Tag: calabria Page 1 of 10

Domenica 17 Novembre alla scoperta della Rocca di Varva

Domenica 17 Novembre Kalabria Experience vi porta alla scoperta della Rocca di Varva (San Pantaleone) comune di San Lorenzo (RC). Si tratta di una particolare conformazione rocciosa dalle sembianze umane, immersa fra le campagne caratterizzate da colture di ulivi e vigne, dove lo sfondo del mare fa da specchio alla bellezza delle colline circostanti.

L’itinerario è particolarmente suggestivo:

Giungendo al borgo di San Pantaleone, lasceremo le auto all’inizio del centro abitato, lungo la strada che porta al piccolo Santuario della Madonna della Cappella, dove avremo modo di visitare questo luogo, ricco di storia e immerso nella pace, che custodisce un’antica effigie della “Madonna col Bambino” del XI secolo. Terminata la visita percorreremo la stradina che costeggia il piccolo cimitero e che, in leggera salita, ci porterà all’imbocco del sentiero che raggiunge la Rocca di Varva. Sosteremo brevemente ai piedi della grande roccia per conoscere le sue peculiarità con la nostra guida e geologa Serena Palermiti. Riprenderemo il cammino su un sentiero, recentemente sistemato ed allestito con cartellonistica, grazie ad un progetto di sistema finanziato con fondi regionali (percorsi ecosostenibili e di geoturismo esperienziale nel bacino della Fiumara Amendolea) tra la bellezza della campagna e meravigliosi scorci paesaggistici sulla vallata dell’Amendolea arriveremo al borgo di San Pantaleone dove faremo pausa con una degustazione presso Terra Madre Home Restaurant a base di gastronomia tipica del luogo a km zero. Termineremo la nostra esperienza con l’affaccio alla piazzetta del paese che guarda verso la Fiumara Tuccio.  Ritorno alle macchine vicine al punto di arrivo e rientro.

PROGRAMMA:

Ore 09:00 Raduno e registrazione presso Bar Shelby Melito di Porto Salvo (imboccando il bivio verso Bagaladi, San Lorenzo, Roccaforte del Greco, Chorio)
QUI https://maps.app.goo.gl/PiQXMEhjEEUwPkhF6
Ore 9:30 Partenza (con le proprie auto) per San Pantaleone
Ore 10:00 Inizio escursione
Ore 13:30 Pranzo presso Terra Madre Home Restaurant e Asd
Ore 15:30 Arrivo al punto di partenza e saluti

 

SCHEDA TECNICA:

Percorso ad anello
Difficoltà: E (Escursionistica)
Tipologia sottofondo: 40% asfalto, 60% sterrato.
Lunghezza: 5.7 km
Durata: 2.30 h (a piedi, senza soste)
Dislivello: 154 metri (quota max. 621m – quota min. 467m s.l.m.)
Presenza d’acqua: all’inizio del percorso e alla fine (San Pantaleone)

 

ADESIONE AL PROGRAMMA:

Inviare un messaggio whatsapp al numero 3470844564 con nome e cognome del partecipante.

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

15€ che comprende guida professionista e 15€ quota per la degustazione tipica (da versare direttamente presso il punto di incontro)
*Per allergie o intolleranza alimentari particolari, si prega di comunicare in fase di iscrizione.

 

ATTREZZATURA CONSIGLIATA:

Scarponcini da trekking, abbigliamento a cipolla e comunque adatto al periodo climatico, bastoncini da trekking (facoltativi), K-way, cappellino, scorta d’acqua (almeno 1,5lt), smartphone e macchina fotografica (facoltativi)

 

*L’escursione si effettuerà con un numero minimo di 12 partecipanti ed un massimo di 25.

*Il partecipante, si assume la sua responsabilità avendo preso visione del programma, esonerando l’organizzazione da ogni tipo di responsabilità, civile o penale che possa insorgere durante la giornata.

*I bambini possono partecipare se seguiti e sotto la responsabilità di un adulto

*In caso di condizioni meteo avverse, l’escursione sarà rinviata e comunque comunicata dall’organizzazione entro il sabato.

 

La tomba rupestre “a putridarium” di Ferruzzano (RC)

In una visita con un gruppo di appassionati ricercatori, ci siamo recati tra i comuni di Ferruzzano e Bruzzano dove erranti tra le argille si rinvengono dei grossi massi di arenaria. Un blocco di arenaria presenta una porticina con evidenti interventi umani, compresi quasi subito che si trattava di una tomba a seduta detta “a putridarium”.

Insolita come del resto quasi tutta l’archeologia di queste aree incognite. La località dove è stata ricavata la tomba, presenta un doppio toponimo, quello di “Judarìo” e quello meno conosciuto ma riportato sulle carte antiche di “Crimi” o da alcuni detto “Crini”.

Le fonti antiche descrivono queste zone come ricche di conventi e luoghi di culto. Purtroppo non è facile ritrovare dalle scarne notizie e dalle trasformazioni del territorio le località o i resti di conventi o chiese. Servono a poco anche i toponimi, in quanto negli anni o cambiano in maniera radicale o vengono posizionati altrove, causando nel ricercatore dubbi ed incertezze. La tomba a grotticella ritrovata in quello che attualmente si può descrivere come luogo franoso in un contesto disadorno, non aiuta di certo a fornire elementi di leggibilità del sito.

Ricognizione

Nei giorni seguenti ho effettuato diverse visite controllando il territorio che si presenta di natura argillosa di origine pliocenica, con diverse fasi di movimenti franosi nelle aree a maggior degrado si vanno formando dei mammilloni di argille policrome. San Crimi o Judario, è sito poco al disotto della strada per Ferruzzano. Si presenta come un’ampia vallata che declina verso il mare, lambendo le località costiere di Marinella e Pietra Cuzzafri o Cuzzufri (lo scoglio) La distanza tra la località d’interesse ed il mare è meno di tre chilometri, mentre è posta a metà strada tra Bruzzano e Ferruzzano, poco discosta dall’attuale chiesa – santuario della “Madonna della Catena”.

Dalla strada per Ferruzzano, superando di 150 m la chiesa Madonna della Catena, si trova sulla destra, una pista in terra battuta che passa proprio sopra in quello che si legge, come un’antica struttura muraria, dove a nord, quasi inglobata dalla struttura, emerge una formazione rocciosa d’arenaria, dove è stata scavata la tomba.

I massi d’arenaria staccatesi dalla formazione dove poggia il vecchio paese di Ferruzzano, sono erranti, in scivolamento verso sud-ovest. Non distante dalla roccia, dove si trova la tomba, si rinvengono altri massi della stessa natura.

Tutti i massi, compreso la tomba, presentano tagli ottenuti col metodo della “Ghalia” (da pronunciarsi Chalia come per Chorio- o Xalia), vale a dire un sistema atavico in uso ancora oggi che prevede lo scavo di fori circolari secondo una linea di probabile frattura dei massi. Per ogni tipo di masso si attua un foro diverso. Per i graniti è sufficiente una fitta rete di fori profondi pochi cm distanziati tra loro tra 15 ai 30 cm.  Per le arenarie, i fori sono più grandi e profondi, distanziati tra loro dai 40 cm ai 70 cm.  Il taglio delle rocce serviva per ottenere macine per mulini e mole per arrotini. Purtroppo è evidente su un masso vicino che altre tombe sono state distrutte.

La stessa tomba presenta i fori per il taglio sia sulla parte sommitale che nella parte esposta ad est. Solo la buona sorte ha conservato almeno questa testimonianza.

Da una ricognizione effettuata nella vallata Orlando Sculli e Luigi Saccà hanno recuperato molti frammenti ceramici di diverse epoche. Molti sono i tegoloni sia di produzione greca arcaica che successiva, altri di epoca romana ed altri tardo antichi. Un frammento di un’anfora del tipo K L II (uguale a quelli dello scavo della sinagoga di Bova Marina in località San Pasquale). Altri dello stesso periodo di produzione nord africana. Forse serve ricordar che il toponimo principale della località è Judario e questo potrebbe supportare la presenza di una comunità ebraica tra il V ed il VII sec. d. C. Le altre ceramiche tra l’altro le più abbondanti sono tutte medievali, alcune grossolane sono da cucina, altre presentano decorazioni a volte di un certo livello sia cromatico che figurativo. Sono queste invetriate o figuline con decorazioni a strisce policrome.  Un solo frammento presenta tracce di colore rosso come spesso nelle anfore bizantine.

La grotticella

La porta d’ingresso si presenta di forma rettangolare. In alto sono evidenti degli incavi per incastrare una porticina, entro questi rimangono segni impasto di sabbia e calce, come se almeno uno stipite fosse stato murato. L’interno è scavato a forma di forno con cielo più alto rispetto alla circonferenza del cerchio che compone lo scavo della tomba dove gli alloggiamenti per i feretri sono a forma di sedia con uno scavo nella seduta atto a raccogliere i liquidi della decomposizione. Tutte le tre sedute presenti all’interno della tomba convogliano il putrido verso una canaletta che fuoriesce dalla porticina. La capacità delle sedute è limitata ad un corpo femminile. Già all’ingresso sul montante interno della porticina si fa notare chiaramente il graffito-bassorilievo di un’ala che corre su tutta la superficie della cupola e scende verso le sepolture come l’atto di proteggere, come una chioccia fa con i suoi pulcini.

E’ da evidenziare che un graffito a forma di casetta con tetto a doppio spiovente sormonta la porticina della tomba. L’ipotesi suffragata dai dati frammentari, ed il tipo di sepoltura, riporta alla mente la presenza di suore francescane; più tardi dette Clarisse da Santa Chiara. Queste nella maniera più umile, com’era il loro stile di vita, hanno voluto rappresentare il ricordo della loro provenienza. La Porziuncola è la chiesa che Francesco restaurò e fece il centro della sua preghiera. Nella stessa detta anche Santa Maria degli Angeli; Chiara accettò la fede e istituì il suo gruppo di suore che all’inizio erano seguaci del modo di vivere Francescano. La Porziuncola all’ingresso, sulla parte destra della porta, presenta un affresco con una figura d’angelo. Qui nella tomba, l’angelo protegge le sepolte. La pratica della sepoltura a putridarium per le clarisse è nota soprattutto per Ischia dove si trova una tomba con diverse sepolture a seduta. In Calabria l’uso delle sepolture a seduta con putridarium è conosciuto per Gerace e Bova dove si sta ancora lavorando all’interno della cattedrale. Una notizia riferitami a voce, vuole che anche il castello di Potamìa nel comune di San Luca ospiti sepolture simili, che siano state saccheggiate nel passato.

Il Toponimo San Crimi o San Crini.

La tomba si trova accanto alla contrada di “Trovatura” (ed anche questo toponimo andrebbe indagato, infatti nel dialetto locale è legato a ritrovamenti archeologici.). Si diceva per Paolo Orsi che dovunque andasse” faceva le trovature”. Il toponimo ricorrente è di Judario ma molti suddividono il toponimo in San Crimi o San Crini. Nella lingua slava ed armena troviamo l’equivalente di San Klmni con le tre prime lettere congiunte da un trattino, questo secondo una nota di P.G. Kalemkiarian potrebbe essere una forma di genitivo deformato di Klemes ovvero San Clemente [6]. Nella lingua locale è plausibile che tale nome possa aver subito la trasformazione che oggi conosciamo. Non escludiamo altre forme dal greco come lo stesso nome per Clemente. Il nome armeno, se accertato, ancora porterebbe una prova sulla presenza degli armeni in Calabria, le fonti antiche forniscono molti elementi d’indagine. Noi stessi abbiamo nel recente passato indagato il territorio tra Brancaleone Superiore e Bruzzano dove insiste il toponimo di “Rocca degli Armeni” e la presenza di una chiesa rupestre con pavone inciso ai piedi della croce.

Gli armeni sono arrivati probabilmente come forza militare prima del nono secolo. Molte fonti rilette danno per scontato che gli armeni raggiunsero la nostra terra per difenderla dalle avanzate arabe.

Conclusioni

La lettura critica delle fonti antiche, ma soprattutto la ricerca sul territorio, sta fornendo risultati esaltanti al fine della conoscenza della nostra storia delle nostre radici. La segnalazione di Sculli di un manufatto atipico sul territorio di Ferruzzano, ha innescato un nuovo interesse culturale per l’intera area che è Calabro- Greca, ma anche è stato territorio dove molte culture si sono incontrate. La toponomastica sopravvissuta al cambiamento linguistico riserva ancora molte sorprese. La fiumara “La verde” nel dialetto locale è detta dagli anziani “da virdi “ a “virdi o lavirdi”. Il toponimo Alaverdi è il nome di una città armena al confine con la Georgia. Altri toponimi ricordano appartenenze linguistiche ormai dimenticate. Le sepolture a seduta, sono conosciute (e molto sconosciute) anche per altri luoghi della Calabria.

La documentazione anche se incompleta e frammentaria, con la tipologia di sepoltura di San Crimi, mette una tessera al grande mosaico dell’archeologia locale. L’attribuzione ad un monastero femminile dei minori francescani della tomba, è suffragato dalla capacità di contenimento delle sedute. Nei fatti le sedute sono atte a contenere dei corpi minuti come quelli femminili. Si sa che per lo stesso periodo, le clarisse erano presenti, nella Croazia nella Romania e nel nord Africa, dove le umili francescane portavano l’amore per il creato secondo gli insegnamenti di Francesco. Che cosa o chi abbia fermato all’ultimo istante gli scalpellini, dall’azione distruttiva della tomba? Qualcosa è successo, se quegli uomini hanno smesso la loro opera di distruzione di una testimonianza che un giorno potrebbe rivelarsi indicativa. Una datazione per la tomba potrebbe esser quella suggerita dai documenti sopraccitati cioè 1200 poiché già nel 1280 il sito era considerato antico, sempre che non esistesse un altro monastero più antico che le clarisse occuparono. Sta di fatto che una struttura è ancora evidente a partire dalla tomba con direzione est, sono visibili chiaramente dei grossi muri semi interrati dove un altro muro moderno taglia il disegno di quello antico. La Ghalia (suono gutturale) è il cuore di legno marcito per disgregazione causate da agenti fungini. Viene essiccata a volte infornata per renderla asciutta.  Posta nei fori effettuati per il taglio delle rocce, è pressata con l’ausilio di cunei e successivamente bagnata. L’acqua riporta la ghalia al suo volume iniziale causando una pressione lungo la linea dei fori considerevole. I cunei calati con forza oltre che a mantenere l’umidita del legno, sono anch’essi causa di ulteriore pressione. Dopo alcuni giorni, gli scalpellini, determinano il punto adatto e con un colpo di mazza ben assestato, la roccia si stacca con un taglio netto. Inutile dire che le fonti per quanto le abbiamo cercate, non ne abbiamo trovate. Le poche e frammentarie non sono molto d’aiuto, poiché spesso in contraddizione tra loro. E’ però necessario utilizzare come linea guida quanto scritto da Domenico Minuto nel suo Catalogo, il quale fornisce una lettura critica e “visitazione” dei luoghi menzionati. L’unica nota che si avvicina alla realtà del sito rupestre, è, però controversa in quanto colloca altrove quanto la certezza archeologica afferma. Sia l’Ughelli che altri autori menzionano un monastero femminile per il territorio, collegandolo sia ai Santi Anargiri Cosma e Damiano sia Santa Venere. L’anno citato è tra il 1279 ed il 1280. Una nota riporta il monastero ormai fatiscente da abbandonare dove vivono frati minori francescani, riportata dal vescovo di Gerace O. Pasqua nel 1574 al 1591. Nella nota di Pasqua si parla di un monastero femminile dei francescani minori. Altre note si riferiscono alla presenza di monasteri femminili che già nel 1282 erano antichi

 Di  Sebastiano Stranges

 

Bibliografia:

  • Domenico Minuto-Catalogo dei monasteri e luoghi di culto tre Reggio e Locri-Thesaurus ecclesiarum Italiane-ed. storia e Letteratura Roma 1977.
  • Ferdinando Ughelli- Italia Sacra sive de Episcopis Italiane et Insularum vol.IX –Romae typis Vitalis Mascardi -1662
  • Minuto –ogc.pag 275
  • Antonio Oppedisano-Cronistoria della Diocesi di Gerace- Gerace superiore-1934
  • L.B. Zekiyan-Le Colonie Armene del Medio Evo In Italia e le Relazioni Culturali Italo-Armene (Materiale per la storia degli armeni in Italia) Estratto Atti Simposio Internazionale di Arte Armena 1975 Venezia San Lazzaro 1978.
  • Sebastiano Stranges –Armeni in Calabria-Due toponimi un castello ed una chiesa-Calabria Sconosciuta Anno XIX-Gennaio Marzo 1996

30 Giugno Beach Trekking sulla Costa dei Gelsomini (Brancaleone-Capo Spartivento)

Kalabria Experience, Pro Loco di Brancaleone e Caretta Calabria Conservation con il Patrocinio dell’Ente di Parchi Marini Regionale Costa dei Gelsomini e Ass. Calabria Condivisa ha organizzato per domenica 30 Giugno 2024 una fantastica esperienza, unica sul territorio regionale, sulle tracce delle tartarughe marine, nel tratto di spiaggia di maggior nidificazione (Brancaleone – Capo Spartivento), lo farà con questo straordinario beach trekking per tutti!

Vivremo in prima persona il delicato ed appassionante lavoro svolto dai volontari dell’Associazione Caretta Calabria Conservation scoprendo la flora tipica e la bellezza delle dune del tratto di costa attraversato.

Un crescendo di emozioni e paesaggi che solo la costa jonica sa regalare! Come tutti sappiamo l’Associazione Kalabria Experience da alcuni anni si occupa di valorizzare il territorio Calabrese e l’Aspromonte in generale, ma questa escursione punta a dare un forte significato al territorio che di patrimonio montano e marino ne è altrettanto ricco!

L’occasione sarà infatti quella di contribuire fattivamente, aiutando le associazioni che si occupano di promuovere e difendere il territorio, con le loro attività, ambientali e culturali ovvero Caretta Calabria Conservation e Pro Loco di Brancaleone APS il quale devoluto sarà interamente destinato alle loro attività ambientali, e culturali.

 DESCRIZIONE GENERALE:

Appuntamento presso lo storico Lido Liberty sul lungomare di  Brancaleone Marina  dove avverrà la registrazione dei partecipanti. Dopo aver organizzato le auto per il ritorno, partiremo immergendoci a piedi nudi completamente sulla spiaggia che km dopo km ci regalerà l’opportunità di conoscere la biodiversità marina lungo il nostro cammino.

Durante il tragitto ammireremo i paesaggi delle colline circostanti, che con la luce pomeridiana si coloreranno d’oro, in forte contrasto con l’azzurro del mare, e ci soffermeremo ad osservare le specie floreali della costa, con un occhio rivolto verso il lavoro dei volontari dell’Associazione Caretta Calabria Conservation, che ci illustreranno gli aspetti fondamentali della loro mission.

Giunti dunque a Galati, non passeranno inosservati i filari di agave che dividono la spiaggia dalla terra ferma, in un mix di suggestioni davvero forti!

 

PROGRAMMA:

Ore 17:29 Raduno e registrazione partecipanti a Brancaleone LIDO LIBERTY (LINK POSIZIONE GOOGLE).
Ore 17:40 partenza
Ore 20:30 circa, arrivo a Galati – fine escursione e trasferimento con le auto a Brancaleone marina

 

SCHEDA TECNICA:

Escursione di tipo: T/E (Turistica/Escursionistica)
Difficoltà: medio/facile
Adatta ai bambini: Si (purchè accompagnati dai propri genitori)
Lunghezza percorso: 5km
Presenza d’acqua: NO (rifornirsi alla partenza)
Iscrizioni a numero chiuso: min. 15 e max 30 partecipanti

Quota di partecipazione:

10 a persona (la quota che sarà devoluta all’Associazione Caretta Calabria Conservation e alla Pro Loco di Brancaleone per le sue finalità sociali e ambientali).

 

EQUIPAGGIAMENTO CONSIGLIATO:

Scarpe comode sandali chiusi (meglio da beach trekking) NO CIABATTE! Indumenti leggeri e adatti al periodo, cappellino, occhiali da sole, crema protezione solare, barrette energetiche (facoltativo), scorta d’acqua (almeno 1,5lt), zainetto per eventuale abbigliamento di ricambio, giacca a vento per la sera, sacchetto porta rifiuti e macchina fotografica.

 

COME PARTECIPARE:

Telefonare o inviare messaggio WhatsApp al numero 3470844564 entro e non oltre il 29 Giugno fornendo il proprio nome e cognome.

 

Ogni partecipante presa visione dell’itinerario descritto e delle attività in essere, accetta di aderire deliberatamente sollevando l’organizzazione da ogni responsabilità civile o penale che potrebbe derivare durante l’escursione.

 

 

 

Domenica 19 Maggio, alla scoperta di Roghudi Vecchio

Domenica 19 Maggio Kalabria Experience vi porta alla scoperta di Roghudi Vecchio, un luogo che continua ad affascinare e attrarre numerosi visitatori.

Roghudi fu abbandonato negli anni ’70 a causa di un’alluvione, da quel momento il paese cominciò a trasferirsi verso la costa e subire di conseguenza una lenta agonia.

La nostra esperienza propone un itinerario che consentirà a tutti di ammirarne la vera essenza di questo borgo abbandonato, attraverso momenti di riflessione Proveremo ad affrontare i temi più importanti che legano gli episodi di abbandono urbano dei paesi e delle terre d’Aspromonte.

DESCRIZIONE:

  • L’appuntamento sarà a Bova Marina (presso lo Stadio Comunale), dopo le registrazioni si partirà alla volta di Roghudi via Campi di Bova (1.300mt) attraversando il suggestivo passo della Zita a 1.000mt di altitudine.
  • Prima di arrivare al borgo fantasma faremo sosta ad ammirare le splendide e misteriose “Caldaie del Latte e la Rocca del Drako” a cui sono legate delle antichissime leggende.
  • Una volta ripartiti altri 15min in auto e arriveremo a Roghudi, dove parcheggeremo in uno spazio apposito.
  • Proseguiremo a piedi e silenziosamente per le vie del Borgo abbandonato assaporando la vera essenza di questo luogo che ancora respira, ancora ci parla e ci racconta la vita dei suoi abitanti.
  • Un tuffo nel passato, in un passato recente che ancora è possibile ammirare attraverso l’uscio di qualche casa, abbandonata in fretta, dove le cose di tutti i giorni impolverate ed ancora al suo posto ci trascineranno in atmosfere d’altri tempi.
  • Il punto centrale del borgo è la sua chiesetta dedicata a San Nicola posta al centro del paese, dove un pergolato di vite ci accoglierà in un’atmosfera particolare e dove consumeremo il nostro pranzo.
  • Nel primissimo pomeriggio ripartiremo in auto per il rientro, rifacendo la stessa strada dell’andata.

 

SCHEDA TECNICA:

Escursione di tipo: T (Turistico)
Difficoltà: Facile
Dislivelli: nessuno
Lunghezza percorsi: brevi soste con lunghezze medie (50mt-200mt)
Condizioni percorso: Vicoli, stradine.

 

PROGRAMMA GENERALE:

Ore 09:00 Raduno e registrazione partecipanti a Bova Marina (Stadio Comunale) coodinate google https://maps.app.goo.gl/NWSTcpv4iu4Nw7D26
Ore 09:15 Partenza per Roghudi (in auto)
Ore 10:00 Sosta alle Caldaie del Latte e Rocca del Drago
Ore 12:00 Arrivo a Roghudi Vecchio e visita al borgo
Ore 13:30 Pausa pranzo (a sacco)
Ore 14:30 Partenza per il rientro
Ore 15:30 Arrivo a Bova Marina e saluti

(L’itinerario prevede circa 55Km complessivi A/R in auto, consigliamo di far rifornimento di carburante a sufficienza prima di partire)

 

PER PARTECIPARE:

Adesioni aperte per un massimo di 20 partecipanti inviando un messaggio whatsapp al numero: 3470844564 entro e non oltre Sabato 18 maggio comunicando i propri nominativi

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

10€ a testa
5€ per i minori sotto i 12 anni se accompagnati

 

EQUIPAGGIAMENTO CONSIGLIATO:

Scarpe da trekking, indumenti di ricambio, K-way o giacca a vento, abbigliamento da montagna (meglio se a strati), scorta d’Acqua, pranzo a sacco , barrette energetiche.

E’ SEVERAMENTE VIETATO:

Entrare dentro le abitazioni, portare via oggetti, utensili o qualunque cosa dalle case abbandonate, allontanarsi dal gruppo.

 

QUESTA ESPERIENZA NON PREVEDE FORMULE ASSICURATIVE CONTRO INFORTUNI, PERTANTO CHI PARTECIPA LO FA A TITOLO PERSONALE ESONERANDO L’ORGANIZZAZIONE DA OGNI EVENTUALE RESPONSABILITA’ CIVILE O PENALE.

 

Il giorno dell’Ascensione Usi, Riti, Credenze in Calabria

Qualche ora prima del canto del gallo, alla sola luce di “’a stiddha d’a matina” le contadine son partite di buonora, camminando lentamente, nella strada che oltrepassa il calvario. Chi ha un paniere incrociato al braccio, chi una falce o un bastone per “annettare” la via, intanto tra una chiacchiera e l’altra, hanno raggiunto una scarpata ripida e pietrosa, un po’ fuori paese, alla quale tornano abitualmente , ogni anno, prima del sorgere del sole del giorno solenne della Ascesa al cielo di Nostro Signore. Tanto cammino, per perpetuare un ancestrale rito, che hanno visto fare alle mamme e alle nonne, e che loro con dedizione continuano, un po’ per buon auspicio, un po’ per superstizione, ma soprattutto in ricordo di quando “cotrareddhe” impazienti aspettavano il giorno della Ascensione per andare al mattino presto dalla mano della mamma assieme alle altre comari e vicine di casa alla ricerca della “fortunella.”

U jornu d’a ‘scensiona” quaranta giorni dopo Pasqua, si ricorda la definitiva salita al cielo di Gesù Risorto e rappresenta simbolicamente l’Esaltazione di Gesù Cristo risorto.

La notte tra “‘a vijilia e ‘u jornu da Scenziona” è una delle tante notte magiche dell’immaginario popolare calabrese, nella quale si possono ottenere presagi, e le piante, come avviene per il 24 giugno, hanno proprietà magiche, benefiche e ben auguranti. Nel giorno dell’Ascensione, infatti, era tradizione recarsi prestissimo, prima dell’alba, per trovare e raccogliere i rametti verdeggianti di alcune piante grasse, comunemente dette “erba dell’ascensione”, “erbicella” “santa erva” oltre che “erba della fortuna”, o semplicemente “’a fortunella”. Solitamente si tratta di piante grasse appartenenti alla famiglia delle Sedum cepacee.

A Catanzaro, la credenza vuole che andasse raccolta in luoghi da dove non si vedeva il mare.

Le donne che portavano avanti questa tradizione tramandano oralmente anche delle formulette magiche e invocazioni da recitare per buon augurio al momento del ritrovamento:

– Bona trovata Santa Erba, quandu Jesu jia ppe terra.  Ti guardau e ti benedissa, ricordati sant’erva chi ti dissa?

Dopo il segno di croce, a ringraziamento del ritrovamento e a concessione di poterla raccogliere, qualcuno continua a recitare:

Eu ti scippu santa erva, quandu Jesu jìa ppe terra, ti guardau e ti benedissa,arricordati cchi ti dissa.

A questo punto “erbiceddha da fortuna” veniva raccolta accuratamente, cercando di sfilarla con tutta la radice, e facendo attenzione nella scelta e raccolta di rametti più lunghi e vividi. Successivamente, veniva riposta in setacci o panieri, per facilitarne il trasporto. I primi raggi del sole festivo esorcizzavano le forze del male che agivano di notte ed illuminavano l’altare della Chiesa invitando ad assistere alla prima messa domenicale. Il sole vivo ricordava, infatti, Gesù Risorto ed asceso al cielo in tutto il suo splendore. Non si era degni di vedere quella luce e perciò l’erba era considerata santa perché, attraverso di essa si poteva volgere lo sguardo a Dio. Prima di portarla in casa o di donarla si preparava a un mazzetto, poi una scrollatina a mezz’aria per liberare l’erba santa dal terriccio, dagli insetti o da altre impurità. C’era chi prima di portarla a casa era solito farla benedire in chiesa alla Messa solenne della Domenica di Ascensione. Poi una volta portata presso le abitazioni, era addobbata con un nastrino rosso o bianco. Legata a una cordicella, veniva appesa in un luogo per lo più in penombra della casa, solitamente al capezzale del letto, al quadro della sacra famiglia o proprio vicino al crocifisso.

Qualcuno disponeva in più punti della casa, anche dove c’erano anziani o bambini.

L’erba della Ascensione era una messaggera, si utilizzava principalmente per ottenere dei presagi. Il rametto della piantina veniva infatti posizionato in testa in giù, e se dopo un po’ di giorni tendeva a salire o fioriva era ben augurante altrimenti se fosse rimasto “a testasutta” o  appassito del tutto avrebbe preannunciato guai in vista, sfortuna, e situazioni avverse. Bisognava aspettare sette, venti, o quaranta giorni a seconda della credenza dei vari paesi, per osservare attraverso il posizionamento che nei giorni ha assunto la “fortunella” per interpretare il presagio.

Oltre all’erba dell’ascensione, nella stessa giornata c’era chi raccoglieva e preparava dei mazzetti con fiori di sambuco (‘u maju) e  di ginestra spinosa (a spina santa).

Una volta preparati i mazzetti con “‘u maju, a spina santa e anche l’erva da fhurtuna” venivano portati in chiesa per la benedizione e poi posizionati e appesi dietro la porta di casa per buon augurio e a protezione dell’abitazione. A Cropani, nella giornata dell’Ascensione, si perpetuava un atto di devozione molto originale. Dopo essersi confessati, ci si ritrovava in paese per la recita del Santo Rosario, rigorosamente con lo sguardo rivolto verso il mare:

Bruttu nemicu, pera de ccà /  ‘un venire nè mo’ e nè mai / mancu all’ura da morte mia / ca iu dicu centu voti

Jesù, Jesù, Jesù ( per cento volte).

 Chi bella jurnata ch’ è chissa /  sagghe ‘ncelu Gesù Cristu /  l’aduramu e lu salutamu  / la grazza ca volimu ci la cercamu  / ci la cercamu vulentieri / ppè li sui sacri misteri.

 E vui tutti celesti siti / tutti li sette l’apariti / tutti li sette l’ addumati / davanti l’Eternu Patre.

A Chiaravalle si tramanda un racconto che cerca di spiegare le doti divinatorie di questa piantina grassa:  Gesù, nel salire al cielo, benedisse questa erba perchè, contrariamente a tutte le altre che volgono la loro cima in basso, questa la rivolse in alto, verso il suo creatore. Da allora crebbe spontanea e rimase, quasi sempreverde, emettendo una miriade di fiorellini piccolissimi e bianchi, tendenti al giallino e vagamente profumati.  Potevano raccoglierla tutti, anche i bambini, ma chi voleva compiere questo atto di devozione doveva comunque essere delegato dal capo famiglia, o da una persona anziana. L’incaricato si levava all’alba e nell’uscire di casa, volgeva gli occhi al cielo dicendo: ”Sì fhice juornu piaciendu a Dio. A nuddhu salutu cchiù prima e’ Tia  Stiddha e’cielu  Curuna e’  Campu , Gloria a Patrhe fhjgghju e Spiritu Santu!”

Tale rito come tanti altri sono stati abbandonati e dimenticati, come i fuochi propiziatori della vigilia dell’Ascensione.

In occasione della festa della Ascesa al Cielo di Ns Signore, in alcuni centri della provincia di Reggio Calabria avveniva la distribuzione del latte prodotto in questa solennità, che un tempo era donato dagli allevatori pastori e “massari” ai poveri e, in genere, o a chiunque ne avesse fatto richiesta.

Tale gesto pare che trovasse la sua origine da una leggenda, in base a cui un pastore nel giorno dell’Ascensione avendo rifiutato di regalare del latte ad una donna povera, che lo aveva richiesto, quando si mise a lavorarlo si accorse che esso non “quagghjava”, come punizione divina per il suo rifiuto e vide così sfumare nel nulla tutta la produzione del latte di quel giorno.  Da quel momento in poi, per consentire una produzione regolare per l’intero anno, il latte che veniva prodotto il giorno dell’Ascensione, come gesto propiziatorio, non doveva più essere lavorato e neppure coagulato, bensì donato interamente ai poveri! Il latte diveniva così un alimento rituale per la festa dell’Ascensione, molto probabilmente perchè simbolo di purezza e veniva assunto come ingrediente basilare di diversi piatti tipici, come le minestre, le paste, (i tagliolini) ,che venivano cucinate nel latte, anzichè nell’acqua, sia in versione salata, che  dolce!

 

Di Andrea Bressi

L’antica abbazia della Madonna della Lìca a Pietrapennata- Palizzi (RC)

Il territorio di Palizzi custodisce innumerevoli gioielli dell’antichità e siti di interesse storico-naturalistico-culturale. Oggi vi portiamo alla scoperta dell’antico monastero di Santa Maria della Lica, che testimonia la forte spiritualità di questi luoghi, un tempo frequentati e pullulanti di popoli e genti ci lasciano in eredità testimonianze antiche e importanti per capire la ricchezza di un territorio che i tempi moderni hanno sprecato, distrutto, dimenticato.

Il santuario di tradizione bizantina, presenta segni murari dell’età normanna e giungono fino al XVII sec. Il suo nome deriva da quello della contrada in cui sorge e pare, anche per l’esistenza nella zona di un tempio dedicato ad Apollo Licio. Fino ai primi del 1800 ad Alica, il giorno 8 maggio di ogni anno, si teneva una fiera di bestiame in onore della Madonna. nella chiesa parrocchiale dello Spirito Santo a Pietrapennata frazione di Palizzi. Purtroppo oggi, l’abazia è in stato di rudere, si tratta di una chiesa e di un monastero incastonati in una vallata amena, e consiste in un complesso architettonico rimaneggiato più volte durante i secoli, con brani murari riferibili a diversi periodi storici, dal più antico, risalente presumibilmente al XII secolo, fino al XVII-XVIII secolo.

La chiesa era un edificio a navata unica, di circa 6×13mt (in un rapporto di uno a due tra larghezza e lunghezza) con abside orientata, e forse praticati in periodo successivo un Prothèsis e un Diaconicòn. Nel XVII secolo è stato addossato al muro meridionale il campanile, si tratta di una costruzione molto slanciata ed elegante, curata nei particolari com’è possibile apprezzare dal doppio ordine e dalla cornice di mattonelle policrome. Quest’ultimo particolare decorativo lo rende molto simile al campanile della chiesa di San Sebastiano dell’Amendolea. un campanile a doppio ordine con una cornice di mattonelle policrome, simile a quello della chiesa di S. Sebastiano di Amendolea e di S. Salvatore di Cataforio.

Tra il secolo XVII e quello successivo, venne costruito, esternamente alla chiesa e ruotato rispetto ad essa, verso nord-est, un altro ambiente che potrebbe riferirsi alla sacrestia, di cui parla Mons. Contestabile nel 1670 come opera da completarsi. Sul porticato addossato alla parete meridionale si notano pochi resti di cui una porzione di arcone che, per la sua struttura muraria, è attribuibile al XII secolo. A circa 9mt dal muro meridionale e ad una quota inferiore di circa 1,5mt, vi sono dei poderosi setti murari.

Molte sono le teorie sull’etimologia del termine Alica, alcune dettate dal grande archeologo e storico “Domenico Minuto” asseriscono che il termine “Alica è Alicia” si trovavano già nel XVII° secolo e sembrano avvalorare la certezza che in quell’epoca nella bovesìa il significato della parola volgare “lega o Liga” era meno nota dell’attuale termine greco “Alìthia” termine che ancora oggi è comune nell’area Ellenofona anche nelle varianti di Alìsia e Alìa che significa appunto “la verità”. Altra ipotesi avanzata è che potesse derivare dal Greco lukòs che significa “bosco” a sottolineare la natura remota del luogo.

Quando la chiesa fu fondata, presumibilmente nel XII secolo, presentava una pianta a navata unica e un’abside finale. Oggi è difficile identificare la collocazione originaria dell’abside sia a causa dell’alta vegetazione sia a causa di un ambiente quadrangolare, costruito presumibilmente tra il XVII e il XVIII secolo, che si è sovrapposto alla struttura che alcuni studiosi ritengono sia stata la sacrestia. Probabilmente prima ancora della costruzione della cosiddetta sacrestia era stato eretto il campanile.

Fino al 1887 questa chiesa ha conservato un bellissimo simulacro di marmo bianco d’alabastro a mezzobusto raffigurante la Madonna con Bambino del XV secolo e attribuita alla scuola del Gagini, che poi fu trasferita e si trova tutt’oggi, nella chiesa parrocchiale dello Spirito Santo di borgo di Pietrapennata. La statua a mezzobusto della madonna pare sia arrivata sin qui dalla Sicilia e sbarcata miracolosamente nella marina di Palizzi, all’alba della battaglia di Lepanto, quando i cristiani sbaragliarono definitivamente i Musulmana in occidente.

Grazie alle ricerche storiche, possiamo certamente dire che la chiesa della Lica in effetti non fosse altro che una grangia dello stesso Monastero di Sant’Ippolito che cambiò il titolo in occasione dell’evento storico di Lepanto e dell’arrivo di questa statua. Anche se alcune fonti storiche, riferiscono che il monaco che fondò il monastero, fosse partito dall’Abbazia di Santa Maria di Tridetti (Staiti). Sembra anche probabile che la chiesa rientri nella cosiddetta “via dei romiti”, un itinerario relativo al passaggio dei monaci dove sorgevano molti ricoveri in cui i religiosi in pellegrinaggio potevano meditare, pregare e anche soggiornare.

 

Di Carmine Verduci

Page 1 of 10

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén