Tag: archeologia

La tomba rupestre “a putridarium” di Ferruzzano (RC)

In una visita con un gruppo di appassionati ricercatori, ci siamo recati tra i comuni di Ferruzzano e Bruzzano dove erranti tra le argille si rinvengono dei grossi massi di arenaria. Un blocco di arenaria presenta una porticina con evidenti interventi umani, compresi quasi subito che si trattava di una tomba a seduta detta “a putridarium”.

Insolita come del resto quasi tutta l’archeologia di queste aree incognite. La località dove è stata ricavata la tomba, presenta un doppio toponimo, quello di “Judarìo” e quello meno conosciuto ma riportato sulle carte antiche di “Crimi” o da alcuni detto “Crini”.

Le fonti antiche descrivono queste zone come ricche di conventi e luoghi di culto. Purtroppo non è facile ritrovare dalle scarne notizie e dalle trasformazioni del territorio le località o i resti di conventi o chiese. Servono a poco anche i toponimi, in quanto negli anni o cambiano in maniera radicale o vengono posizionati altrove, causando nel ricercatore dubbi ed incertezze. La tomba a grotticella ritrovata in quello che attualmente si può descrivere come luogo franoso in un contesto disadorno, non aiuta di certo a fornire elementi di leggibilità del sito.

Ricognizione

Nei giorni seguenti ho effettuato diverse visite controllando il territorio che si presenta di natura argillosa di origine pliocenica, con diverse fasi di movimenti franosi nelle aree a maggior degrado si vanno formando dei mammilloni di argille policrome. San Crimi o Judario, è sito poco al disotto della strada per Ferruzzano. Si presenta come un’ampia vallata che declina verso il mare, lambendo le località costiere di Marinella e Pietra Cuzzafri o Cuzzufri (lo scoglio) La distanza tra la località d’interesse ed il mare è meno di tre chilometri, mentre è posta a metà strada tra Bruzzano e Ferruzzano, poco discosta dall’attuale chiesa – santuario della “Madonna della Catena”.

Dalla strada per Ferruzzano, superando di 150 m la chiesa Madonna della Catena, si trova sulla destra, una pista in terra battuta che passa proprio sopra in quello che si legge, come un’antica struttura muraria, dove a nord, quasi inglobata dalla struttura, emerge una formazione rocciosa d’arenaria, dove è stata scavata la tomba.

I massi d’arenaria staccatesi dalla formazione dove poggia il vecchio paese di Ferruzzano, sono erranti, in scivolamento verso sud-ovest. Non distante dalla roccia, dove si trova la tomba, si rinvengono altri massi della stessa natura.

Tutti i massi, compreso la tomba, presentano tagli ottenuti col metodo della “Ghalia” (da pronunciarsi Chalia come per Chorio- o Xalia), vale a dire un sistema atavico in uso ancora oggi che prevede lo scavo di fori circolari secondo una linea di probabile frattura dei massi. Per ogni tipo di masso si attua un foro diverso. Per i graniti è sufficiente una fitta rete di fori profondi pochi cm distanziati tra loro tra 15 ai 30 cm.  Per le arenarie, i fori sono più grandi e profondi, distanziati tra loro dai 40 cm ai 70 cm.  Il taglio delle rocce serviva per ottenere macine per mulini e mole per arrotini. Purtroppo è evidente su un masso vicino che altre tombe sono state distrutte.

La stessa tomba presenta i fori per il taglio sia sulla parte sommitale che nella parte esposta ad est. Solo la buona sorte ha conservato almeno questa testimonianza.

Da una ricognizione effettuata nella vallata Orlando Sculli e Luigi Saccà hanno recuperato molti frammenti ceramici di diverse epoche. Molti sono i tegoloni sia di produzione greca arcaica che successiva, altri di epoca romana ed altri tardo antichi. Un frammento di un’anfora del tipo K L II (uguale a quelli dello scavo della sinagoga di Bova Marina in località San Pasquale). Altri dello stesso periodo di produzione nord africana. Forse serve ricordar che il toponimo principale della località è Judario e questo potrebbe supportare la presenza di una comunità ebraica tra il V ed il VII sec. d. C. Le altre ceramiche tra l’altro le più abbondanti sono tutte medievali, alcune grossolane sono da cucina, altre presentano decorazioni a volte di un certo livello sia cromatico che figurativo. Sono queste invetriate o figuline con decorazioni a strisce policrome.  Un solo frammento presenta tracce di colore rosso come spesso nelle anfore bizantine.

La grotticella

La porta d’ingresso si presenta di forma rettangolare. In alto sono evidenti degli incavi per incastrare una porticina, entro questi rimangono segni impasto di sabbia e calce, come se almeno uno stipite fosse stato murato. L’interno è scavato a forma di forno con cielo più alto rispetto alla circonferenza del cerchio che compone lo scavo della tomba dove gli alloggiamenti per i feretri sono a forma di sedia con uno scavo nella seduta atto a raccogliere i liquidi della decomposizione. Tutte le tre sedute presenti all’interno della tomba convogliano il putrido verso una canaletta che fuoriesce dalla porticina. La capacità delle sedute è limitata ad un corpo femminile. Già all’ingresso sul montante interno della porticina si fa notare chiaramente il graffito-bassorilievo di un’ala che corre su tutta la superficie della cupola e scende verso le sepolture come l’atto di proteggere, come una chioccia fa con i suoi pulcini.

E’ da evidenziare che un graffito a forma di casetta con tetto a doppio spiovente sormonta la porticina della tomba. L’ipotesi suffragata dai dati frammentari, ed il tipo di sepoltura, riporta alla mente la presenza di suore francescane; più tardi dette Clarisse da Santa Chiara. Queste nella maniera più umile, com’era il loro stile di vita, hanno voluto rappresentare il ricordo della loro provenienza. La Porziuncola è la chiesa che Francesco restaurò e fece il centro della sua preghiera. Nella stessa detta anche Santa Maria degli Angeli; Chiara accettò la fede e istituì il suo gruppo di suore che all’inizio erano seguaci del modo di vivere Francescano. La Porziuncola all’ingresso, sulla parte destra della porta, presenta un affresco con una figura d’angelo. Qui nella tomba, l’angelo protegge le sepolte. La pratica della sepoltura a putridarium per le clarisse è nota soprattutto per Ischia dove si trova una tomba con diverse sepolture a seduta. In Calabria l’uso delle sepolture a seduta con putridarium è conosciuto per Gerace e Bova dove si sta ancora lavorando all’interno della cattedrale. Una notizia riferitami a voce, vuole che anche il castello di Potamìa nel comune di San Luca ospiti sepolture simili, che siano state saccheggiate nel passato.

Il Toponimo San Crimi o San Crini.

La tomba si trova accanto alla contrada di “Trovatura” (ed anche questo toponimo andrebbe indagato, infatti nel dialetto locale è legato a ritrovamenti archeologici.). Si diceva per Paolo Orsi che dovunque andasse” faceva le trovature”. Il toponimo ricorrente è di Judario ma molti suddividono il toponimo in San Crimi o San Crini. Nella lingua slava ed armena troviamo l’equivalente di San Klmni con le tre prime lettere congiunte da un trattino, questo secondo una nota di P.G. Kalemkiarian potrebbe essere una forma di genitivo deformato di Klemes ovvero San Clemente [6]. Nella lingua locale è plausibile che tale nome possa aver subito la trasformazione che oggi conosciamo. Non escludiamo altre forme dal greco come lo stesso nome per Clemente. Il nome armeno, se accertato, ancora porterebbe una prova sulla presenza degli armeni in Calabria, le fonti antiche forniscono molti elementi d’indagine. Noi stessi abbiamo nel recente passato indagato il territorio tra Brancaleone Superiore e Bruzzano dove insiste il toponimo di “Rocca degli Armeni” e la presenza di una chiesa rupestre con pavone inciso ai piedi della croce.

Gli armeni sono arrivati probabilmente come forza militare prima del nono secolo. Molte fonti rilette danno per scontato che gli armeni raggiunsero la nostra terra per difenderla dalle avanzate arabe.

Conclusioni

La lettura critica delle fonti antiche, ma soprattutto la ricerca sul territorio, sta fornendo risultati esaltanti al fine della conoscenza della nostra storia delle nostre radici. La segnalazione di Sculli di un manufatto atipico sul territorio di Ferruzzano, ha innescato un nuovo interesse culturale per l’intera area che è Calabro- Greca, ma anche è stato territorio dove molte culture si sono incontrate. La toponomastica sopravvissuta al cambiamento linguistico riserva ancora molte sorprese. La fiumara “La verde” nel dialetto locale è detta dagli anziani “da virdi “ a “virdi o lavirdi”. Il toponimo Alaverdi è il nome di una città armena al confine con la Georgia. Altri toponimi ricordano appartenenze linguistiche ormai dimenticate. Le sepolture a seduta, sono conosciute (e molto sconosciute) anche per altri luoghi della Calabria.

La documentazione anche se incompleta e frammentaria, con la tipologia di sepoltura di San Crimi, mette una tessera al grande mosaico dell’archeologia locale. L’attribuzione ad un monastero femminile dei minori francescani della tomba, è suffragato dalla capacità di contenimento delle sedute. Nei fatti le sedute sono atte a contenere dei corpi minuti come quelli femminili. Si sa che per lo stesso periodo, le clarisse erano presenti, nella Croazia nella Romania e nel nord Africa, dove le umili francescane portavano l’amore per il creato secondo gli insegnamenti di Francesco. Che cosa o chi abbia fermato all’ultimo istante gli scalpellini, dall’azione distruttiva della tomba? Qualcosa è successo, se quegli uomini hanno smesso la loro opera di distruzione di una testimonianza che un giorno potrebbe rivelarsi indicativa. Una datazione per la tomba potrebbe esser quella suggerita dai documenti sopraccitati cioè 1200 poiché già nel 1280 il sito era considerato antico, sempre che non esistesse un altro monastero più antico che le clarisse occuparono. Sta di fatto che una struttura è ancora evidente a partire dalla tomba con direzione est, sono visibili chiaramente dei grossi muri semi interrati dove un altro muro moderno taglia il disegno di quello antico. La Ghalia (suono gutturale) è il cuore di legno marcito per disgregazione causate da agenti fungini. Viene essiccata a volte infornata per renderla asciutta.  Posta nei fori effettuati per il taglio delle rocce, è pressata con l’ausilio di cunei e successivamente bagnata. L’acqua riporta la ghalia al suo volume iniziale causando una pressione lungo la linea dei fori considerevole. I cunei calati con forza oltre che a mantenere l’umidita del legno, sono anch’essi causa di ulteriore pressione. Dopo alcuni giorni, gli scalpellini, determinano il punto adatto e con un colpo di mazza ben assestato, la roccia si stacca con un taglio netto. Inutile dire che le fonti per quanto le abbiamo cercate, non ne abbiamo trovate. Le poche e frammentarie non sono molto d’aiuto, poiché spesso in contraddizione tra loro. E’ però necessario utilizzare come linea guida quanto scritto da Domenico Minuto nel suo Catalogo, il quale fornisce una lettura critica e “visitazione” dei luoghi menzionati. L’unica nota che si avvicina alla realtà del sito rupestre, è, però controversa in quanto colloca altrove quanto la certezza archeologica afferma. Sia l’Ughelli che altri autori menzionano un monastero femminile per il territorio, collegandolo sia ai Santi Anargiri Cosma e Damiano sia Santa Venere. L’anno citato è tra il 1279 ed il 1280. Una nota riporta il monastero ormai fatiscente da abbandonare dove vivono frati minori francescani, riportata dal vescovo di Gerace O. Pasqua nel 1574 al 1591. Nella nota di Pasqua si parla di un monastero femminile dei francescani minori. Altre note si riferiscono alla presenza di monasteri femminili che già nel 1282 erano antichi

 Di  Sebastiano Stranges

 

Bibliografia:

  • Domenico Minuto-Catalogo dei monasteri e luoghi di culto tre Reggio e Locri-Thesaurus ecclesiarum Italiane-ed. storia e Letteratura Roma 1977.
  • Ferdinando Ughelli- Italia Sacra sive de Episcopis Italiane et Insularum vol.IX –Romae typis Vitalis Mascardi -1662
  • Minuto –ogc.pag 275
  • Antonio Oppedisano-Cronistoria della Diocesi di Gerace- Gerace superiore-1934
  • L.B. Zekiyan-Le Colonie Armene del Medio Evo In Italia e le Relazioni Culturali Italo-Armene (Materiale per la storia degli armeni in Italia) Estratto Atti Simposio Internazionale di Arte Armena 1975 Venezia San Lazzaro 1978.
  • Sebastiano Stranges –Armeni in Calabria-Due toponimi un castello ed una chiesa-Calabria Sconosciuta Anno XIX-Gennaio Marzo 1996

La stele di Mitra a Melito Porto Salvo, un patrimonio da salvare

Oggi vi vogliamo raccontare di un tesoro davvero poco conosciuto della nostra Calabria, ma molto affascinante e misterioso, infatti, un semplice masso con sopra alcuni segni ormai consumati dal tempo, nasconde segreti incredibili. Stiamo parlando della Stele di Mitra, scoperta da Sebastiano Stranges e dal compianto Luigi Saccà, un monumento megalitico situato nel comune di Melito di Porto Salvo che si ritiene risalga al periodo neolitico. È una grande lastra di pietra rettangolare di circa 3 metri di altezza e 2 metri di larghezza, su cui sono scolpiti una serie di simboli presenti nel culto di Mitra, tra cui il Dio che uccide un toro, un serpente e un cane.

Ma perché proprio questi animali?

Il mito racconta che Mitra affronta un giorno il Dio Sole e lo sconfigge. Il Sole allora stringe con lui un patto di alleanza donandogli la corona raggiata. In un’altra sua eroica impresa, Mitra cattura il Toro e lo conduce in una caverna. Ma il Toro fugge e il Sole, memore del patto, gli invia un corvo quale suo messaggero con il consiglio di ucciderlo. Grazie all’aiuto di un cane, Mitra, con in capo un berretto frigio, raggiunge il Toro, lo afferra per le froge e gli pianta un coltello nel fianco uccidendolo (tauroctonia). Allora dal corpo del toro nascono tutte le piante benefiche per l’uomo e in particolare dal midollo nasce il grano e dal sangue la vite.

Ma Ahriman, che nel culto mitriatico rappresenterebbe il Dio del Male, invia un serpente e uno scorpione per contrastare questa profusione di vita. Lo scorpione cerca di ferire i testicoli del toro mentre il serpente ne beve il sangue, ma invano. Alla fine il Toro ascende alla Luna dando così origine a tutte le specie animali. Così, Mitra e il Sole suggellano la vittoria con un pasto che rimarrà nel culto sotto il nome di agape. Purtroppo la pietra è da millenni esposta alle intemperie e probabilmente il corvo e lo scorpione sono scomparsi come anche il sole e luna presenti di solito nella rappresentazione del dio. Sebastiano Stranges ci ha tenuto a comunicarci che in alto a sinistra per chi osserva, anche se ormai poco visibile, è presente il demone del male che osserva la scena.

 

MITRAISMO CULTO MISTERICO PERSIANO E ANATOLICO DEL 14 SEC. a. C.

È tutto basato sulla precessione degli equinozi che è il risultato dello spostamento dell’asse attorno al quale la Terra compie la sua rotazione, perpendicolare all’eclittica, come accade a una trottola, ritornando nella posizione originale ogni 25772 anni. Nel corso di circa duemila anni la costellazione in cui il sole si trova nell’equinozio di primavera cambia entrando in un’altra “era astrologica” che prende il nome dalla nuova costellazione, con un moto retrogrado rispetto alla successione dello zodiaco come lo conosciamo (Toro, Ariete, Pesci, Acquario, ecc.). Questo movimento processionale, che nella cosmologia geocentrica degli antichi veniva da questi attribuito alle stelle, richiedeva una divinità sovra-cosmica responsabile di esso e uccidendo il Toro celeste, Mitra ribadisce il suo potere sull’intero cosmo e consente al segno successivo, l’Ariete, di diventare “Casa del Sole” all’equinozio di primavera, evento astronomico che accadde due millenni prima dell’avvento di Cristo (la nascita di Gesù è l’evento che rappresenta il passaggio dall’età dell’Ariete a quella dei Pesci).

La morte del toro genera la vita e la fecondità dell’universo, il quale essendo pure il segno di Venere, mostra come l’astro con la sua energia, rigenera la natura. Lo storico delle religioni David Ulansey osservò che tutti i personaggi che compaiono nel mito corrispondono a costellazioni: la tauroctonia la si ritrova raffigurata nel cielo lungo l’equatore celeste al momento in cui gli equinozi erano in Toro (costellazione equinoziale di primavera) e Scorpione (costellazione equinoziale d’autunno).

 

 

In successione si trovano il Toro, il Cane Minore, l’Idra (serpente) la Coppa (entra nel mito mitriaco successivamente nella regione Reno-Danubiana, poiché originariamente si hanno solo figure animali), il Corvo, lo Scorpione. Chiaro che i formatori del mito hanno fatto collimare la struttura celeste con la tauroctonia. Sopra il Toro c’è la costellazione del Perseo, che pienamente si adatta a Mitra, col berretto frigio, e l’atteggiamento vincente sul Toro.

 

Foto: Sebastiano Stranges, Gian Franco Iaria

Testi: Associazione Mistery Hunters

AgroArcheoTrekking; il 10 Dicembre alla scoperta della Torre di Galati

L’escursione prevede un itinerario facile, anche adatta ai meno avvezzi all’escursionismo, la meta sarà uno dei siti storici che caratterizzano l’entroterra di Brancaleone “Torre di Galati o Marafioti nelle immediate campagne alle spalle della piccola frazione costiera di Galati. Un entusiasmante viaggio alla scoperta del patrimonio storico e culturale dell’entroterra Brancaleonese, che si appresta ad essere uno degli itinerari

DESCRIZIONE DEL PERCORSO:

Ci si ritroverà presso la piazzetta della Chiesa Maria SS Addolorata di (sulla SS106), da qui divideremo le automobili in due gruppi e si partirà con il cammino direttamente dal cimitero di Galati (che dista 700mt)dove un sentiero su strada mulattiera ci condurrà tra le campagne dell’entroterra con la visione di ampi panorami sulla vallata della fiumara Aranghìa e verdeggianti colline.

Dopo circa 50 minuti di cammino arriveremo ai ruderi di una piccola chiesetta e di li a pochi passi alla Torre Galati , un edificio del 1600 con una storia millenaria, e la possibilità di visitare i suoi interni, che saranno aperti al pubblico in questa occasione straordinaria, conosceremo la storia e le vicissitudini legate alla sua funzione e l’architettura.

Nel primo Pomeriggio, ci si rimetterà in cammino per il rientro, attraversando un secondo itinerario che ridiscenderà le colline attraverso un sentiero di terra battuta, fino a giungere a Galati. Dove poco prima di arrivare nel piccolo centro abitato, ammireremo stupendi calanchi di marna bianca che ci appariranno come un paesaggio lunare. Terminata la visita al geosito, proseguiremo verso il cuore del centro abitato e faremo rientro alle auto, attraverso la SS106 per 700mt oltre il centro abitato.

Tale escursione sarà finalizzata a sostegno del progetto di riqualificazione del sentiero naturalistico alla torre, con l’installazione di idonea segnaletica per la fruizione di tutti!

 

PROGRAMMA:

ORE 09:30 INCONTRO/RADUNO PIAZZALE CHIESA MARIA SS ADDOLORATA DI GALATI (QUI LE COORDINATE GPS)
ORE 10:00 INIZIO ESCURSIONE  (DA LOC. CIMITERO DI GALATI)
ORE 12:30 PRANZO A SACCO
ORE 14:00 PERCORSO PER IL RITORNO
ORE 15:30 VISITA GEOSITO DEI CALANCHI E ARRIVO A GALATI (TRANSFERT CON LE AUTO)
ORE 16:00 ARRIVO PREVISTO AL PUNTO DI PARTENZA

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE: 15€ (a sostegno di un progetto per la riqualificazione del sentiero naturalistico alla Torre)

 

SCHEDA TECNICA:

Difficoltà: T/E (Turistica Escursionistica)
Impegno: Medio/facile
Lunghezza percorso: 4km (ad anello) A/R
Dislivello 160mt
Durata complessiva: 6h soste incluse
Fondo: terra battuta
Presenza d’Acqua: NO

 

ATTREZZATURA CONSIGLIATA:

Scarpe da trekking, Zainetto leggero, abbigliamento adatto al periodo (a strati) , k-way, impermeabile, cappellino, acqua (almeno 2lt), snack o spuntino- pranzo a sacco, macchina fotografica o smartphone.

 

PRENOTAZIONE VIA WHATSAPP AL NUMERO 347-0844564 (inviando nome e cognome) ENTRO E NON OLTRE L’8 DICEMBRE 2023

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén