza d’acqua. Un antico documento del Ministero della Guerra conferma che in questo posto, all’epoca del brigantaggio, fu catturata una “mano” (cioè cinque) di pericolosissimi briganti.

 

 

 

MOLOCHIO (RC); CASCATE GALASIA E MUNDU

Galasia

Uno dei percorsi più suggestivi del Parco Nazionale dell’Aspromonte, per la presenza dei torrenti Balvi e Mundo che danno origine e forza alle cascate, principali protagoniste di questo viaggio. In questo contesto si è sviluppata una elevata biodiversità dell’ambiente naturale. Possiamo trovare il Tasso (albero dalla crescita lentissima), corbezzoli e allori di grandi dimensioni e un sottobosco con pungitopo e agrifogli, suoi quali troviamo erica rampicante e liane anche molto grandi. Contribuisce a rendere unico tale ambiente la presenza di Muschi, Licheni e Woodwardia radicans, una varietà di felci preistoriche enormi (fino 2 metri), riconducibili ad almeno 60 milioni di anni fa. La cascata Mundu fa un salto di 50 metri, il suo getto è impetuoso ma non molto largo, è incorniciato da felci e si è scavato lievemente un suo letto nella parete rocciosa.

 

 

 

ROCCAFORTE DEL GRECO (RC); CASCATA CALONERO

La Cascata Calonero sorge nel territorio di Roccaforte del Greco(RC). La zona in cui si trova la a cascata è stata interessata da un disastro che coinvolge l’intero bacino. Già nel 1910 il geografo R. Almagia aveva riconosciuto, sulla base dell’interpretazione della cartografia, in “completo sfacelo” questa località (dove troviamo una delle frane più grandi d’Europa ancora in attività). Durante l’estate il flusso dell’acqua è sensibilmente ridotto, ma d’inverno la cascata ha un getto di tutto rispetto, per una caduta perpendicolare di circa 70 metri. Il posto è di grande suggestione. La cascata in paese viene chiamata “Puzza Randi” (Grande Pozza) ma il suo nome in grecanico è Calònero (“Sogno Svanito”) (FONTI: Gente in Aspromonte)

PAPASIDERO (CS); RISERVA NATURALE DEL FIUME LAO

Nell’antichità il fiume era chiamato Laus (o Laos, Λαός in greco); era uno dei fiumi che segnava il confine tra i lucani e i bruzi. L’altro era il Chratis (Crati) nella parte terminale della foce, ma soprattutto lungo il corso del suo affluente Sybaris (Coscile), che nasce nel massiccio del Pollino, relativamente vicino alle sorgenti del Lao. Sboccava nel Sinus Laus (golfo di Policastro), nel Inferum mare. Pur avendo un regime spiccatamente torrentizio con notevolissime variazioni di portata (specialmente in autunno quando può dar luogo a piene imponenti), il Lao si distingue nettamente dagli altri corsi d’acqua della regione per la copiosità delle sue portate medie, ciò grazie alla notevole permeabilità di gran parte del suo bacino. Proprio per queste sue caratteristiche peculiari ed anche per la purezza delle sue acque e la lunghezza del suo tratto ingolato, il fiume è una meta frequentata dagli appassionati di rafting e canoa. Il Lao inoltre dà il nome alla Riserva naturale Valle del Fiume Lao, nel comune di Papasidero, istituita nel 1987 all’interno del parco nazionale del Pollino.La valle del fiume Lao è uno dei luoghi più incantevoli dove poter praticare il rafting in Calabria. Il fiume Lao è una delle mete preferite per chi ama gli ambienti fluviali. In particolare per i canoisti e per chi pratica rafting, è uno degli appuntamenti da non mancare. Il corso è bello, scorre in una gola selvaggia, c’è sempre acqua. Negli ultimi anni ha preso piede l’attività del Rafting, che permette di discendere il fiume su gommoni particolari detti “raft”, un modo suggestivo e spettacolare per recuperare l’antica via solitaria. (FONTI: www.pollinorafting.it )

 

CAULONIA (RC); FIUME ALLARO – CASCATE SAN NICOLA

Un’importante corso d’acqua calabrese è la fiumara dell’Allàro (Alaru in dialetto locale) che dà il nome a tutta la vallata nella quale scorre. Nasce nel comune di Fabrizia, lambisce Nordodipace, Mongiana e diversi altri paesini, sconfinando tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, per sfociare dopo oltre 25 Km sul mare Jonio nei pressi di Caulonia Marina. Particolarmente indicato per fare torrentismo grazie alla sua morfologia, le sue caratteristiche gole e le piccole cascate ma anche come percorso di itinerari escursionistici. Sulla riva della fiumara, nel territorio di San Nicola, una frazione di Caulonia, è presente l’ eremo di Sant’Ilarione (splendida struttura che sorge in posizione singolarissima su di uno sperone di roccia che si insinua in un’ansa della fiumara) punto di partenza del sentiero che permette di risalire l’alveo del torrente regalando stupore e meraviglia, avvolto completamente dalla natura nella serenità che solo certi luoghi sanno donare. Subito dopo del Convento troviamo le cascate di San Nicola, con laghetto annesso, formate da una briglia, attrattiva di molti visitatori nel periodo estivo. Aggirando la briglia la pista sterrata continua tra oasi naturali e tranquilli laghetti, tra paesaggi nascosti e le melodie delle scroscianti cascate, tra le bianche rocce a picco si incontra il vecchio mulino e delle case abbandonate a ricordo che questa zona un tempo era sfruttata per l’agricoltura. L’alveo continuerà a stringersi andando verso l’alto fino a diventare uno stretto varco tra gole di granito levigato da secoli d’acqua e detriti, al raggiungimento delle sorgenti. Una di queste denominata Gurna Nigra (Pozza Nera) è un’ampia vasca profonda contenente acqua dal colore particolarmente scuro che tante leggende popolari ha creato su questo luogo.  Gli studiosi sono incerti chi sia tra l’Allaro e il Torbido l’antico fiume Sagra teatro ai tempi della Magna Grecia (tra il 560 e il 535 a.C.) di una battaglia fra le città di Locri e Kroton con la vittoria dei primi. Gli eserciti si incontrarono sul fiume, dove i Locresi, confortati dall’apparizione dei Dioscuri (Castore e Polluce nella mitologia greca), si lanciarono in battaglia distruggendo i Crotoniati. L’Allaro potrebbe essere anche l’antico fiume Elleporo, da cui deriverebbe anche il suo attuale nome e da come afferma Cluverio che si trova nelle vicinanze di Castro Vitere (Castelvetere prima del 1863, odierna Caulonia). (FONTE: www.ascenzairiggiu.com)

 

AFRICO (RC);  CASCATE PALMARELLO

Nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte, a 1300 metri di altitudine,  rientrante nel comune di Africo, si può ammirare la cascata Palmarello. E’ forse la meno conosciuta tra le cascate aspromontane a causa delle difficoltà nel percorrere il ripido e scosceso crinale che consente di raggiungerla ma non per questo meno spettacolare delle altre. E’ generata dal torrente Aposcipo, il suo salto unico di circa 70/80 metri è il più alto del parco osservabile da un terrazzo naturale tra la fitta vegetazione di roveri e pini larici. Particolarmente spettacolare ammirare gli spruzzi creati dall’ acqua nei periodi di piena.

 

 

 

MAMMOLA (RC); LO SCHIOPPO DEL SALINO

Il territorio montano di Mammola, vasto circa novemila ettari, ricade all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte e nella catena delle Serre. Sono migliaia i turisti appassionati del trekking e della montagna che giungono da ogni parte durante tutto l’anno. Il torrente “Salino”, affluente del fiume Torbido, nasce dal monte Limina nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Si può risalire il torrente scegliendo il percorso più opportuno camminando sul bordo dell’alveo o in mezzo all’acqua, con agili salti sui massi esistenti. Il luogo è veramente incantevole con foreste dalla rigogliosa vegetazione ricca di lecci, ornielli ed erica. Il sottobosco è ricco di erica e di vari tipi di felce, tra le quali la “Woodwardia radicans”, specie rarissima che si trova in Aspromonte, solo in alcune zone umide o nelle vicinanze di cascate. Lungo il torrente “Salino”, caratterizzato dalla presenza di grandi massi granitici, crescono ontani maestosi che ombreggiano le limpide acque. Qui vengono a dissetarsi animali selvatici che scendono dalle montagne e talvolta si possono intravedere le trote e il granchio di acqua dolce. Risalendo s’incontra una radura dove un tempo gli scalpellini lavoravano la pietra granitica per fare gradini e portali per le case e macine per mulini e frantoi. Il torrente ha formato cascatelle, pozze e piccole anse dove un tempo le donne lavavano i panni. Nell’acqua inoltre, venivano messe a macerare il lino e la ginestra che le abili mani delle tessitrici mammolesi trasformavano in pregiati manufatti. Ancora oggi a Mammola alcune donne usano gli antichi telai per creare splendidi tappeti e copriletti con tinte e disegni di origine greca e bizantina. Dopo l’ultima ansa del torrente appare la splendida cascata detta “Schioppo di Salino” che, scorrendo tra gole di roccia ferrosa precipita con due salti dall’alto dei suoi 50 metri. Risalendosi dal lato destro la piccola cascata si arriva al laghetto dove, nelle calde giornate estive, si può anche fare il bagno.

 

SANTO STEFANO IN ASPROMONTE (RC); CASCATE TRE LIMITI

La cascata nella zona detta Tre Limiti, si trova a circa un chilometro e mezzo dalla Diga del Menta, un impianto la cui progettazione e realizzazione si è protratta dagli anni duemila al decennio successivo. Nella zona si ricorda la leggenda del lievito del Pane, all’inizio dei tempi si faceva il pane senza lievito. L’unica persona a conoscere il segreto della lievitazione era la Sibilla dell’Aspromonte, che come tutte le Sibille era donna della Sapienza, sacerdotessa e divinatrice, e aveva tra le sue allieve la Madonna bambina. Si narra che la piccola aveva notato con meraviglia il pane gonfio e fragrante che usciva dal forno della profetessa, molto più buono di quello basso e secco preparato dalla mamma, Sant’Anna. La bimba aveva notato che la Sibilla aggiungeva qualcosa all’acqua e alla farina e un giorno rubò un pezzo dell’impasto, lo appallottolò e lo nascose sotto un’ascella. La futura Vergine corse a casa, diede il lievito a sua madre e le insegnò a usarlo come aveva visto fare alla Sibilla. Grazie alla piccola Maria che rivelò i segreti della lievitazione, della conservazione e dello scambio del fermento, tutti gli umani cominciarono così a mangiare del buon pane che da allora si indico come pane fatto con il lievito “madre”. Da allora inoltre, dice la leggenda, gli umani hanno le ascelle cave. In questa zona è presente un “bosco vetusto”, risalenti a tempi antichissimi, si tratta del misto faggio-abete di Tre Limiti, fra Gambarie e la diga del Menta.

 

SANTA CRISTINA D’ASPROMONTE (RC); CASCATE TERESA E PAOLA

Il torrente “Calive” è uno dei tanti affluenti di destra del secondo grande fiume della Piana qual’è appunto il Petrace; esso nasce alle falde del monte “Misafumera” e con uno dei suoi rami iniziali costeggia i caseggiati dell’ex Sanatorio, posto sui piani di Zervò. Un’escursione di media difficoltà immerso completamente nella natura selvaggia dell’Aspromonte. Tra alberi giganti e natura incontaminata, la “cascata Teresa” e la “cascata Paola”, sono due salti di oltre quindici metri contornati da boschi di leccio che sgorgano in pozze di acqua cristallina. A pochi chilometri di distanza è invece possibile salire sul Cocuzzolo dei diavoli, un promontorio sul quale si arriva con una passeggiata alla portata di tutti. Una volta giunti in loco si potrà godere un panorama incantevole. Nelle vicinanze, inoltre, sarà possibile ammirare i ruderi dell’antica Santa Cristina.

(FONTI: turismoreggiocalabria.it)

 

OPPIDO MAMERTINA (RC);  CASCATE NINARELLO E SCHERNI 

Un itinerario naturalistico, panoramico ad anello, che si snoda sul territorio del Comune di Oppido con un dislivello da 680 a 1057 metri sul livello del mare. Escursione itinerante e selvaggia porterà a godere di due importanti cascate nei pressi di Piminoro. La prima, “U schicciu da cataratta”, è stata scoperta di recente esplorando il torrente Ferrandina, il cui corso d’acqua precipita con un salto di 37 m su una enorme pozza, proseguendo poco più giù con un altro piccolo doppio salto, per poi fluire dolcemente sul greto del torrente. Lungo il sentiero che si snoda  in un fitto bosco di lecci, spettacolari salti d’acqua, le cascate “Ninarello”, ne rappresentano la principale attrattiva, questa prende il nome dall’omonimo torrente, ed è un salto di 53 mt che finisce direttamente sulle rocce sottostanti, quest’ultima è una cascata più difficile da raggiungere. La cascata “Scherni”, invece è incastonata tra faggi secolari in una speciale cornice verde che la delimita.

(FONTI: Gente in Aspromonte)

 

CIMINA’ (RC); CASCATE CACCAMELLE

Le Caccamelle chiamate così perché ricordano i pentoloni in cui i pastori fanno il formaggio, oltre che per l’escursionismo, si prestano anche per attività di torrentismo. Il torrente Nessi che le alimenta ha creato nel corso degli anni una serie di schivoli e cascatelle che confluiscono in questo grande pentolone bianco.Un piccolo angolo di paradiso immerso e nascosto da un fitto bosco di lecci da cui penzolano esemplari di Clematis vitalba, la liana europea. Per raggiungere le cascatelle bisogna attraversare il paese di Ciminà, per salire verso la montagna e dopo poco, sulla strada troveremo il cartello che indica l’inizio del percorso. Il sentiero, attraversa boschi di macchia mediterranea, querce maestose, bagolari spaccasassi, valloni e vecchi ruderi. Circa a metà percorso attraverseremo Mandre Vecchie, località anticamente usate per pascere le greggi e successivamente stallarle negli ovili, detti “terrati’ con il sistema dei terrazzamenti. Proseguendo, prima di imboccare l’ultimo pezzo di sentiero che ci condurrà nella Fiumara Nessi e alle cascate, passeremo da una radura che tipicamente viene detta “Cunaggia”. Una volta giunti alla cascata la bellezza è disarmante, ci potremo rinfrescare nelle acque del torrente.

(FONTI: Club Alpino Italiano Sezione Aspromonte)

 

 

BOVA MARINA (RC);  SCHICCIO DI PERISTEREA

Percorrendo la SS 106 ionica da Reggil Calabria in direzione Taranto si raggiunge la piccola frazione di San Pasquale nei pressi di Bova Marina, in 10 minuti la loc. detta “u cuniculu”, da qui inizia il un percorso sul letto della fiumara San Pasquale, immersi nella natura incontaminata tra intrecci d’acqua e di roccie variegate, proseguendo verso il cuore della fiumara tra le testimonianze di insediamenti greci, romani, ebraici e bizantini, il paesaggio cambia e diventa più suggestivo. Sicuramente la primavera è il momento migliore per contemplare la straordinaria bellezza di questa fiumara, con l’esplosione di colori e di profumi. Lungo il percorso è possibile ammirare i ruderi di un antico mulino ad acqua. Dopo circa 3 km di cammino sul greto della fiumara si raggiunge la cascata “Peristerea” (antico nome greco), dov’è possibile (durante i mesi più caldi) anche fare un bagno nella sua pozza cristallina e freschissima.

(FONTI: Porpatima Trekking)

SAMO (RC); GOLE DELLA FIUMARA LA VERDE

La Fiumara ha origine non lontano da Montalto (1956mt s.l.m) e si nutre grazie ai suoi affluenti: il torrente Ferraina, il S. Gianni, il San Leo, il Pecuraru, lo Spruzzinna ed il Poro, oltre a tutte le sorgenti che durante il cammino si possono scorgere scendere dalla montagna. Tutti questi affluenti che hanno storie ed origini in luoghi dove ancora oggi aleggiano tradizioni, folklore popolare e leggende tutte da scoprire e conoscere.le maestose gole della fiumara La Verde, che si estendono per circa 3,5 km, con le alte pareti ornate da capelvenere (Capillus venus) e da rari esemplari di felci (Woodwardia radicans, Osmunda regalis e Pteris vittata).La fiumara è caratterizzata da un ampio letto ed è sovrastata da Ferruzzano antica e dalla fitta lecceta del Bosco di Rudina. Dal greto della fiumara si raggiunge un ponte, attraversato il quale, sulla destra, ci si ritrova di fronte ad alte pareti rocciose, i canyon aspromontani. L’ampio letto della fiumara, dopo circa 800 m, va restringendosi e le pareti che lo delimitano si avvicinano fino quasi a sovrapporsi e a serrare la fiumara in stretti meandri. Lungo il percorso si succedono uliveti, leccete e zone con fitta vegetazione arbustiva, fino a giungere al primo strapiombo di Monte Palecastro, al quale seguiranno da un alto quelli di Giulia e di Ladro, dall’altro le nudi pareti di Serro Schiavone, Monte Schiavo ed Arioso. Alla fine delle gole, la fiumara riprende tutta la sua maestosa ampiezza.

(FONTI: Kalabria Experience)

 

 

 

 

 

Potremmo anche menzionare numerosi altri siti di interesse naturalistico e fluviale, ma non finiremo più di raccontare e stupire i nostri lettori. Anche i numerosi laghi ed invasi artificiali Calabresi sono in grado di offrire,  affascinanti percorsi naturalistici ed esperienze incredibili che abbiamo preferito elencare qui, lasciando un po di curiosità e soprattutto un invito per andare a visitarli…

  • Lago Arvo (Cosenza) 
  • Lago Ampollino (Cosenza-Crotone-Catanzaro) 
  • Lago Cecita (Cosenza)
  • Lago Ariamacina (Cosenza)
  • Lago Angitola (Vibo Valentia)
  • Lago dell’Esaro (Cosenza)
  • Lago La Penna (Cosenza)
  • Lago di Tarsia (Cosenza)
  • Laghetto Zomaro (Reggio Calabria)
  • Laghetto delle Ginestre (Reggio Calabria)
  • Lago Menta (Reggio Calabria)

Molti di questi itinerari necessitano però di un supporto professionista, pur essendo itinerari affascinanti ed in alcuni casi facili, si consiglia sempre di farsi guidare da professionisti e guide esperte ed abilitate.

SI RINGRAZIANO PER LE IMMAGINI FORNITE:

Antonio Aricò, Massimo Collini, Massimo Tamborra, Carmine Verduci, Nuccio Sebastiano Romeo, Girolamo Fonte, Antonio Cuzzilla, Aspromonte Wild, e tutti gli autori delle descrizioni dei percorsi.

L’ITINERARIO “LE VIE DELL’ACQUA” E’ A CURA DEL SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE – PRO LOCO DI BRANCALEONE – Progetto: ITINERARI CULTURALI E SOSTENIBILITA’  SOCIALE NEL MERIDIONE D’ITALIA (Antonino Guglielmini, Alessandra Sgrò).

 

Borghi della Calabria; tra Tradizioni e Cultura Vinicola

FARE IL VINO, OPERAZIONI E PRATICHE DI CANTINA

La viticoltura in Calabria, iniziò al primo millennio a.C.. La penisola calabrese una volta era abitata dai Bruzi, popolazioni di stirpe indoeuropea che penetrarono in diverse ondate in Italia. I Greci a partire dal 750 a.C., colonizzarono le coste della Calabria, che chiamavano “Enotria” (Terra del Vino). Con le colonie Greche si andarono a creare due tipi di viticoltura, una di origine Italica, all’interno, e l’altra di origine Greca, lungo le coste, con centri di commercio a Crotone, Locri e Sibari.

Con l’arrivo dei Romani, si andavano a sostituire i vini greci. Alla fine dell’800, la fillossera portò alla completa distruzione dei vigneti della Calabria. Per molti anni la Calabria ha offerto vini da taglio sia ai produttori italiani che esteri.

La Calabria è, infatti, portavoce di un’antica tradizione vitivinicola locale

Nonostante poco meno del 10% del territorio regionale sia pianeggiante e gli ettari vitati ammontino a meno di 20.000, la regione Calabria è capace di distinguersi ed affermare la sua posizione nel ricco quadro vinicolo italiano grazie agli alberelli di uve autoctone come il Gaglioppo e il Magliocco ed il duro lavoro di piccoli artigiani vignaioli che credono costantemente nell’ enorme potenziale di questa terra baciata dal sole.

La Pigiatura

La pigiatura è la prima operazione meccanica a cui viene sottoposta l’uva dopo la vendemmia, ed ha la funzione di estrarre il succo e la polpa dagli acini, dando vita al mosto che dovrà poi essere trasformato in vino. E’ un’operazione particolarmente delicata che va eseguita con attenzione. E’ fondamentale che le uve non abbiano subito una pigiatura per schiacciamento durante il trasporto, cosa che potrebbe innescare fermentazioni indesiderate. La pigiatura viene condotta su uve intere utilizzando delle macchine chiamate pigiatrici.

La pigiatrice più utilizzata è quella a rulli, costituita da un telaio sul cui fondo sono poste una o due coppie di rulli di pressatura in gomma alimentare la cui rotazione schiaccia delicatamente gli acini. A seguire viene condotta la separazione dei raspi dal pigiato, ossia la diraspatura. Questa operazione può venir condotta direttamente sulla massa immediatamente prima della pigiatura utilizzando delle macchine particolari dette pigiadiraspatrici.

 

I Palmenti Rupestri

I palmenti rupestri sono gli antichi impianti di produzione vinicola. Essi sono ricavati su rocce di arenaria, spesso isolate, nelle quali erano solitamente scavate due vasche comunicanti tra loro da un foro.

I palmenti erano destinati alla pigiatura delle uve ed alla fermentazione dei mosti.
Il mosto ottenuto viene trasferito in fermentatori di legno, dove i lieviti aggiunti attiveranno la fermentazione del mosto a contatto con le vinacce (bucce e vinaccioli).

 

La Macerazione

La fase che contraddistingue la vinificazione in rosso da quella in bianco è  la macerazione. Nel mondo enologico il termine “macerare” indica il contatto della parte solida, quindi le vinacce, con la parte liquida, il mosto. Fondamentale per il prodotto finale che si vorrà ottenere è il tempo di macerazione: nei primi giorni del processo si estraggono soprattutto gli antociani, che conferiscono colori molto intensi in poco tempo. Nei giorni a seguire, parte dei pigmenti vengono riassorbiti dalle bucce andando a indebolire l’intensità del colore, ma conferendo più struttura e gusto al vino grazie ad una maggior estrazione di tannini e altri composti polifenolici. La quantità di colore e di sostanze estratte dipende sempre e comunque anche dal vitigno. Alcune varietà “cedono” più antociani di altre, etc. Durante la fermentazione le vinacce vengono spinte in alto dall’anidride carbonica e formano uno strato chiamato cappello, il quale limita il contatto con la parte liquida. Per rompere il cappello e rimescolare le bucce con tutto il mosto si ricorre dunque a diverse tecniche.
Una di esse è la follatura, un tempo era realizzata a mano con un bastone con cui si spingevano in basso le bucce dentro il mosto.

La Torchiatura

Una volta fermentata l’uva si procede con la fase della Torchiatura. La torchiatura può essere fatta con un torchio meccanico o idraulico. Vengono sistemate nel torchio le vinacce bagnate e vengono pressate, in questo modo avviene la separazione delle bucce dal succo d’uva. Le bucce pressate possono essere impiegate per fare ottimi distillati oppure per concimare in modo naturale il terreno.

Dopo la torchiatura, si ripone il succo d’uva nelle botti di legno o nei contenitori di acciaio inossidabile a seconda della destinazione finale del nostro vino.

 

 

A cura dei Volontari del Servizio Civile Universale- Pro Loco di Brancaleone APS

Progetto grafico a cura di Leonardo Condemi
Materiale fotografico a cura di Domenico Rodà

Page 1 of 2

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén