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19 Marzo AgroArcheoTrekking alla scoperta di Casignana, Sant’Agata e Caraffa del Bianco

Torna Agro Archeo Trekking, alla scoperta di tre borghi della locride fra i più caratteristici del territorio. Domenica 19 Marzo, protagonisti di questo primo appuntamento dell’anno i borghi di Casignana, Sant’Agata e Caraffa del Bianco. Un cammino che ci farà scoprire la storia, la cultura, l’arte, la natura e la bellezza delle colline della Vallata La Verde. Questa prima tappa del programma, inaugurerà anche il Progetto Poleis che si articolerà con diverse date proposte durante tutto l’anno.

DESCRIZIONE ITINERARIO:

L’itinerario prevede il primo dei borghi in ordine di descrizione, Casignana, dove ci lasceremo rapire dalla bellezza del borgo antico, primo insediamento del popolo casignanese che sorge a ridosso del nuovo abitato, visiteremo la Chiesa di San Rocco (patrono del paese), la Chiesa Matrice e le vedute straordinarie ci catapulteranno indietro di secoli. Cammineremo sulla carrabile che conduce nell’entroterra di Casignana dove taglieremo il percorso incrociando un antico tracciato medievale, immersi in un contesto naturalistico molto suggestivo.

Incroceremo poi la strada che porta verso il borgo di Sant’agata, attraversando uliveti e castagneti che ci condurranno di li a breve  in questo magico borgo, famoso ormai non solo per aver dato i natali allo scrittore calabrese Saverio Strati, ma anche per essere rinato grazie alla caparbietà amministrativa che in questi ultimi anni ha saputo trasformare il borgo in una vera tavolozza d’arte, con numerosi murales che oggi caratterizzano ogni angolo del borgo, attraverso una narrazione di persone e personaggi che hanno contraddistinto il paese nei tempi passati.

Dopo aver visitato Sant’Agata, ci immergeremo subito tra i vicoletti di Caraffa del Bianco, dove oltre ad ammirare le straordinarie vedute, i vicoli e gli scorci del borgo antico, ammireremo la chiesa degli Angeli, il palazzo Verduci (uno dei 5 martiri di Gerace) e ci immergeremo subito in un antica strada lastricata in pietra che ci condurrà verso uno dei luoghi più spirituali del luogo; Il Santuario della Madonna delle Grazie, immerso nel silenzio e nella natura. Qui sosteremo per consumare una ricca degustazione di prodotti tipici locali preparata sapientemente dai volontari della Pro Loco di Caraffa del Bianco.

Subito dopo la degustazione e dopo la visita al piccolo santuario, ci rimetteremo in cammino sulla strada che porta dopo alcuni tornanti verso Casignana, dove ci saluteremo e ci daremo appuntamento alla prossima esperienza.

 

 

PROGRAMMA:

Ore 09:00 Appuntamento Casignana (Piazza Municipio) registrazione partecipanti
Ore 09:20 Itinerario; visita borgo antico di Casignana, Chiesa San Rocco, Palazzo Moscatello, Chiesa Matrice
Ore 11:00 Arrivo previsto a Sant’Agata del Bianco; Visita borgo dei murales, Casa Saverio Strati, Museo delle cose perdute, Via delle porte pinte.
Ore 12:00 Arrivo previsto a Caraffa del Bianco – visita borgo antico, chiesa degli Angeli, Palazzo Barletta
Ore 13:00 Arrivo Santuario Madonna delle Grazie (pausa pranzo)
Ore 15:00 partenza per il rientro
Ore 15:20 arrivo a Casignana – saluti

L’esperienza sarà Coordinato da Kalabria Experience, con il supporto della guida turistica Alessandra Moscatello.

Si ringraziano le Pro Loco di Casignana, Caraffa del Bianco, la Pro Loco e l’Amministrazione Comunale di Sant’Agata del Bianco.

 

SCHEDA TECNICA SINTETICA:

Comuni e Borghi interessati: Casignana, Sant’Agata e Caraffa del Bianco
Escursione di tipo (T/E Turistica/Escursionistica)
Lunghezza Percorso: 8,5km (ad anello)
Condizioni del percorso: Misto (Basolati in pietra, Asfalto, Cemento, sentiero)
Rifornimento d’acqua: (Anche lungo il percorso)

 

ATTREZZATURA CONSIGLATA:

Indumenti adatti al periodo (a strati), scarpe da trekk, borraccia d’acqua (almeno 1,5lt), barrette energetiche, o spuntino mezza giornata, cappellino, K-WAY, Impermeabile, Macchina Fotografica o smartphone.

 

COME PRENOTARE:

Telefonando al numero 347-0844564 (o inviando i propri dati: nome e cognome del partecipante) via WhatsApp) entro e non oltre il 17.03.2023, ulteriori prenotazioni oltre la soglia dei 40 partecipanti non saranno accettate!

 

QUOTA DI PARTECIPAZIONE:

10€ a testa (come quota di partecipazione all’esperienza)
10€ a testa (come quota per la degustazione prodotti tipici locali a Caraffa del Bianco).

 

L’organizzazione potrà annullare, modificare o rinviare l’esperienza in caso di condizioni meteo avverse, che verranno comunque comunicate ai partecipanti anche la sera prima della data.

L’organizzazione non si assume la responsabilità di eventuali infortuni, pertanto ogni partecipante se ne assume la propria responsabilità, avendo letto ed accettato le informazioni qui riportate.

Itinerario attraverso le coste calabresi

Non è facile immaginare la Calabria lontano dai soliti stereotipi ed itinerari turistici a cui siamo abituati a leggere in continuazione.

Una terra che ha visto per secoli un susseguirsi di vicende, influenze culturali e colonizzazioni che hanno cambiato il suo volto, restituendoci oggi una terra ricca di testimonianze antiche e lasciti culturali importanti, che rappresentano l’anima di un popolo in continua evoluzione.

Non è facile raggiungere la Calabria, godere della bellezza dei borghi, arroccati su montagne rocciose e valli incantevoli, occorre consapevolezza, occorre quella capacità interiore di comprendere appieno l’intimo rapporto uomo-natura di questa terra, bagnata dal mare e protetta dal grande massiccio dell’Aspromonte, della Sila, del pollino.

Terre inquiete, terre che hanno subito trasformazioni geologiche terrificanti, ma che nel contempo riescono a farti subire un fascino straordinario, con contrasti netti, dati dalla varietà delle zone climatiche, dai paesaggi che cambiano forma, colori e dimensioni.

Per la sua straordinarietà, la Calabria, non è semplice riassumerla in poche righe, occorrerebbe scrivere svariate pagine, di storia, cultura, popoli, usanze, enogastronomia, arte e bellezza struggente.

La Calabria è un viaggio appassionante che ti conduce in epoche lontane, fuori dalle logiche turistiche standard, che attraverso un viaggio a ritroso ti porta per mano alla scoperta di una terra selvaggia, che ancora conserva e custodisce preziose risorse e bellezze ancestrali.

Buon viaggio…

La Costa dei Gelsomini (o Riviera dei Gelsomini)

Spesso chiamata anche Locride) è il nome con cui si identifica la zona costiera della provincia di Reggio Calabria bagnata dal mar Ionio. Prende il nome dall’antica coltivazione della pianta di gelsomino, bello e delicato, ma anche robusto e rampicante, diffusa in tutta la provincia reggina, ma in particolar lungo la fascia costiera, tra punta Stilo e Palizzi. I fiori venivano raccolti dalle donne (chiamate gelsominaie) ed esportati in Francia per la preparazione dei profumi. La coltivazione venne introdotta anche in Liguria nel 1928 dalla Stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati dagli agrumi con sede a Reggio Calabria.

Le località più importanti della costa sono otto: Riace, Roccella Ionica, Monasterace, Marina di Gioiosa Ionica, Siderno, Locri, Brancaleone, Palizzi.

Il comune di Riace è assurto agli onori della cronaca per il ritrovamento, nel 1972, di due state bronzee di epoca greca, oggi note come “Bronzi di Riace”.

Riace; il primo documento che parla dell’esistenza del paese risale è al 1562 in merito alla morte del riacese Cristoforo Crisotomo e della sua probabile proclamazione a Santo. In quei tempi la città disponeva di una cinta muraria e di tre porte d’accesso: la Porta di Santa Caterina, la Porta di Sant’Anna e la Porta dell’Acqua. Nei pressi della costa, a circa 8km venne edificata Torre di Casamona per prevenire le incursioni turche, di cui se ne attesta la presenza dal 1583. Rappresentava un importante presidio difensivo che, nel 1500, era parte di una ”cellula” compresa nel Codice Romano Carratelli.

Roccella Ionica; si trova sulla costa dei Gelsomini e sorge probabilmente sull’antica città magnogreca di Amfissa, è bagnata dal mar Ionio e caratterizzata da un territorio pianeggiante verso il mare e collinare nell’entroterra. Nel X secolo il paese venne chiamato “Rupella“, poi “Arocella“, fino al nome in uso di “Roccella”, a causa della sua localizzazione sulla rocca. Vanta origini molto antiche, che si presume risalgano fino all’epoca della Magna Grecia.  Storicamente è stata identificata con l’antica località di Amfissa, ricordata nei poemi del poeta romano Ovidio In contrada Focà è stato ritrovato un edificio a blocchi di calcare e dei reperti in terracotta facenti parte di una presunta tomba monumentale del IV secolo a.C. Al 1270 risale il primo documento che testimonia l’esistenza di Roccella Ionica: in esso è registrata la vendita del castello Donato a Gualtiero di Collepietro da parte di Carlo I d’Angiò. Fu un importante feudo e rocca difensiva della costa, come simboleggiato anche nel gonfalone araldico, che rappresenta il patrono san Vittore di Marsiglia che sconfigge un pirata turco.

Monasterace si pensa che derivi dal greco Μοναστηράκι (Monastiraki), cioè “piccolo monastero”. Si è certi dell’esistenza di un piccolo monastero di rito orientale dedicato a Sant’Eufemia, situato nel centro collinare del Comune in quella vallata dello Stilaro che vide il fiorire del cosiddetto monachesimo basiliano. Niente ha a che vedere con la molto più tarda chiesetta, di epoca angioina, di San Marco, i cui resti persistono nei pressi della spiaggia, in piena area archeologica dell’antica colonia magno-greca di Kaulonìa.

Marina di Gioiosa Ionica è strettamente intrecciata con la storia di Gioiosa Ionica, di cui costituiva una frazione fino al 1948, anno in cui essa si staccò formando un comune autonomo. Le sue origini risalgono perciò alle colonizzazioni greche del VI secolo a.C. della Magna Grecia. Nel 210 a.C. tali colonie passarono sotto il dominio romano.  Secondo alcune ricostruzioni (che tuttavia mancano di riscontri storici e che secondo alcuni sconfinano nella pura leggenda), risale al periodo romano la creazione di un borgo, Romechium, situato lungo la costa tra Locri e Roccella, nella posizione corrispondente all’attuale Marina di Gioiosa Ionica. Tale borgo ebbe il suo massimo sviluppo tra il III e il IV secolo d.C. Esso sopravvisse fino al X secolo, quando le coste calabro-ioniche furono oggetto di devastazioni e saccheggi provocate dalle incursioni arabe. A testimonianza delle vicende passate, rimangono ancora oggi, a Marina di Gioiosa Ionica, i ruderi del Teatro Romano e la Torre Borraca (detta anche Torre Spina o Torre del Cavallaro), che si presume costruita in età bizantina a difesa dalle incursioni arabe. A seguito di queste distruzioni, la popolazione superstite si spostò nell’entroterra, tra il fiume Torbido e le zone collinari a ridosso della costa, e fondò un nuovo borgo: Mystia. Ma nel 986 Mystia fu distrutta dalle incursioni Saracene, costringendo la popolazione a rifugiarsi in una zona ancora più distante dalla costa, a ridosso di uno sperone roccioso che offriva maggiore difesa e dove nacque il nuovo borgo di Mocta Geolosia, da cui trae origine l’attuale Gioiosa Ionica.

Siderno è composta dal borgo antico, posto in collina, denominato Siderno Superiore, e dalla parte moderna, denominata Siderno Marina, sviluppatasi a ridosso della Costa dei Gelsomini Siderno, al centro della Locride è il più grande e popoloso centro abitato presente sulla costa jonica, tra Reggio e Catanzaro. La storiografia e l’archeologia ritengono Siderno un sito di “origine antica”, ma non si hanno informazioni precise circa la sua origine anteriormente al 1220, quando il toponimo compare nei documenti d’età sveva. Il nome potrebbe derivare dalla famiglia Siderones o dal greco Sideros, che indicherebbe l’antico quartiere delle fonderie dell’antica Locri. Alcuni storici ritengono che fu una colonia greca risalente all’VIII-VI secolo a.C. Nel 1250 Siderno fu sotto il dominio dei conti Ruffo di Catanzaro, ai quali seguirono altri feudatari. Il paese subì numerosi danni in seguito al terremoto del 1783 che colpì quasi tutta la Calabria. Con la conseguente ricostruzione la zona costiera iniziò a popolarsi, diventando un importante polo commerciale, sbarco di merci provenienti dai maggiori porti italiani. Nel 1806 Siderno terminò il periodo feudale e, dopo essere stato una contea/frazione di Grotteria e solo nel 1811 divenne comune autonomo. Nel 1869 la sede del comune passò da Siderno Superiore a Siderno Marina.

Locri (llocrii in greco-calabro, Λοκροὶ in lingua greca è un comune italiano di 12.816 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria in Calabria, posto nel territorio della Locride di cui è il centro amministrativo, culturale e religioso. Patria di Zaleuco, primo legislatore del mondo occidentale, e di Nosside, la più grande poetessa magnogreca, Locri, in antichità Locri Epizefiri, è stata un’importante città della Magna Grecia. La storia dell’odierna città è strettamente collegata a quella di Gerace, infatti questi due centri un tempo formavano un unico ed importantissimo comune. Oggi è centro turistico balneare, polo direttivo per l’intera Locride in cui hanno luogo numerosi eventi culturali. La storia di Locri è strettamente legata alla storia di altri due centri sorti nella zona circostante: Locri Epizefiri, polis della Magna Grecia fondata nel VII secolo a. C., e Gerace, città medievale costruita nel IX secolo. Dopo la conquista romana di Locri Epizephiri e a seguito sia delle scorrerie saracene e turche che della piaga della malaria, il sito fu progressivamente abbandonato e gli abitanti si spostarono verso le più sicure colline dell’entroterra dove sorse Gerace. Nel XIX secolo, col ritorno della popolazione verso le zone costiere e grazie anche all’avvento della ferrovia, si sviluppò l’abitato di Gerace Marina, frazione appartenente al comune di Gerace. Gerace Marina acquistò sempre più importanza col trasferimento, da Gerace, di alcune importanti strutture amministrative e commerciali, tra cui il Tribunale e la Banca Popolare nel 1880, fino a divenire comune autonomo nel 1905. A dare ulteriore slancio furono la nascita e lo sviluppo di importanti attività commerciali ed industriali: ad esempio, le Officine Meccaniche Calabresi (OMC), nei primi anni trenta, impiegavano 200 operai. Nel 1934 il comune di Gerace Marina assunse l’attuale denominazione di Locri.

Brancaleone è stata definita “città delle tartarughe di mare” perché sulle sue spiagge, così come su quelle dei comuni vicini, depone le uova la tartaruga comune (Caretta caretta), facendo di questo tratto di costa l’area più importante di deposizione in tutta l’Italia. Le origini di Brancaleone risalgono al VI-VII secolo, in epoca bizantina, ma si pensa che la presenza umana vi fosse già da molto prima nell’antica città di Sperlonga, oggi luogo in cui si trova la vecchia Brancaleone, un bellissimo borgo medievale abbandonato alla fine degli anni ’50. Oggi è possibile visitare i suoi suggestivi resti, come la grotta-chiesa dell’Albero della vita, il sito archeologico dei silos-granai, silos per la raccolta delle acque, la Grotta della Madonna del Riposo con affreschi seicenteschi, Le origini di Brancaleone risalgono al VI-VII secolo, in epoca bizantina, ma si pensa che la presenza umana vi fosse già da molto prima.

Palizzi; dal greco Polischìn, ha avuto un ruolo importante in quanto confine tra il territorio di Reggio e Locri. Negli ultimi tempi il confine è stato accettato grazie al lavoro dell’archeologo onorario S. Stranges, che ha rilevato nel corso di un ventennio una fitta rete di siti di entrambe le appartenenze, definendo con chiarezza la netta linea di demarcazione tra i territori delle due grandi e antiche repubbliche. Ricordato solo nel XV secolo come feudo dei Ruffo fu in seguito dei d’Aragona d’Ayerbe dai quali passò ai Colonna nel 1580. Il castello di origini medievali, fu rifatto come palazzo in grandiose e semplici forme nel Seicento. Molto pittoresco è anche il centro di Pietrapennata, di carattere alpestre; la chiesa di origine medievale (basiliana), ma rifatta nei secoli XV-XVI, conserva la Madonna dell’Alica statua di marmo alabastrino del Cinquecento. Tra i siti paleolitici più antichi d’Europa, villaggio esteso con continuità abitativa risalente a 800.000 anni fa, e Monte Gunì, vi sono similitudini col sito di Caselle di Maida. Rinvenimenti sporadici di punte musteriane di 30.000 anni fa.  Per il neolitico sono moltissimi i siti della facies culturale detta di Steninello, con produzione litica e ceramica di pregevole valore artistico decorata con rombi e losanghe. Presenti diversi siti del neolitico medio e finale. L’età del rame e della prima età del bronzo sono oltremodo presenti con originalità culturali che dovranno essere studiate. Dalla fine del VII secolo a.C.

(non per ultimi sicuramente i comuni di; Bianco, Ferruzzano, Ardore, Bovalino, Sant’Ilario, Caulonia) di cui rinomate spiagge, ed entroterra ricchi di testimonianze storico-culturali e paesaggistiche unite alla gastronomia tipica, fanno di questi comuni affacciati sul mar ionio, tra le località gettonate dal turismo, non solo invernale)

Costa dei Cedri

E’ il toponimo che indentifica la fascia settentrionale litorale della Calabria, in provincia di Cosenza. Il nome stesso deriva dalla diffusa coltivazione del cedro, un agrume antichissimo di cui le radici affondano nell’antichità classica e nell’ortodossia ebraica. Il cedro che cresce in quest’area è per gli ebrei la cultivar più pregiata, tant’è che molti rabbini giungono ogni anno a Santa Maria del Cedro per selezionare i cedri adatti per i rituali di sukkot (festa delle Capanne o dei Tabernacoli). Fra i comuni della costa spiccano, per la produzione di cedro, Santa Maria del Cedro, in cui oggi si concentra maggiormente la produzione, Scalea, Orsomarso, Santa Domenica Talao, Buonvicino e Belvedere Marittimo.

Le località più importanti della costa sono cinque: Praia a Mare, Scalea, Diamante, Cetraro e Paola.

Praia a Mare è una piccola cittadina davvero graziosa e tra le sue attrazioni, protagoniste indiscusse sono senza dubbio le sue spiagge, tra le più popolari e ricercate del versante tirrenico della Calabria.  A questa si affianca inoltre un patrimonio architettonico, in cui spicca il Santuario della Madonna della Grotta: un luogo di raccoglimento e preghiera, nonché meta di pellegrinaggio, incastonato tra grotte naturali.

Scalea, invece raccoglie turisti sia d’estate che d’inverno, che grazie agli ottimi collegamenti ferroviari e autostradali, durante i mesi estivi la città pullula di turisti, attratti dalle bionde spiagge attrezzate e da una città sempre vivace. D’inverno, invece è affollata dagli amanti della natura, che svolgono molte attività all’aperto come il trekking.

Diamante, sorge quasi a metà costa dei Cedri, si tratta di un piccolo borgo di pescatori. Caratterizzato da un fitto dedalo di viuzze, costellato di modeste casette. Si tratta di costruzioni antiche e talvolta, dall’aspetto dismesso, ma è proprio questo a conferire fascino alla città.

Cetraro, il cui nome deriva proprio dalle folte coltivazioni di cedri presenti in quest’area. La spiaggia finissima accoglie numerosi turisti ogni anno, che tra un sorso di vino e una tipica frittura calabrese, possono godere del meraviglioso panorama offerto dal vicino scoglio della Regina.

Paola, ultima località a sud della costa, sorge a novanta metri sul livello del mare, le spiagge sono spaziose con un mare limpido, oltre a questo, la presenza del Santuario di San Francesco da Paola, conferiste alla località un’importanza notevole per il turismo religioso e spirituale che ogni anno ed in tutto il periodo dell’anno accoglie numerosi pellegrini e turisti da ogni parte del mondo.

Costa degli Dei

E’ il nome con il quale si designa un tratto di costa marina del Mar Tirreno meridionale che si estende da Pizzo Calabro a Nicotera, cioè l’intero tratto marittimo della provincia di Vibo Valentia, in Calabria.  Viene chiamata la “Costa degli Dei” perché secondo alcuni miti anticamente avevano dimora gli dei che la scelsero per la sua bellezza paesaggistica.  La costa viene anche chiamata “Costa Bella” per i suoi suggestivi panorami delle Isole Eolie. Lunghe spiagge bianche, si succedono rocce frastagliate creando piccole calette raggiungibili solo a piedi o in barca. In questo panorama Tropea riveste un ruolo importantissimo, che la rende una località di elevata vocazione turistica a livello internazionale, tanto da meritare la dicitura “Perla del Tirreno”, per la sua bellezza paesaggistica.

Le località più importanti della costa sono cinque: Pizzo, Zambrone, Parghelia, Tropea, Ricadi.

Capo Vaticano riveste un punto di riferimento della realtà turistica vibonese e calabrese. Il promontorio di Capovaticano si estende tra il golfo di Santa Eufemia e Gioia Tauro e il tocco di magia sta proprio nel significato del suo nome. La leggenda fa risalire la prima etimologia a una radice ellenica: ai tempi dell’antica Grecia, viveva in una grotta di questo promontorio un’indovina dal nome Manto. Era a lei che si rivolgevano i pescatori e i naviganti, ma anche le donne per conoscere il volere delle divinità. Pare che anche Ulisse in fuga fra Scilla e Cariddi si sia rivolto alla profetessa per conoscere la sua rotta e il suo futuro. Manto deriva dal greco “manteuo”, ossia interpretare la volontà divina. Così Capovaticano prese il nome di Mantineo, lo stesso nome dell’oracolo. L’asprezza e la bellezza di questi luoghi, ha conferito anche in epoca latina una certa sacralità a Capovaticano e al suo litorale, ribattezzato Costa degli Dei. Infatti in latino “vaticinium” significa oracolo ed è riconducibile a una figura in contato con le divinità come l’indovina Manto. Un manoscritto del 1736 attribuisce il nome di Capovaticano a Scipione l’Africano che su questo tratto di costa sconfisse il pirata Grancane; si avventò su di lui urlando “Abbatte Cane”. Da qui il nome Batticane e Batticano. Dagli studi ne risulta che la comunità del luogo è sempre stata legata al commercio marittimo e dal Medioevo ai nostri giorni anche alle coltivazioni dell’entroterra.

Pizzo, cittadina di origine medievale, deve il suo nome alla posizione arroccata sul pendio di una rupe di tufo (pizzu, nel dialetto locale), a strapiombo sul mare.  Nel corso del tempo, nonostante le trasformazioni urbanistiche legate al recente sviluppo turistico, è riuscita a mantenere l’aspetto del tipico borgo marinaro, con un caratteristico dedalo di viuzze e vicoli. La sua fama è legata sia alla pesca e lavorazione del tonno, da sempre base della sua economia, sia alle bellissime scogliere, che incorniciano la candida spiaggia e che si tuffano in acque limpide e trasparenti.

Zambrone sorge su un altopiano a 222 m di altitudine dal mare che dista circa 2 km; il comune con le sue frazioni di San Giovanni, Daffinà e Daffinacello si estende su una superficie di 14,36 km². Il territorio ordinato a terrazzamenti si presenta con valli e profonde incisioni fluviali. Le sue origini risalgono al 1310 quando gli abitanti di Aramoni vennero scacciati dalle pianure del monte Poro per ordine di Roberto d’ Angiò e si rifugiarono sulla costa presso la fiumara Potame. Secondo altre fonti storiche, il paese venne creato attorno al 1300 quando le continue incursioni dei saraceni spinsero gli abitanti di San Giovannello a spostarsi nell’attuale posizione del paese. Dal 1811 è un comune autonomo.

Parghelia confina la rinominata Tropea ed è un comune di 1338 abitanti della provincia di Vibo Valentia. Il paese è quasi interamente ricostruito negli anni venti in seguito al terremoto del 1905 che rase al suolo Parghelia (solo la chiesa della SS. Madonna di Porto salvo resistette al sisma).  Grazie alle sue splendide spiagge (Michelino, La Grazia e Vardano), alle strutture ricettive delle quali dispone e alla sua vicinanza a Tropea è divenuta negli anni una meta turistica di richiamo.

E’ uno dei paesi appartenenti alla costa degli Dei: tratto della indiscutibile bellezza ricadente nella provincia di Vibo Valentia.

Ricadi è un borgo turistico della Costa degli Dei situato a 284 metri di quota s.l.m. La sua costa è tra le più belle d’Italia, in dodici chilometri di spiagge, baie e calette, modellate dai venti e dal mare, si trovano: la baia di Riaci, la spiaggia di Formicoli, quella di Grotticelle, Santa Maria, Santa Domenica, della Scalea, Capo Vaticano, Praia i Focu, a Ficara, i Ziti e molte altre. Il litorale è stato premiato in più occasioni dalla Guida Blu e dalla Bandiera Verde Spiagge. Nel suo territorio ricade la produzione della cipolla rossa di Tropea.

La Costa Viola

La Costa Viola è un’area geografica della provincia di Reggio Calabria immediatamente a nord del capoluogo e rientrante nell’area metropolitana di Reggio Calabria, che sia affaccia sul mar Tirreno e sullo Stretto di Messina. La linea di costa, stretta tra il mare e le montagne, è dominata da alte e frastagliate costiere che con l’altezza di 600 metri sono tra le falesie più imponenti al mondo, oltre che da graziosi e suggestivi anfratti come la “grotta dello Sparviero”. Dal monte Sant’Elia è possibile godere di un superbo panorama con sullo sfondo l’arcipelago delle Isole Eolie e i due vulcani attivi: l’Etna e Stromboli.  Tutto il territorio, è, inoltre, caratterizzato da terrazzamenti coltivati a vigneti a strapiombo sul mare.  Le spiagge e i vari litorali sono tratti rocciosi, a tratti sabbiosi a tratti ghiaiosi, dominati dai crinali dell’Aspromonte e del Monte Poro, che precipitano direttamente in mare.  I fondali marini sono simili a quelli tropicali e presentano un ecosistema ancora integro.

Recentemente sono state scoperte, in prossimità delle coste di Scilla, rare colonie di corallo nero, mentre in quelli di Palmi, nei pressi di capo Barbi, altrettante colonie di corallo bianco.  Di fronte ai lidi di Tonnara di Palmi, si trova il caratteristico “Scoglio dell’Ulivo” così denominato per la crescita spontanea di un albero d’ulivo.

Le località più importanti della costa sono quattro: Scilla, Bagnara Calabra, Palmi e Seminara.

Scilla è una rinominata località turistica situata su un promontorio all’ingresso settentrionale dello stretto di Messina. Il toponimo Skyla richiama un misterioso mostro che sarebbe il responsabile di tempeste scatenatesi sul mare che determinarono la fine di molti naufraghi. Descritta da Strabone come uno scoglio simile a un’isola, Scilla mantiene tutt’ora i tratti di questo paesaggio. Il primo a parlarci di Scilla e Cariddi come di mitici mostri sanguinari fu Omero nella sua Odissea, poema a cui poi tanti antichi scrittori si rifecero data l’autorevolezza della fonte. Nacque pertanto più tardi il detto: “Incappa in Scilla volendo evitare Cariddi”.

Bagnara Calabra; occorre precisare che il toponimo originario è “Bagnara”, il termine identificativo “calabro o Calabra” fu assegnato in seguito all’unificazione d’Italia per distinguerlo da quello di Bagnara di Romagna. La città è situata a pochi chilometri dallo stretto di Messina, in una zona costiera chiamata Costa Viola, lambita a ovest dal mar Tirreno e posta in fondo ad un’insenatura tra le colline a strapiombo sul mare. Il primo nucleo abitativo di cui conserviamo sicura testimonianza storica nasce intorno al 1085, con la fondazione dell’Abbazia Nullius di Santa Maria V.G. e i XII Apostoli ad opera del conte Ruggero I d’Altavilla ed in breve tempo acquisisce un ruolo di primo piano nelle vicende politiche e religiose meridionali. Ipotesi storiche tendono a far risalire le origini di Bagnara al periodo fenicio all’VIII secolo a.C. Tali affermazioni sarebbero, secondo alcuni storici, suffragate dalle tante affinità con questo popolo di navigatori.

Palmi; circa le origini del nome dato a Palmi è costante la tradizione, nei secoli susseguiti alla sua fondazione, che abbia assunto tale denominazione a causa delle numerose palme che sorgevano nel suo territorio; tant’è che con l’indicazione De Palmis, Ruggiero I conte di Calabria specificava di concedere la chiesa di San Georgium, nel 1085, alla Chiesa di Santa Maria e dei XII apostoli di Bagnara Calabra. Dominus Palmae venne chiamata invece dal barone Iacobus De Roto di Seminara nei registri angioini dei baroni di Calabria del 1333 mentre, nei secoli seguenti, gli antichi notari si servirono dell’espressione “Civitas Palmarum”, nel secolo XVI, da Gabriele Barrio venne chiamata “Parma”, mentre da Fra Lando Alberti venne nominata come Palma.  venne pure denominata “Carlopoli” nel secolo suddetto, in onore del duca Carlo Spinelli che la ricostruì fortificata dopo una devastazione saracena, tanto che nel 1567 sono riportati l’appellativo di oppidum (a conferma della fortificazione) e di “Palma nunc Carlopolis” ipotizzando che la nuova Carlopoli fu costruita accanto al vecchio centro abitato. Solamente nel 1669 appare la scritta Palmi, ma col cominciare del XVIII secolo, la città venne chiamata “Palme”, nome che prevalse sempre fino al nuovo assetto del regno di Casa Savoia (1860), in cui si stabilì definitivamente il nome attuale di “Palmi”.

Seminara; A Seminara è legata la figura di Barlaam Calabro, filosofo, matematico, teologo e maestro di greco di importanti letterati italiani come Petrarca e Boccaccio e che qui nacque nel 1290. Inoltre, nel XIII e XIV secolo la Calabria era considerata ancora la Grecia d’Italia e qui ci si recava per apprendere l’antica lingua greca. Una volta giunti a Seminara, da non perdere è sicuramente il centro storico, dove tra i resti delle antiche mura di cinta e del Castello Mezzatesta occhieggiano portali, palazzi e dettagli rinascimentali che raccontano l’importanza cinquecentesca di questa cittadina. Ma non solo. Qui di certo non mancano le attrazioni, fra le quali opere scultoree di grandi artisti come il Gagini, il Mazzolo, Andrea Calamech, oltre che opere pittoriche di notevolissimo pregio del pittore Giovannangelo d’Amato. I più importanti reperti archeologici di Seminara sono senz’altro il borgo di Sant’Antonio, antiche mura di cinta della città, l’Arco di Rosea e i ruderi dell’antico Ospedale, costruito tra il 1400 ed il 1450, nonché il più antico ospedale della Calabria. L’arte qui si mescola alla sacralità e di certo non mancano le architetture religiose, come la Basilica e Santuario di Maria Santissima dei Poveri (1933) un edificio, dal prezioso stile neoromantico che conserva un museo che spazia da preziosi gioielli di arte sacra a reliquie di Santi, opere in argento, in legno, in ceramica e persino in avorio. Preziosissimi abiti talari e la bellissima, unica nel suo genere, venerata statua lignea della Madonna Nera, meglio conosciuta come Madonna dei Poveri. Ma non vi è solo la basilica, anzi, continuiamo con la chiesa di San Marco Evangelista (XVIII secolo), dove al suo interno conserva la statua della Madonna degli Angeli, attribuita ad Antonello Gagini (XVI secolo) e ancora la Chiesa di San Michele, la chiesa di Sant’Antonio dei Pignatari e la chiesa di Sant’Anna, chiesa di San Luigi, chiesa di Maria Santissima Addolorata e quella dedicata a San Giuseppe, ma anche l’iconica chiesa ortodossa dei Santi Elia e Filarete.

La Costa degli Aranci

Corrisponde al tratto di costa ionica della Calabria, compreso tra Steccato di Cutro a nord e Monasterace Marina a sud, che abbraccia il golfo di Squillace. Sono 75 chilometri di litorale calabro, in provincia di Catanzaro, che custodiscono rinomati centri balneari e scrigni di biodiversità. La costa è caratterizzata da lunghe spiagge di sabbia, intervallate da tratti rocciosi che creano scenari di grande suggestione. Intorno pinete, uliveti e aranceti che inebriano dei loro intensi profumi. Sulla costa si susseguono pittoreschi borghi marinari che d’estate attraggono numerosi turisti, mentre sulle colline alle spalle del mare si affacciano antichi borghi medioevali. Tra spiagge e paesini, inoltre, fate caso alle testimonianze della storia che affonda le sue radici nella Magna Grecia. Il golfo di Squillace infatti, strategico per i traffici nello Ionio, attrasse fin dall’VIII secolo a.C. i coloni greci che lungo la costa costruirono templi, agorà e necropoli. Fra i resti meglio conservati oggi si possono vedere quelli dell’antica Kaulon, con le rovine del tempio dorico, nella parte meridionale del golfo, a Monasterace Marina.

Le località più importanti della costa sono sette: Catanzaro, Roccella di Borgia, Squillace, Copanello, Stalettì, Pietragrande, Soverato

Catanzaro si affaccia sul golfo di Squillace, nel mar Ionio, dove secondo alcuni studiosi si trovava il porto del regno dei Feaci, nel quale, come racconta Omero nell’Odissea Ulisse fu accolto e raccontò la sua storia. È conosciuta come la “Città tra due mari”, in quanto è situata nell’istmo di Catanzaro, ovvero la striscia di terra più stretta d’Italia, dove soli 30 km separano il mar Ionio dal mar Tirreno. Ciò consente di vedere contemporaneamente, dai quartieri nord della 4città in alcune giornate particolarmente limpide, i due mari e le isole Eolie. È detta inoltre Città dei tre colli   corrispondenti ai tre colli rappresentati nello stemma civico che sono il colle di San Trifone (oggi San Rocco), il colle del Vescovato (oggi Piazza Duomo) e il colle del Castello (oggi San Giovanni). Il territorio comunale si estende dal mare fino all’altezza di 668 metri. La casa comunale sorge a 320 m. Comprende una zona costiera sul mar Ionio che ospita 8km di spiaggia e un porto turistico; da qui il centro abitato risale la valle della Fiumarella (anticamente detta fiume Zaro), sede di un forte sviluppo urbanistico, fino ai i tre colli: del Vescovato, di San Trifone (o di San Rocco) e di San Giovanni (o del Castello) su cui sorge il centro storico della città e che si ricollegano con la Sila verso Nord. Per la sua particolare orografia il territorio comunale è bagnato dal mare, ma soggetto a fenomeni nevosi d’inverno.

Roccelletta di Borgia si distingue per essere un luogo sospeso nel tempo, immerso tra uliveti incantati e verdi colline che si stagliano verso le acque limpide del Mar Ionio.

Da queste parti è praticamente impossibile non lasciarsi inebriare dal fascino della Magna Grecia, poiché qui ha lasciato una delle testimonianze più importanti della sua presenza.
Impressionati scorci paesaggistici fanno da cornice al grande parco archeologico che si trova in questa frazione, con gli imponenti resti della basilica di Santa Maria della Roccella, del teatro e dell’anfiteatro della colonia romana di Scolacium, città millenaria abitata in tempi antichi dai greci, e molto altro ancora. Visitare questo parco vuol dire scoprire la storia di Skylletion, città della Magna Grecia che divenne una prospera colonia romana:

Borgia, un paesino interamente ricostruito a seguito del drammatico terremoto del 1783 e che, fortunatamente, oggi è un centro ricco di palazzi nobiliari, monumenti, chiese e sculture antiche. Di particolare interesse sono Villa Pertini e le sue Piazza del Popolo e Piazza Ortona. In quest’ultima sorge il duomo del 1852 dedicato a San Giovanni Battista (patrono della città). Borgia vanta anche una zona marina si estende per circa 6km e dove prendono vita paradisiache spiagge di sabbia bianca. Tra le più belle c’è proprio quella di Roccelletta di Borgia che si affaccia sullo Ionio nella Costa degli Aranci. Un piccolo sogno a occhi aperti circondato da una rigogliosa pineta che permette un po’ di refrigerio durante le ore più calde della giornata. Il mare, nemmeno a dirlo, è cristallino anche se subito profondo.

Squillace è un comune italiano di 3.641 abitanti della provincia di Catanzaro in Calabria. È l’antica Skylletion città della Magna Grecia su cui sorse la colonia romana di Scolacium patria di Cassiodoro che vi fondò il Vivarium. Sede di una delle più antiche diocesi del Sud Italia, fu un importante centro greco-bizantino durante l’Alto Medioevo, l’ultimo in Calabria ad essere conquistato dai Normanni. Alla cittadina deve il suo nome il golfo di Squillace, così noto fin dall’epoca magnogreca. Squillace affonda le sue origini nei tempi antichissimi. Il toponimo deriva da Skyllation, il nome della città che ebbe importante funzione di riferimento territoriale, come colonia greca. Il nuovo popolo dominatore costrinse gli abitanti di Scolacium a rifugiarsi in luoghi più sicuri, su un’altura, dove fondarono l’attuale centro di Squillace.

Copanello o Copanello di Stalettì (soprannominata la Perla dello Jonio catanzarese) è una frazione del comune di Stalettì in provincia di Catanzaro, situata lungo la costa jonica della provincia calabrese a sud del capoluogo. È delimitata a nord dal fiume Alessi e a sud dal torrente Lamia. Si suddivide in Copanello alto e Copanello lido. Nel VI secolo, Copanello fece parte dei possedimenti del politico e scrittore latino Cassiodoro (485-580). Questi vi fece costruire il Monastero di Vivarium intorno al 555.

Stalettì nacque tra la fine del XIX secolo ed il XX secolo, il territorio di Copanello alto è passato successivamente dalla famiglia Fazzari alla famiglia Falcone ed in seguito alla famiglia Gatti mentre Copanello lido restava alla famiglia Pepe dal XVIII secolo alla fine del XX secolo, quando divenne proprietà di diversi patrioti (Guglielmo Pepe, Enrico Cosenz, Damiano Assanti, Francesco Carrano, Girolamo Calà Ulloa e Camillo Boldoni) prima di passare alla famiglia dei marchesi Lucifero, di cui l’ultimo proprietario fu Francesco Lucifero. Il Paesaggio di Copanello viene inoltre visitato da Michele Frangella che compone la celebre poesia “A Copanello” esaltando le bellezze della costa e delineandole come un vero e proprio Eden.

Pietragrande è da oltre trent’anni un centro balneare e turistico di altissimo livello. Il mare cristallino, le tante spiaggette, le scogliere incantevoli, le antiche tradizioni storiche, compongono una cornice splendida per una vacanza indimenticabile. Scogliere e dirupi si alternano a spiagge accessibili solo via mare, veri e propri angoli di paradiso.

Soverato; è favorito dalla posizione al centro del Golfo di Squillace e a poca distanza dalle montagne, deve aver attirato degli uomini fin dai tempi più antichi; da quando popolazioni neolitiche abitavano la Calabria centrale. La zona a ridosso della collina dove venne fondato il borgo fortificato fu popolata sin da tempi protostorici da varie popolazioni, servirà l’arrivo dei coloni greci e poi della dominazione romana per poter far crescere economicamente e demograficamente l’intera zona di Soverato. Sotto l’Impero romano la Calabria vive in una oscura prosperità, appena sfiorata dalle guerre puniche e dalla rivolta di Spartaco. L’asse economico e politico della Calabria si sposta sempre di più dallo Ionio al Tirreno, lungo il quale corre la grande strada consolare Popilia che porta in Sicilia. Verso il V, VI secolo d.C. le coste ioniche vengono del tutto abbandonate, e gli abitanti si trasferiscono sui colli. Le cause del fenomeno sono da ricercarsi nell’esaurimento della funzione commerciale, nella malaria e nella minaccia prima dei Vandali dall’Africa e poi degli Arabi.

Costa dei Saraceni

Con il nome di “Costa dei Saraceni” indichiamo un tratto di costa ionica appartenente alla provincia di Crotone, delimitato a nord dal fiume Neto e a sud dal fiume Tacina.

Il territorio comprende, da nord verso sud, le località più importanti della costa sono sei: Cariati, Crucoli, Cirò Marina, Crotone, Capocolonna e Isola Capo Rizzuto.

Cariati è un centro turistico vivamente frequentato, caratterizzato da un paesaggio davvero unico, immerso in una natura rigogliosa a ridosso di un mare limpido e trasparente che le ha fatto aggiudicare la Bandiera Blu ogni anno fin dal 2009. Da visitare assolutamente il Borgo medievale sulla riva del mare, cui si accede da più punti ma che ha il suo accesso principale nella suggestiva “Porta Pia”. Subito dopo questa, inizia il corso XX settembre, la via principale, lungo la quale si trovano il Palazzo del Seminario, costruito nella prima metà del Seicento, la cattedrale di San Michele Arcangelo e il Palazzo Vescovile.

Crucoli è una località posta su un promontorio in cui sono ben visibili i resti di un castello di origine normanna con le sue mura difensive; è molto nota per le proprie attività artigianali, fra cui quella dei tessuti dai bei disegni orientaleggianti. Torretta di Crucoli è la località balneare che appartiene al piccolo comune. E’ costituita da una meravigliosa spiaggia dorata lunga circa 3km, ben attrezzata e orlata da un grazioso lungomare. Il mare che la bagna è limpido e cristallino, di un azzurro brillante, con fondali digradanti, ideali per i bagni estivi.

Cirò Marina è divenuta negli ultimi anni meta turistica rinomata grazie alla bellezza e alla ricchezza del mare, ma è nota anche per gli ottimi vigneti per cui è Città del Vino dal 2000. Le sue spiagge sono tutte lambite da una fitta pineta costiera molto pittoresca. Rinomata e molto frequentata dai turisti è la spiaggia Punta Alice di Cirò Marina, situata nella frazione omonima, caratterizzata da un litorale ampio e molto lungo con sabbia fine e dorata ed un mare trasparente e di un azzurro intenso, con fondali bassi e digradanti. Nelle vicinanze si trova la foce del fiume Neto, un’area di notevole importanza naturalistica poiché ospita aironi ed altre specie di uccelli.

Crotone fu fondata dagli Achei, i coloni greci provenienti dalla regione dell’Acaia (VIII secolo a.C.), in un’area dove si trovava un insediamento indigeno. Divenne molto presto uno dei centri più importanti della Magna Graecia. La città vecchia di per sé, può essere considerata un’opera d’arte perché tutta caratterizzata da stretti vicoli e graziose piazzette, nonché da architetture di maggiore rilievo come il duomo o la piazza Pitagora, nodo tra il centro storico e la Crotone nuova.

Isola Capo Rizzuto che “chiude in bellezza” la Costa dei Saraceni, essendo un luogo davvero unico, con un mare di straordinaria bellezza, ricco di scogliere e madrepore, di reperti storici e culturali, di natura incontaminata. Capo Colonna invece è il promontorio che determina il limite occidentale del Golfo di Taranto, dove sorgeva il tempio dedicato ad Hera Lacinia, di cui, fino a qualche tempo fa, erano rimaste molte colonne. Sfortunatamente, queste vennero poi utilizzate come fonte di pietre lavorate per decorare il castello, il porto e i palazzi nobiliari locali fino a che non ne rimase eretta soltanto una, tuttora presente sul promontorio.

Isola Capo Rizzuto si trova anche la famosissima spiaggia di “Le Castella”, chiamata così perché di fronte ad essa, in mezzo al mare, si staglia lo splendido Castello Aragonese (XV secolo), collegato con la stessa solo per mezzo di una sottile striscia sabbiosa e quando non si ha alta marea. Il mare qui è spettacolare, ideale per gli amanti dello snorkeling, poiché particolarmente cristallino, con fondali bassi e ricchi di anfratti dove si nascondono una miriade di pesci.

 

La costa egli Achei

Con il nome di Costa degli Achei, con chiaro riferimento alla frequentazione achea della zona e relativa fondazione dell’antica colonia di Sybaris, si indica quel tratto di costa dell’alto ionio calabrese compreso tra la foce del fiume Ferro a nord e la foce del Trionto a sud. Tratto costiero che vede proprio in Sibari il suo centro geografico. La costa degli Achei si sviluppa lungo la fascia costiera dell’ampia Piana di Sibari. Il litorale è poi racchiuso tra i possenti rilievi del Massiccio del Pollino a nord e gli ultimi contrafforti della Sila Greca a sud e solcato da una miriade di piccoli ruscelli e corsi d’acqua a carattere torrentizio.

La parte settentrionale della Costa degli Achei, è compresa tra le sette località balneari di: Roseto Capo Spulico, Amendolara Marina, Villapiana, Sibari, Cerchiara, Rossano-Corigliano e Trebisacce, e si sviluppa lungo i contrafforti della Serra Manganile, estrema propaggine orientale del Massiccio del Pollino.  Il litorale risulta quindi ciottoloso e carico di scogliere anche per la presenza di alcuni torrenti come il Pagliara e lo Straface che precipiti si gettano in mare con il loro carico di detriti calcarei. La Costa degli Achei termina in via convenzionale con la foce del Trionto, ma proseguendo a sud si incontrano importanti località balneari della costa ionica come Calopezzati e Marina di Pietrapaola. Le spiagge dell’alto ionio calabrese sono sovrastate dalla imponente mole del Massiccio del Pollino e offrono quindi un colpo d’occhio davvero straordinario. Ma tutta l’area della Piana di Sibari è interessata da importanti ritrovamenti archeologici come il sito indigeno degli Enotri di Francavilla Marittima, l’antica Cossa in località Paludi e la stessa Sibari dove è ubicato il Parco Archeologico omonimo.

Roseto deriva dal latino rosetum vista la diffusione della coltura delle rose in epoca greco-romana, che venivano utilizzate per riempire i guanciali delle principesse sibarite. La specifica “Capo Spulico” fu assunta nel 1970 in riferimento alla vicinanza del paese al Capo Spulico. Fondata attorno al VII secolo a.C., ai tempi della Magna Grecia Roseto era una delle città satellite di Sibari. La Roseto odierna nacque nel X secolo d.C., il principe Roberto il Guiscardo vi costruì tra il 1058 e il 1085 il Castrum Roseti, mentre raggiunse il suo massimo splendore nel 1260 quando fu costruito il Castrum Petrae Roseti (castello di Roseto) dato in feudo ai baroni della Marra. Fu centro di forte presenza albanese già dai primi del Cinquecento. Dopo un periodo di declino e di sottomissione al potere baronale, aggravato dall’Unità d’Italia e dall’emigrazione che ha segnato questa terra nella prima metà del Novecento, nei primi anni ‘70 vennero costruiti i primi “residence”, che aprirono le porte al turismo nello Jonio Calabrese e a Roseto Capo Spulico, che è andata nel tempo sviluppandosi specie nel settore del turismo balneare.

Amendolara; deriva probabilmente dal greco Amygdalaria ossia “mandorlai” per la ricca produzione di mandorle.  Secondo altri invece il nome deriva dal nome di famiglia “La Mendelèa“. Un insediamento degli Enotri dell’età del bronzo è testimoniato da alcuni resti archeologici rinvenuti nel “Rione Vecchio”. Nel VII secolo a.C. l’abitato si spostò nella sottostante pianura, dove Epeo, il mitico costruttore del cavallo di Troia, avrebbe fondato la città greca di Lagaria (resti in località San Nicola). In epoca romana esisteva una stazione di posta della via litoranea che ebbe probabilmente nome Statio ad Vicesimum (a venti miglia dalla città di Thurii) i cui resti (in particolare un sistema di cisterne per l’approvvigionamento idrico) sono stati rinvenuti nella zona dell’attuale “masseria Lista”. Dopo l’epoca romana vi furono fondate un’abbazia bizantina e quindi un’abbazia cistercense, mentre nel territorio sono presenti grotte eremitiche. Intorno al 1000 venne costruito il castello, che passò in successione a numerose famiglie nobili.

Trebisacce è un comune italiano di 8593 abitanti della provincia di Cosenza. Il territorio del comune confina con quelli di Albidona a nord ovest, di Plataci a sud ovest, e di Villapiana a sud, mentre ad est è limitato dal Mar Ionio. Dal 2015 Trebisacce è Bandiera Blu delle Spiagge, l’autorevole riconoscimento europeo assegnato dalla FEE e dal 2018 Trebisacce risulta essere l’unico comune calabrese ad aver ottenuto il riconoscimento di Spighe Verdi dalla FEE. Il nome del paese deriva dal greco trapezikion, ossia “piccola tavola” quindi “tavoliere”, riferendosi alle caratteristiche geografiche del territorio. Nell’ultimo cinquantennio Trebisacce ha raddoppiato la sua popolazione. Dagli anni ’70 gode di uno sviluppo economico e commerciale continuo, che è aumentato ancor di più dagli anni ’90 del XX secolo fino ad oggi, trasformando radicalmente la cittadina, da paese di pescatori fino a metà del ‘900 ad un attivo centro economico-commerciale-turistico della Costa Jonica, l’unico centro dell’Alto Jonio che raggiunge i 10.000 abitanti di popolazione.

Villapiana;

Villapiène in dialetto locale, è un comune italiano di 5.423 abitanti della provincia di Cosenza in Calabria. Ai tempi della Magna Grecia la città era nota come Leutermia. Tale nome fu conservato fino al IX secolo, quando venne, verso l’850, distrutta dai saraceni contemporaneamente a Blanda e Cirella. Intorno al 1300 il borgo fu ricostruito e prese il nome di Casalnuovo che conservò fino al decreto del 4 gennaio 1863, quando assunse l’attuale denominazione. Del periodo feudale è testimone il castello, dove trovarono abitazione i feudatari che si sono succeduti al governo del piccolo paese. Al tempo della Repubblica Partenopea il generale Championnet, incaricato di procedere all’ordinamento amministrativo dello Stato, comprendeva Casalnuovo nel cantone di Tursi, dipartimento del Crati.

Cerchiara:

Tra i paesi dell’Alto Ionio cosentino, compare il comune di Cerchiara di Calabria (CS). Situato a circa 650 m s.l.m. gode di una posizione privilegiata sulla famosa e fertile Piana di Sibari; questa località può inoltre vantare una grande fama in tutto il circondario per l’ottima qualità del pane prodotto nel suo territorio, tanto da fregiarsi del titolo di “Città del Pane“, assegnato da un’associazione che mette insieme diversi comuni italiani che lavorano per far conoscere e valorizzare le diverse tipologie di pane. A Cerchiara vi sono anche tre località, uniche e di notevole interesse. Oltre il centro storico, in cui meritano sicuramente una visita la chiesa di San Pietro e il diruto castello, c’è da citare prima degli altri due importanti siti il Santuario della Madonna delle Armi a circa 13 Km dal paese, costruito e ampliato alle pendici del Monte Sellaro, cima del Parco Nazionale della Sila. La seconda località da non perdere è la Grotta delle Ninfe, acque sulfuree che alimentano un complesso termale dall’omonimo nome. Nella grotta da cui le acque provengono si è creata una piscina con acqua che raggiunge i 30°C già famosa all’epoca della città della Magna Grecia di Sybaris, importante colonia Achea dell’odierna pianura di Sibari sviluppatasi tra il 720 e il 510 a.C. distrutta in questa data dalla concorrente Kroton. Infine ma non meno importante e di un fascino tutto particolare abbiamo sempre nel territorio di Cerchiara di Calabria l’Abisso del Bifurto anche detto la Fossa del Lupo, un inghiottitoio dalla grande rilevanza speleologica e geologica. La tipologia delle rocce del Pollino, prevalentemente carsiche, ha permesso la formazione di simili meraviglie: un “pozzo” verticale profondo quasi 700 m dal livello del suolo. Un importante elemento che fa di Cerchiara un’importante meta per gli appassionati del settore.

Sìbari;

è una frazione del comune di Cassano all’Ionio in Calabria. Fu una delle più importanti città della Magna Grecia sul mar Ionio, affacciata sul golfo di Taranto, tra i fiumi Crati (Crathis) e Coscile (Sybaris), riuniti a circa 5 km dal mare ma con foci indipendenti. La cittadella si basa su un’economia prevalentemente turistica. Sybaris fu fondata tra due fiumi, il Crati ed il Sybaris, alla fine dell’VIII secolo a.C. da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso. Sibari si sviluppò rapidamente grazie alla fertilità del suo territorio dove si coltivavano olive, frumenti, frutta e si produceva olio. Secondo Strabone, Sìbari fu fondata da Is di Elice. La città perse importanza e nel 193 a.C. i Romani vi dedussero una colonia, cui diedero nome Copia. Nell’84 a.C. fu trasformata in municipio e in periodo imperiale, tra il I e il III secolo d.C., si sviluppò nuovamente. Nel corso del V e del VI secolo iniziò a decadere per l’impaludamento della zona. Un secolo dopo l’area era completamente abbandonata.

Rossano:

impropriamente chiamata anche Rossano Calabro per distinguerla da Rossano Veneto, è un’area urbana di 36 623 abitanti, attualmente parte del comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza, in Calabria. La città è detta anche “La Bizantina” e “Città del Codex”, in omaggio al “Codice Purpureo”, uno degli evangeliari più antichi al mondo, custodito presso il Museo diocesano e del Codex e inserito nella lista dei beni del patrimonio UNESCO nella categoria “Memoria del mondo”. Si presume sia stato ondato dagli Enotri intorno all’XI secolo a.C., passò sotto il controllo magnogreco (VII-II secolo a.C.) e successivamente divenne l’avamposto romano nel controllo della piana di Sibari. Tra il 540 e il 1059 Rossano visse una fase di grande splendore sociale, artistico, culturale sotto il dominio dei Bizantini. Nei secoli successivi passò prima sotto il dominio dei Normanni e poi degli Svevi conservandosi città regia e quindi libera università, fino alla politica di infeudazione seguita dagli Angioini e poi dagli Aragonesi e dagli Spagnoli, sotto i quali si registrò la repressione di alcune ribellioni popolari contro il sistema feudale e le politiche fiscali. Le politiche feudali proseguirono sotto il viceregno austriaco e con i Borbone. A partire dagli anni cinquanta del XX secolo, la città, come altre in Calabria il cui nucleo storico si era sviluppato nell’entroterra in considerazione della salubrità dei luoghi oltre che per i presìdi naturali di difesa proseguì la sua espansione prevalentemente a valle e in pianura, attraversata dalle maggiori infrastrutture di collegamento ferroviario e stradale.

Corigliano;

Le origini di Corigliano sarebbero da riportare all’epoca dell’incursione araba del 977 da parte dell’emiro di Palermo, al Quasim, quando alcuni abitanti della Terra di Aghios Mavros (San Mauro, nei pressi dell’attuale frazione di Cantinella) si spostarono in luoghi più elevati, determinando lo sviluppo del piccolo villaggio di Corellianum (il cui nome indicherebbe un “podere di Corellio”) sul colle secoli dopo denominato “delli Serraturi” (nome derivato dalla concentrazione nella zona di un consistente numero di segantini: la denominazione è stata successivamente adeguata all’italiano nella forma “Serratore”). Dopo la conquista normanna, a Roberto il Guiscardo viene attribuita nel 1073 la fondazione di un castello, con annessa chiesa dedicata a San Pietro. La città si sviluppa progressivamente intorno al castello e alle chiese di “Santoro” e di “Santa Maria”. Durante il XIV secolo vi era stata accolta una comunità ebraica e nella località “Pendino” venne costruito il monastero francescano. Nel XIV secolo fu sotto il dominio dei conti di Sangineto per passare in seguito ai Sanseverino. Un arresto dello sviluppo si ebbe nel XV secolo, a causa del continuo stato di guerra tra Angioini e Aragonesi. Nel 1863 Corigliano prese la denominazione di “Corigliano Calabro” per evitare la confusione con Corigliano d’Otranto. La zona costiera coriglianese con i suoi 12 km di spiaggia costituisce la “freccia” di quell’arco naturale che è la Piana di Sibari, alternando luoghi incontaminati a spazi turistico-balneari attrezzati. La caratteristica di queste spiagge è la presenza, in prossimità della riva, di sabbia e pietrisco di piccole dimensioni alla marina di Schiavonea e di Fabrizio, mentre salendo verso nord, superata la zona del Porto di Corigliano e giungendo ai Salici, questa si presenta soffice, allungandosi dalla pineta sino al mare. I fondali marini, differenti da zone in zone, presentano un habitat completamente sabbioso e fangoso superata una determinata profondità con una gran quantità di specie animali e vegetali. Il borgo marinaro della Schiavonea, oggi grosso centro turistico-balneare della Calabria, vanta la più grossa flotta peschereccia, annoverata come la prima della regione, che trova riparo nel grande Porto di Corigliano interamente scavato nella terraferma lungo la linea di costa. Passando attraverso il territorio di Corigliano è possibile incontrare una enorme varietà di paesaggi e di vegetazione che si rincorrono, tra il mare e la preSila, in poco meno di 5 km.

 

Proposta progettuale, per l’istituzionalizzazione del brand turistico-commerciale “Costa delle Zagare – Capo Sud”

Costa delle Zagare

Erroneamente questo tratto di costa è stata assimilata all’identificazione della “Costa dei Gelsomini”, ma che in realtà avrebbe un unico fattore denominatore poco considerato e mai promosso abbastanza; parliamo del tratto costiero della “Riviera delle Zagare” che in realtà sulle mappe turistiche on line e cartacee non compare, ma si tratta comunque di una fascia che va da Reggio Calabria sino a Capo Spartivento che è caratterizzata dalla presenza di numerosi ed estesi frutteti coltivati ad Aranci e Bergamotti. Questo tratto di costa è la zona più a sud dell’Italia peninsulare e la terza in Europa dopo Capo Tarifa (Spagna) e capo Catapan (Grecia). La presenza di estesi aranceti e bergamotteti sul territorio caratterizza l’area press in esame, oggi purtroppo gli aranceti di un tempo sono ormai desueti, ma il Bergamotto di Reggio Calabria (definito l’oro verde del territorio) profuma ancora di essenze Ed è in continua espansione, grazie alle numerose aziende agricole che si sono formate attorno a tutta la filiera di produzione. Quale miglior occasione sarebbe identificare questa fascia costiera con un appellativo tanto veritiero quanto ovvio?! Sono molte le spiagge presenti nel tratto di costa in questione. Quella di Capo d’Armi, con la rocca a pendio sul mare a Melito Porto Salvo bellissime sono la spiaggia di Annà (che va dal camping stella marina fino alla stazione ferroviaria di Annà) sabbiosa e con strati di ghiaia sulla battigia, un tuffo lo meritano anche le acque antistanti località Rumbolo, dove il 19 agosto 1960 sbarcò Garibaldi con i Mille e dove a pochi metri dalla riva riposa il bastimento Franklyn affondato dopo lo sbarco dalle navi Borbone. Altre spiagge bellissime, sabbiose ed estese si trovano a Marina di San Lorenzo e Condofuri Marina. Di notevole bellezza, è anche la spiaggia che dal lungomare di Condofuri continua fino alla foce della fiumara dell’Amendolea, spiagge bellissime sabbiose e molto ambite dalle tartarughe Caretta Caretta. A Bova Marina, molto belle sono le spiagge e le calette a ridosso Rocca del Capo e San Pasquale così come spiagge caratteristiche si trovano a Palizzi, Spropoli fino a Capo Spartivento, dove il Faro domina la visuale e la costa. Negli anni ‘70/’80 la Pro Loco Melitese su input del suo Presidente Roberto Pansera ed il Rag. Alfredo Palumbo, si era avviata una seria campagna di promozione per l’istituzione del brand – identitario dal nome “Riviera delle Zagare” poi in seguito caduto nel dimenticatoio.

Sarebbe quindi interessante se si riavviassero processi di rilancio dell’idea che all’epoca stava prendendo forma, al fine di promuovere e valorizzare al meglio questo tratto di costa, tra i più caratteristici del basso ionio reggino e dell’area grecanica che coinvolge e la identifica.

 

Itinerario elaborato dai Volontari del Servizio Civile Universale – Brancaleone

Si ringraziano:

Alessandra Sgrò e Antonino Guglielmini e tutti gli autori delle immagini e dei testi.

Leonardo Condemi (Copertina)

 

Nasce il progetto Poleis; a Marzo la prima tappa

Nasce il progetto Poleis, dal gergo Greco “Città”. Sono le nuove iniziative culturali che il gruppo Kalabria Experience si prefigge di calendarizzare per l’anno in corso, che si inseriscono nel ricco calendario esperienziale che costituirà una serie di cammini (adatti a tutti e per tutti) inseriti nella programmazione 2023.

Poleis è un contenuto culturale e sociale che mira alla scoperta e riscoperta dei Borghi della Calabria Grecanica e Locridea, che caratterizzerà questo 2023, ricco di sorprese e nuove esperienze tutte da vivere e scoprire.

VI PRESENTIAMO IL LOGO DEL PROGETTO POLEIS

L’idea scaturisce ed è maturata dall’esigenza di narrare il territorio dal punto di vista storico e antropologico, andando a rimarcare quell’identità GREKA che contraddistingue la nascita, la vita e l’evoluzione dei borghi collinari e di montagna della Calabria Ionica, che a partire dall’ellenizzazione della nostra regione, ha mosso popoli e genti nei contesti attuali, su cui si è fondata l’antica radice culturale di questa terra, ricca di tracce di un antico passato, antico e nuovo splendore.

L’Area Grecanica, è un concentrato di borghi tra i più autentici del territorio Aspromontano e pre-aspromontano, che ancora conservano un’identità immutata e doverosamente custodita dagli anziani del posto, veri scrigni di identità e di ricchezza culturale. Qui si fondano le radici della lingua greco-calabra che ha un’enorme bagaglio culturale alle sue origini ed evoluzioni, giunte sino a noi attraverso quel profondo legame che ancora oggi deve la sua rivalsa grazie alle nuove generazioni che hanno saputo mantenere quell’identità vergine e pura attraverso azioni che sui territorio hanno generato un interesse sempre più crescente, arrivato sino ad oggi ad identificare un’area ben precisa e circoscritta che rientra giuridicamente in quella conosciuta come “Area Grecanica”.

L’area della Locride, sarà un tuffo nel glorioso passato e nel tempo, dove i primi coloni greci hanno importato culture, usi, costumi, gastronomia e stili di vita che affondano le proprie origini sin dalla notte dei tempi. La Magna Graecia, le Poleis della Locride, i borghi e le sue straordinarie meraviglie custodite all’interno delle aree archeologiche fra le più importanti al mondo, hanno attraversato anche l’epoca Bizantina, lasciandoci tracce d’arte e di architettura che oggi rappresentano una delle particolarità dei territori del basso Ionio reggino. Tra i resti dei siti magno-greci e borghi medievali contornati da paesaggi di bellezza e storia infiniti.

A queste esperienze, si aggiungono nuovi itinerari ed importanti collaborazioni, perchè cambiano i tempi, ma non lo stile di Kalabria Experience, che da sempre opera sul territorio calabrese ponendosi l’obbiettivo di coinvolgere i veri attori e animatori locali che rappresentano ed hanno sempre rappresentato per noi le vere COLONNE della conoscenza.

Escursioni in natura, attraverso il racconto di storie e leggende, suggestioni, fatti e misfatti. Tutto questo rappresenta una vera UNIVERSITA’ che sarà in grado di offrire non solo giornate piacevoli in compagnia di gente piacevole, ma sarà anche il modo per raggiungere l’obbiettivo di creare una vera e propria AGORA’ di condivisione, di interazione e coinvolgimento umano, nell’ottica della promozione di tutti quei valori materiali ed immateriali che contraddistinguono le zone ed i luoghi che saranno coinvolti.

Dunque, non solo escursioni, ma una vera fucina di idee e premesse, per promuovere tutti insieme il nostro meraviglioso territorio, la “NUOVA MAGNA GRAECIA” che si affaccia al mondo, con un approccio umano, sostenibile e fiducioso di incontrare sul proprio cammino esperienze da vivere, anche quelle dietro l’angolo di casa.

Non resta che attendere Febbraio, che sarà il mese in cui partiranno le nostre passeggiate, tra natura, cultura, storia e identità!!!

 

IN SINTESI LE PROPOSTE DEL PROGETTO POLEIS

1) AgroArcheoTrekking tra i borghi della Vallata La Verde (Casignana, Caraffa e Sant’Agata del Bianco) Marzo

2) La Capitale Morale e Culturale dell’Area Grecanica;  (Bova e Parco Archeologico Archeoderi di Bova Marina) Aprile

3) La Valle degli Armeni; (Brancaleone, Staiti, Bruzzano Vetere, Ferruzzano) Aprile

4) La Vallata dello Stilaro; (Stilo, Bivongi e Pazzano) Maggio

5) La Valle dell’Amendolea; (Amendolea e Gallicianó) Maggio

Esperienze in notturna nei borghi della Valle degli Armeni; (Brancaleone Vetus e Ferruzzano Superiore) Agosto

6) La Locride dei borghi Medioevali; (Caulonia e Gioiosa Jonica) Settembre

7) L’area Grecanica Patria del Vino; (Palizzi e Pietrapennata) Ottobre

8) La Locride Greca e Bizantina;  (il parco Archeologico di Locri Epizefiri e Gerace) Ottobre

 

Il programma delle esperienze in natura, proposte al di fuori del “progetto Poleis” verrà reso noto  all’interno di questo sito e delle pagine facebook collegate a noi.

15 Itinerari spirituali calabresi da non perdere

Il turismo religioso in Italia ed Europa è una vacanza evoluta che non presenta solo profili ludici o culturali, ma vuole cercare emozioni particolari visitando i luoghi religiosi. In Italia, ma anche nel resto d’Europa, questa nuova frontiera del turismo è in forte espansione, in controtendenza all’attuale crisi, e mette a disposizione dei fedeli interessanti offerte per raggiungere le destinazioni più prestigiose.

Perfino le agenzie di viaggio si stanno specializzando per poter al meglio soddisfare ogni tipologia di richiesta, sia per singole persone, sia per gruppi organizzati fornendo adeguate offerte.

Il turismo religioso sta vivendo un momento particolarmente fortunato legato alla possibilità di esplorare territori carichi di fascino e simbologie. Un viaggio religioso è un percorso fatto in modo consapevole; si parte con l’intento della scoperta e dell’arricchimento culturale oltre che religioso. Sono viaggi che escludono le corse frenetiche con itinerari sovraffollati, ma che danno la priorità al piacere della scoperta.

Anche la Calabria, con la sua ricca offerta di siti di interesse, offre una ricca offerta spirituale, che unisce non solo il piacere di scoprire e riscoprire il culto e la devozione ai Santi, ma anche un modo per viaggiare, conoscere luoghi, borghi e territori dal fascino unico ed immutato.

In questo itinerario ne abbiamo selezionato, dieci fra i santuari e i siti di interesse spirituale, che non è una classifica, ma è un itinerario che si pone l’obbiettivo di far conoscere l’essenza stessa di una Calabria mistica e spirituale, che offre, e sa offrire valide alternative turistiche, in grado di competere con i maggiori Santuari.

 

1) Reggio Calabria – Madonna della Consolazione

La festa di Santa Maria Madre della Consolazione, o più comunemente chiamata festa della Madonna della Consolazione, è il principale evento religioso e civile della città di Reggio Calabria. E’ celebrata in onore della compatrona della città. La festa prende avvio la mattina del secondo sabato del mese di settembre con la processione della sacra Effigie, che dalla Basilica dell’ Eremo viene portata alla Basilica Cattedrale. Una seconda processione, che segue un percorso nel centro storico cittadino, avviene il martedì immediatamente successivo. La sacra effige della Madonna, collocata su una pesante vara, viene trasportata in processione dalla collina dell’ Eremo fino al Duomo, dai famosi “portatori”, che a spalla conducono il quadro attraverso un percorso cittadino che si snoda fra ali di folla in preghiera e giubilo.

2) San Luca (RC) Santuario della Madonna di Polsi

Il Santuario Madonna di Polsi (noto anche come santuario della Madonna della Montagna, è un santuario situato presso la frazione di Polsi del comune di San Luca e fa parte della Diocesi di Locri-Gerace. Sulla Madonna si raccontano molte leggende. Una di queste vuole che nel XI secolo alcuni monaci si siano spinti nel cuore dell’Aspromonte, ai piedi di Montalto, dove fondarono una piccola colonia e chiesa. Secondo un’altra versione tradizionale, molto diffusa, nell’XI secolo un pastore di nome “Italiano”, intento a cercare una giumenta smarrita in località Nardello, scorse l’animale che disotterrava una croce di ferro, qui gli sarebbe apparsa la Vergine col Bambino, chiedendogli che fosse costruita in quel luogo una chiesa a lei dedicata. Tutt’oggi all’interno del santuario vengono conservate una statua in tufo di provenienza Messinese, il cui peso sfiora gli 8 quintali, e la Santa Croce, ritrovata dal pastorello “Italiano”. La festa ogni anno si tiene il 3 Settembre, ed ogni 25 anni avviene uno dei momenti più solenni ed attesi dai fedeli, che giungono da tutto ul sud Italia, l’incoronazione della madonna. Altra solennità importante è il giorno dell’Esaltazione della croce il 14 settembre.

 

3) Riace (RC) Santuario dei Santi Cosma e Damiano

La festa dei Santi Cosma e Damiano di Riace è una festa che si svolge dal 25 al 27 settembre ogni anno a Riace (RC) in onore dei santi Cosma e Damiano. La festa avrebbe avuto origine nel 1669 quando a Roma giunsero le reliquie dei due santi, i quali divennero i Patroni della città nel 1734. La festa dei Santi Medici attrae ogni anno una grande affluenza di fedeli e le comunità Rom e Sinti devoti dei santi medici considerati loro protettori le cui radici sono molto antiche e profonde. Arrivano da tutta la Calabria per onorare, anche, il Beato Zeferino Giménez Malla, detto “El Pelé” (1861-1936). Ciò che caratterizza questa festa e la procesisone dalla Chiesa del Paese sino al Santuario, è la processione che è seguita da balli tradizionali come la tarantella suonata con strumenti tipici della tradizione, accompagnata dai balli e soprattutto abiti tradizionali che le comunità Rom o Sinti vestono fanno indossare anche ai bambini in segno di devozione o per grazia ricevuta.

 

4) Paola (VV) Santuario di San Francesco

E’ stato un religioso italiano, proclamato santo da papa Leone X l’1 gennaio 1519. Eremita, ha fondato l’Ordine dei Minimi. Francesco nacque a Paola, in Calabria Citeriore, Regno di Napoli (oggi in provincia di Cosenza). Il 27 maggio 1416 da Giacomo Martolilla, e Vienna da Fuscaldo. La famiglia di Giacomo proveniva da Cosenza, e ancora prima originaria da Messina. Il nome viene dato al bambino in onore a san Francesco d’Assisi, per l’intercessione del quale i due coniugi chiesero la grazia di un figlio, pur trovandosi già in età avanzata. Alcuni anni dopo nacque la figlia Brigida. Fin da piccolo , Francesco fu particolarmente attratto dalla pratica religiosa, denotando umiltà e docilità all’obbedienza. All’età di tredici anni narrò la visione di un frate che gli ricordava il voto fatto dai genitori. Poi trascorse un anno in convento adempiendo alla promessa dei genitori

5) Palmi (RC) San Fantino di Taureana

Il complesso archeologico di San Fantino è un’area ubicata a Taureana frazione di Palmi e prospetta sulla piazza di San Fantino. Composta da una chiesa ottocentesca, dai resti precedenti chiese paleocristiane e medievali e dalla “cripta di San Fantino”, luogo cristiano piu’ antico della Calabria che conservava un tempo le sfoglie del santo. Nel 1952 , nella chiesa di San Fantino già in stato di abbandono per la costruzione nel nuovo luogo di culto in un’altra zona di Taureana, vennero effettuati degli scavi che portano alla luce, in maniera del tutto fortuita, la cripta di San Fantino, nella quale probabilmente era sepolto il santo titolare. Negli scavi del 1993 emersero anche le pavimentazioni anche della chiesa ricostruita nel 1552 dal conte Pietro Antonio Spinelli feudatario di Seminara e Palmi. Di questa chiesa sono state rinvenute le mura interne allineate sull’asse est-ovest con ingresso a nord.

6) Melicuccà (RC) Grotta di Sant’Elia

Secondo la “vita” fonte principale per la sua biografia, scritta da un anonimo monaco e raccolta in unico manoscritto , scritto nel 1308 nel monastero di s. Salvatore in lingua Phari a Messina, Elia nacque a Reggio Calabria da famiglia agiata fra l’860 e l’865. Da bambino in un grave incidente perse una mano e perciò ebbe dai contemporanei il soprannome di (moncherino). Appena diciottenne decise di farsi monaco intraprendendo cosi un lungo cammino spirituale che lo portera’ alla santità. La prima tappa di questo percorso e’ il ritiro a vita eremitica nella chiesa di s. Aussenzio nelle pendici di un monte presso Taormina . Succesivamente Elia, condusse un pellegrinaggio per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, dove ebbe la possibilità di conoscere l’esperto Ignazio che lo educo’ alla vita monastica. Finito questo periodo di apprendistato Elia rientra nella sua Reghion per unirsi ad uno anziano monaco allora famoso, Arsenio, che viveva al tempo nel monastero di Santa Lucia, è qui che riceve l’abito monacale. Fonte: FAI Fondo Ambiente Italiano

7) Paravati (VV) Natuzza Evolo – Santuario Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime

Natuzza Evolo, è stata una mistica, nacque a Paravati, frazione del comune di Mileto. Il padre, Fortunato, qualche mese prima che lei nascesse, nella speranza di poter contribuire economicamente al sostegno familiare emigrò in Argentina, da dove non sarebbe tornato mai più, formando una nuova famiglia. La madre, Maria Angela Valente, rimasta sola con numerosi figli da accudire, si adattò ai lavori più umili per sfamare la famiglia. La bambina non ricevette una particolare formazione religiosa, anche perché la condotta di sua madre era abbastanza chiacchierata in paese. A 14 anni, per aiutare la famiglia ando’ a lavorare come domestica in casa dell’avvocato Silvio Colloca, guadagnandosi subito la fiducia della famiglia . Ma dopo poco tempo Natuzza fu al centro di presunti fenomeni paranormali, quali la visione di persone che erano gia’ defunte. Nel 1941 Natuzza si licenziò da quel lavoro, andò a vivere presso la nonna paterna e pensò di farsi suora, ma questa idea gli fu sconsigliata, proprio perché era protagonista di questi fenomeni “inquietanti”.

Fonte: giornaledicalabria.it

 

8) Cerchiara di Calabria (CS) Santuario della Madonna delle armi

Il santuario di Santa Maria delle Armi, è un complesso monumentale, di origine medievale, della Calabria. Si trova nel territorio di Cerchiara di Calabria alle pendici del monte Sellaro . Il titolo Madonna delle Armi deriva dal greco (Ton armon) ossia “delle grotte, degli anfratti”, con riferimento ad alcune grotte del monte Sellaro. L’odierno santuario sorge su un antico sito monastico bizantino, alle pendici del monte Sellaro, anche noto come monte santo. Già prima nel X secolo si ha notizia nella vita si san Saba di un monachus ascetarii Armon ( un monaco proveniente dall’ascetario delle armi) e, poco distante dell’esistenza del celebre monastero bizantino di sant’Andrea, guidato dagli abati (egumeni) Pacomio e e san Gregorio da Cerchiara. Nel 1192 una ricca donazione in greco di un facoltoso cherchiarese, Gervasio Cabita, menziona, tra gli altri benefici, il monastero femminile di Santa Maria delle Armi e la sua chiesa.

 

9) Serra San Bruno (VV) La Certosa di San Bruno

Bruno era nato a Colonia, in Germania, intorno al 1030. Studiò lettere a Reims e teologia nella sua città natale. Divenuto maestro alla scuola della Cattedrale di Reims, da lui diretta, ebbe fra i suoi allievi, il monaco benedettino Ottone di Châtillon, che nel 1088 diverrà papa con il nome di Urbano II. Fu costretto ad abbandonare la sua terra e la scuola a causa di forti dissidi con il vescovo Manasse di Gournay (1067 – 1082). Il vescovo Ugo di Grenoble che lo aiuterà donandogli un terreno, secondo la tradizione, vide in sogno sette stelle che indirizzavano sette pellegrini in un luogo solitario, nel cuore della Chartreuse, e fu proprio assieme a sei compagni che, nel 1084, Bruno eresse la casa madre: la Grande Chartreuse, dove si dedicherà alla vita contemplativa. Alcuni anni dopo, papa Urbano II lo scelse come consigliere privato e lo convocò a Roma, dove risiedette per alcuni anni. Rifiutata la nomina arcivescovile di Reggio Calabria, Bruno si stabilirà nella località detta La Torre (oggi Serra San Bruno), sulle terre del conte Ruggero d’Altavilla, dove eresse nel 1094 l’Eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di 2 km più a valle, fondò per i conversi il Monastero di Santo Stefano. Bruno morì nella certosa calabrese il 6 ottobre 1101.

10) S. Domenica di Placanica (RC) – Santuario della Madonna dello scoglio

La storia di questo Santuario, è legata a doppio filo con quella di Fratel Cosimo, infatti, l’uomo ha più volte ricevuto la visita della Santissima Vergine, la prima volta fu nel maggio del 1968, poco dopo l’imbrunire, mentre Cosimo Fragomeni era intento nel portare agli animali del fieno. In quell’occasione la Madonna gli Chiese di costruire sul luogo della sua apparizione una Cappella, per permettere alle genti di pregare. Altre apparizioni si susseguirono, insieme ad eventi miracolosi, dopo la costruzione della Cappella, Fratel Cosimo chiese ad un pittore di Caulonia di nome Ilario Tarsitani, di dipingere un’immagine della Madonna, secondo la sua visione. In seguito Fratel Cosimo ebbe un’altra visione, da un punto del terreno sgorgava dell’acqua miracolosa, ebbene nell’Ottobre del 2001 durante la Messa, sentì lo scroscio di acqua come quella di una cascata. Cosimo divenne terziario francescano il 17 gennaio 1987 e per circa 10 anni di fila ha ricevuto le visite della Vergine, lui si è sempre appuntato le sue parole e si premurò di consegnarle al parroco.

11) Seminara (RC) Monastero dei Santi Elia e Filarete

Il Monastero dei Santi Elia il Giovane e Filarete l’Ortolano a Seminara, uno dei più interessanti Monasteri Ortodossi presenti nel Sud Italia, che richiamò l’attenzione in passato di regnanti e papi. Secondo la tradizione, Sant’Elia il Giovane ebbe una visione in Antiochia di Siria in cui gli venne indicato dove edificare “l’ascetica palestra”: si trattava dell’antica Vallis Salinarium (Valle delle Saline), l’attuale Piana di Gioia Tauro, in un luogo a due chilometri a nord-est di Seminara. Gli storici datano nell’anno 884 la costruzione del cenobio, inizialmente concepito come asceterio. Presto accorsero i primi discepoli, fra i quali il monaco Saba, e divenne meta di pellegrinaggio. Il monastero imperiale di S. Elia fu assegnato da Roberto il Guiscardo nel 1062 all’abbazia benedettina di S. Maria, nella valle di Nicastro, nel luogo detto di San’Eufemia. Nel periodo normanno il monastero, continuò ad essere un importante luogo di culto, meta di tantissimi pellegrini desiderosi di venerare le miracolose reliquie dei santi protettori del cenobio. Il nome Filarete secondo la tradizione latina significa “pescatore”, mentre secondo quella greca significa “amante della virtù”. Morì nel 1070 e fu seppellito nel cenobio di Seminara che nel 1133 venne dedicato dai latini anche a lui, oltre al fondatore Elia. A Seminara, nella Basilica della Madonna dei Poveri fu custodito un avambraccio del santo in un reliquiario d’argento proveniente dal monastero, e anche il cranio fu rinchiuso in un reliquiario d’argento, probabile lavoro di scuola messinese del 1717.

Fonte; Alfonso Morelli team Mistery Hunters

 

12) Bivongi (RC) San Giovanni Theristis

Il Monastero di San Giovanni Theristis, a Bivongi è l’unico in Italia fondato dai monaci del monte Athos (in Grecia. Il monastero venne intitolato a San Giovanni Theristis perché si racconta che nell’XI° secolo, in questo territorio, sia vissuto San Giovanni, un giovane monaco nato a Palermo, al quale si attribuiscono molti miracoli tra i quali quello dell’improvvisa mietitura del grano a Maroni. Da qui l’appellativo di Theristis, che appunto significa mietitore. Con la costituzione dell’Ordine Basiliano d’Italia nel 1579 l’edificio divenne uno dei maggiori cenobi della congregazione religiosa greco-ortodossa “uniate”. Nel XVII° secolo, a causa delle scorrerie di alcuni briganti, i monaci abbandonarono il monastero e si trasferirono a Stilo nel convento di S. Giovanni Theristis fuori le mura dove vennero traslate le reliquie del “Mietitore” e dei Santi Nicola e Ambrogio. All’inizio del XIX° secolo, in seguito alle leggi napoleoniche, la basilica divenne proprietà del comune di Bivongi e dal 1994 i monaci greco-ortodossi del monte Athos vivono stabilmente nel monastero. Il piccolo monastero con alcune celle , rimane a sinistra del grande portale granitico attraverso il quale si accede al cortile e quindi alla basilica. In fondo al cortile rimangono i ruderi del vecchio monastero. Attualmente ci vive una comunità di monaci ortodossi rumeni.

Fonti: https://borghidellariviera.wordpress.com/il-monastero-bizantino-di-s-giovanni-theristis/

13) Crotone – Santuario della Madonna di Capocolonna

La tradizione di questo Santuario vuole che l’immagine della Vergine sia stata portata a Crotone da S. Dionigi Aeropagita, primo Vescovo di Crotone, e che sia stata dipinta da S. Luca. La sacra l’immagine su tela è probabilmente opera bizantina, nel corso dei secoli ha subito vari restauri ad opera di artisti diversi. La tradizione narra che, nel 1519, i turchi assediarono la città di Crotone mettendo a ferro e fuoco tutto. Nella loro opera di distruzione, essi non risparmiarono gli edifici sacri: distrussero tutto ma, quando provarono ad incendiare la tela della Vergine non vi riuscirono. Intimoriti dall’accaduto, i turchi buttarono il quadro in mare; ma presto, questo riapprodò dolcemente a riva dove venne trovato e portato in salvo da un pescatore. Da allora la sacra icona è conservata presso la cappella ottocentesca del Santuario di Santa Maria di Capocolonna e onorata con una grande festa che si tiene la terza domenica di maggio. L’opera su tela è certamente di stile bizantino. Nel V secolo a.C., dove oggi sorge il Santuario, emergeva un tempio pagano – in stile dorico- dedicato alla Dea Hera Lacinia, che conteneva immensi tesori tra cui la Veste di Alcistene. Sul promontorio Lacinio ora sorge la chiesa dedicata alla Madonna di Capo Colonna: al culto pagano di Hera, la dea più importante dell’Olimpo, si è sostituito il culto cristiano della Madonna regina dei cieli.

14) Gimigliano (CZ) Santuario della Madonna di Porto

Le origini dello splendido e mistico santuario calabrese affonda le sue origini nella storia del giovane ladruncolo Pietro Gatto, e all’anno 1751. Il culto alla Madonna di Gimigliano risaliva tuttavia al 1626, quando il popolo di Gimigliano di proclamare la Vergine di Costantinopoli protettrice del paese per difendersi dalle catastrofi naturali.La Basilica permette infatti l’incontro dei pellegrini con il Signore nel bel mezzo della pace della natura, come vera “oasi” di silenzio, preghiera, incontro, in cui attingere alle sorgenti della Parola e della Comunione. Negli anni infatti il Santuario della Madonna di Porto è diventato uno dei centri più famosi della spiritualità mariana in Calabria, e il messaggio che la Madonna di Porto affida ai suoi pellegrini è piuttosto eloquente. Maria chiede a tutti i suoi figli, infatti, “la conversione come cambiamento di mentalità e comportamenti di vita”.

 

15) Torre di Ruggiero (CZ) Santuario della Madonna delle Grazie

Il Santuario della Madonna delle Grazie, sorge nel cuore delle serre calabresi e trae le sue origini al tempo dell’iconoclastia, quando i monaci basiliani in fuga dall’oriente fondarono in questo luogo una Dacia basilina. Il 17 aprile del 1677 due ragazze del luogo, Isabella Cristello e Antonia De Luca, andarono al Santuario per pregare e qui mentre erano raccolte Isabella guarì dal male che da tempo l’ affliggeva e contemporaneamente le due giovani assistevano alla visione celestiale della Vergine che chiedeva di essere in quel luogo riverita dai popoli vicini e lontani e da quel luogo, Lei avrebbe dispensato abbondanti le sue grazie e i suoi favori. Le grazie nei giorni seguenti si susseguirono senza numero e man mano che la notizia si divulgava, sempre più gente si recava in processione per assistere agli eventi prodigiosi. Distrutto dal terremoto che il 5 febbraio del 1783, 74 anni dopo la Madonna stessa tornò per destare la secolare devozione, apparendo alla contadina torrese, Pascale luna, chiedendo la ricostruzione del Santuario. Ma i mezzi necessari mancavano e così il popolo piano piano dimenticò la promessa della ricostruzione. Il pomeriggio del 10 aprile 1858, sabato in albis, mentre lavorava il terreno nei pressi del Santuario vide zampillare una polla d’acqua e ricordandosi che proprio in quel luogo la tradizione ricordava una fonte, si dissetò e si lavò gli arti doloranti guarendo all’istante. Commosso dal prodigio corse in paese e i torresi capirono che era l’ennesimo segno voluto dalla Madonna per ricostruire il suo Santuario. L’8 maggio dello stesso anno la cuiria vescovile di Squillace autorizzò la ricostruzione della Chiesa che in tempi brevissimi per quel perido fu ultimata e consacrata l’8 settembre 1858. La nuova statua della Madonna delle grazie fu un dono di Vittorio Emanuele II. La festa principale della Madonna si celebra l’8 settembre.
Fonti: FAI Fondo Ambiente Italiano

 

Sono innumerevoli i Santuari e luoghi mistici caratterizzano la nostra regione, in un percorso spirituale che affonda le proprie origini in tempi remoti.

Qui https://www.viaggispirituali.it/santuari-in-italia/santuari-della-calabria/ una lista completa dei luoghi della fede Calabresi che esprime tutto il carattere spirituale e religioso di una regione, da secoli considerata una “terra benedetta”, che diede natali e ospitalità a numerosi Santi, che oggi fanno parte del nostro bagaglio culturale, spirituale, religioso e artistico.

PROGETTO:

Itinerari culturali e sostenibilità sociale nel meridione d’Italia a cura di; Alessandra Sgrò e Antonino Guglielmini.

Copertina a cura di Leonardo Condemi

 

Si ringraziano le fonti e gli autori delle immagini.

Calabria; Culla di Civiltà e crocevia di Popoli e genti

La storia della Calabria è una storia affascinante, fatta di popoli e genti che hanno posto le basi ad una delle civiltà più interessante ed evoluta della storia Nazionale ed Europea. Attraverso questo viaggio nella storia e nel tempo, abbiamo attinto da diverse fonti, per cercare di dare un nome ed un volto a tutti quei quelle popoli che hanno dato vita a quell’Humus culturale che rende la nostra Regione fra le più uniche al mondo.

La Calabria, terra e crocevia di popoli, che hanno dato il nome all’Italia

Gli Enotri-Pelasgi, originari della Siria, avendo trovato questo suolo molto fertile, denominarono la regione “AUSONIA” dal nome Ausonide, regione fertilissima della Siria. Enotrio avrebbe regnato per 71 anni lasciando come erede il figlio ENOTRIO-ITALO, uomo forte e savio, e da lui l’Ausonia avrebbe assunto il nuovo nome di  “ITALIA” o “VITALIA” come lo stesso Virgilio cantò nel libro terzo dell’Eneide. Finanche Tucidice confermava tali tesi “…quella regione fu chiamata Italia da Italo, re arcade”. Enotrio-Italo, avrebbe regnato per 50 anni, scrive fra Girolamo da Firenze, ed ebbe come successore “MORGETE”, il quale, per la consuetudine dei suoi predecessori, avrebbe cambiato il nome di Italia in quello di “MORGEZIA”. Il Barrio scrive che a Morgete sarebbe successo “JAPIGIO”, il quale con numerosa flotta sarebbe approdato nel Golfo di Squillace, ne avrebbe occupato il territorio e lo avrebbe chiamato “JAPIGIA”. Aristotile però nell’orazione d’Ercole, precisa che non tutta la regione abbandonò il nome di Italia e aggiunge che BRETTIO, figlio di Ercole, giunto nella nostra regione, l’avrebbe occupata contro i Morgezi e i Japigi e l’avrebbe chiamata “BRUZIA”. La tesi aristotelica fu accettata da Stefano di Bisanzio e dal Guarnacci, il quale scrive: “…Bruzia venne chiamata quella terra, che ebbe il nome di Morgezia, Japigia e Italia”.

Secondo gli scrittori romani, il nome di Bruzia seguì a quello di “MAGNA GRECIA” tra il sec. V e IV a.C. Infatti Ovidio nei “Fasti lib. IV” cantò “...Itala nam tellus, Graecia major erat”. Anche Strabone, Plinio e Cicerone scrivono che “…la regione Italia fu chiamata Grecia per i nuovi numerosi suoi abitatori greci”.

Lo stesso Diodoro Siculo, con Tito Livio scrive che … “il nome di Bruzium la nostra regione lo avrebbe preso dopo quello di Magna Grecia, quando nel sec. IV a.C. i Bruzi o Bretti, scesi dalla Lucania, presero a scorrazzare per tutto il territorio dopo aver, secondo il Barrio, espugnato Cerchiara, prima fortezza incontrata sul confine calabro-lucano. Distrussero Terina, Ipponio e Thurii e fondarono una loro federazione, che si estendeva dal Laos della Lucania all’Aspromonte”. 

Dalle vicende ricordate si deve desumere che la storia dei Bruzi in Calabria cominciò con l’occupazione di Cerchiara. Tra tutti i nomi con cui i vari occupanti hanno voluto chiamare la nostra regione il più affermato rimase quello di ITALIA, usato anche da Erodoto (V sec. a.C.), che di persona aveva visitato la Magna Grecia. Con lo stesso nome spesso si indicò tutta la costa jonica, fino a Taranto, per la sua comunanza di vita storico-culturale con la Magna Grecia (sec. IV a.C.).

Nel sec. III a.C. il nome passò all’Italia centrale e, poi, a quella settentrionale, dall’Arno al Rubicone, fino ad indicare tutto il territorio della penisola con la riforma amministrativa ordinata da Augusto nel 24 a.C. quando Plinio già poteva dire: “…questa è l’Italia sacra agli dei”

Le origini del nome ITALIA, fra storia e mito;

La provenienza del nome Italia e della sua radice da VITELLO-TORO è confermata dal fatto che allo scoppio della guerra sociale (90-87 a.C.), provocata dagli alleati italici: Marsi, Sanniti e Lucani contro Roma, per la parificazione dei diritti, fu dai ribelli vittoriosi scelto il Toro come simbolo monetale e a Corfino, centro del moto insurrezionale, fu dato il nome di “ITALICA”.

Il nome CALABRIA; le origini, il mito, la storia…

Quando da Augusto il nome Italia fu trasferito a tutto il territorio della penisola, la nostra regione rimase col nome di “BRUTIUM” e, nella divisione amministrativa, con la Lucania formò la terza regione. Alla fine del sec. VII d.C., i Bizantini, perdendo il dominio della penisola salentina, trasferirono alla nostra regione, dove si erano ritirati, il nome di CALABRIA, che i Greci avevano attribuito al Salento, fin da quando li avevano fissato la loro prima dimora. All’inizio del sec. IX la Calabria bizantina comprendeva il territorio, che va da Reggio Calabria a Rossano, col nome di “DUCATO DI CALABRIA”, di cui capitale fu, prima, Reggio Calabria e poi Rossano; mentre il resto, quello settentrionale, dove è sita Cerchiara, faceva parte del Ducato di Benevento, appartenente al regno Longobardo d’Italia fin dalla fine del ‘500 estendendosi da Cosenza a Chieti. Col regno di Napoli la Calabria ha avuto i confini attuali da Reggio al Pollino. In conclusione il nome CALABRIA deriverebbe da “KALON-BRION – FACCIO SORGERE IL BENE”, per la fertilità del suo territorio, e può considerarsi sinonimo di “AUSONIA” dal verbo “AUXO-ABBONDO”. Difatti ancora oggi tutta la regione è caratterizzata da estesi oliveti, vigneti, agrumeti e frutteti con produzioni tipiche, quali il bergamotto, il cedro e vini di straordinaria qualità, apprezzato in tutto il mondo.

(Fonte: www.aschenazia.it)

Gli Enotri-Pelasgi

Gli Enotri furono tra le primissime popolazioni pelasgiche a giungere in Italia, all’inizio dell’Età del Ferro (XI secolo a.C.) dalla Grecia si stabilirono da una zona che si estendeva dalla Campania meridionale, grosso modo da Sala Consilina (SA), fino alla Calabria meridionale. Il termine “enotrio” sarebbe stato poi assorbito dalla lingua greca divenendo οἶνος (oinos), “vino”, in quanto la popolazione degli Enotri abitava, come accennato, in un territorio ricco di vigneti. “Enotri” si traduce approssimativamente con i coltivatori di vino. Gli Enotri erano guidati da un leggendario Re di nome Italo, figlio di Penelope e Telegono.

Gli Enotri (tribù guidata da Enotrio o popolo della terra della vite – Οἰνωτρία) furono guidati originariamente da Enotrio era uno dei cinquanta figli di Lione; Lione deriva da Lycaonia (regione della Turchia centro-meridionale). Da quì si trasferirono in Arcadia, nel Peloponneso, come membri di un ramo pelasgico. Successivamente mossero dalla Grecia verso le Calabria, attraversando la Grecia o direttamente dall’Albania tramite il rettilineo di Otranto; in entrambi i casi giunsero in Italia meridionale.
Un punto importante della tradizione antica relativa agli Enotri è che questi non venivano considerati autoctoni, ma immigrati in Italia dall’Arcadia (Dionisio di Alicarnasso), e che la loro origine veniva ricondotta – attraverso genealogie, secondo un procedimento comune all’antica storiografia all’eponimo dei Pelasgi, con i quali d’altra parte venivano connessi e talvolta identificati gli Arcadi. La designazione di Pelasgi era genericamente attribuita ai più antichi abitatori della Grecia, senza che fosse chiaro il carattere etnico, ellenico o panellenico. Erodoto, sosteneva che i Pelasgi fossero “barbari”; ma anche vedeva in loro gli antenati dei Ioni, e degli Ateniesi in specie, assimilatisi in lingua e cultura agli Elleni (Dori) venuti successivamente nel Peloponneso. In ogni caso, la storiografia antica come  ha osservato il Devoto, collega i Pelasgi con l’espansione greca verso l’Occidente: così come i mitografi collegavano con essa i viaggi degli Argonauti e di Eracle. E nella tradizione dell’origine arcadica e dell’affinità pelasgica degli Enotri sembra riflettersi un’oscura memoria di relazioni remote tra la Grecia e le regioni, ove più tardi si costituì la “Grande Grecia”.

I Brettii – Bruzii

Gli storici antichi (Strabone, Diodoro Siculo, Giustino) fanno riferimento alla comparsa in Calabria, intorno alla seconda metà del IV sec. a.C., del popolo italico dei Brettii (noti anche come Bruttii o Bruzi), che si andava espandendo nella terra degli Enotri ai danni delle colonie greche della costa. Pare che essi fossero dei servi-pastori dei Lucani da cui si separarono in seguito ad una ribellione e, dedicatisi dapprima al brigantaggio e alle scorrerie, successivamente si riunirono in una Confederazione che elesse come capitale (metròpolis) Cosenza (circa 356 a.C.). Nonostante vari tentativi di resistenza all’espansione romana in Italia meridionale, che li videro anche alleati dei Cartaginesi durante la seconda guerra punica (219-202 a.C.), non ebbero la capacità di opporsi alla conquista definitiva del Bruzio (fine del III sec. a.C.). Le fonti fanno una descrizione talmente negativa dei Brettii che persino la lingua è definita “oscura” come la loro rinomata pece. Essi, in realtà, erano bilingui, parlavano sia il greco che l’osco, una lingua del ceppo italico.

Gli insediamenti brettii erano posti in aree facilmente difendibili e ricche di risorse: città fortificate o villaggi a vista reciproca, posti in posizione dominante sulle vie di comunicazione che, indipendenti in tempo di pace, si riunivano sotto un comando comune per questioni di politica estera. Gli abitati avevano edifici pubblici imponenti (come il teatro di Castiglione di Paludi) e case costruite in ciottoli di fiume uniti a secco, con alzato in mattoni crudi e tetto in tegole. Di molti di questi stanziamenti sono ancora visibili i resti delle fortificazioni in blocchi parallelepipedi di arenaria che, poiché simili all’architettura militare greca, fanno supporre l’impiego di maestranze provenienti dalle colonie. La vicinanza alle montagne, ai corsi d’acqua e alle pianure connota la loro economia come agricola e pastorale: era basata, infatti, sull’allevamento, la pastorizia, la produzione di lana e latticini e, soprattutto, sulla produzione della famosa pece ricavata dalle foreste della Sila. La cultura materiale dei Brettii si distingue poco da quella dei popoli coevi, di cui importavano o imitavano manufatti, come i vasi fabbricati nelle colonie greche dell’Italia meridionale (vasi italioti) o le armi e gli ornamenti.

I primi coloni Greci

Visitare oggi le tracce del passato greco della Calabria significa incontrare aree archeologiche di suggestiva bellezza e musei con collezioni ricchissime. Ma questa terra è stata abitata e riedificata (anche a causa dei terremoti che periodicamente l’hanno devastata) per secoli, e spesso è difficile individuare le tracce dell’epoca più antica. Tra l’VIII e il V secolo a.C. il Mediterraneo fu teatro di una vera e propria ondata migratoria, che portò uomini dalla Grecia a cercare fortuna nelle terre dell’Italia meridionale. Per chi veniva da una terra aspra e incapace di nutrire una popolazione crescente, quelle coste dovettero sembrare una sorta di paradiso: avevano pianure solcate da fiumi, abbracci di colline a protezione dall’entroterra, porti naturali per ancorarvi le navi e provare a costruirsi un nuovo futuro. Non a caso, molte delle colonie che i Greci fondarono in quella che venne chiamata Magna Grecia divennero più grandi e potenti delle città madre in Grecia. Tra le regioni che videro la fondazione di centri importantissimi per il mondo greco c’è la Calabria: città come Rhegion (Reggio Calabria), Sybaris (Sibari), Kroton (Crotone) e Lokroi Epizephyroi (Locri Epizefiri) divennero così floride e potenti da fondare a loro volta altri insediamenti. Solo le invincibili legioni di Roma, attorno al 280 a.C., riuscirono a privarle della loro autonomia. Questo è particolarmente evidente a Reggio Calabria: le testimonianze greche si limitano a qualche resto della cinta muraria (IV sec. a.C.) e poco altro, ma in compenso la città ospita il Museo Nazionale della Magna Grecia. Tra le sue perle, i Bronzi di Riace, celeberrime statue in bronzo della metà del V secolo, il gruppo dei Dioscuri che scendono da cavallo, proveniente da Locri Epizefiri e la testa in marmo di Apollo, proveniente dal sito di Punta Alice (Cirò Marina), che richiama lo stile di Fidia. E ancora, il Kouros di Reggio, statua in marmo del VI sec. a.C. e, da Locri Epizefiri, la collezione di pinakes, bellissimi ex voto in terracotta, e le tavole bronzee provenienti dall’archivio del tempio di Zeus, che attestano prestiti ricevuti dalla città per la realizzazione di opere pubbliche.

Il viaggio tra le aree archeologiche non può che iniziare da Locri Epizefiri, uno dei pochissimi siti dove sono leggibili i resti dell’epoca greca. Gli scavi, a 3 km a sud della moderna Locri, comprendono oltre 300 ettari, racchiusi dal perimetro delle mura greche: vi si trovano santuari, un teatro, edifici per attività produttive, abitazioni. Parte dei reperti emersi dagli scavi è visibile nel Museo Archeologico Nazionale di Locri. Un’altra area suggestiva è quella di Monasterace, corrispondente all’antica Kaulon: sulla spiaggia restano i ruderi di un imponente tempio dorico, mentre ancora leggibili sono i resti delle mura, databili dal VII al III sec. a.C. Tra le abitazioni del centro urbano, celebre la Casa del Drago, scoperta nel 1960, dove è stato rinvenuto uno dei più bei mosaici della Magna Grecia, di epoca ellenistica. L’area archeologica di Capo Colonna, a 10 km da Crotone, comprende 30.000 metri quadrati di terreno e ospita un Museo Archeologico, costruito con criteri di risparmio ambientale. La rimanenza più importante è una colonna, che faceva parte del santuario dorico dedicato alla dea Hera Lacinia, risalente al V sec. a.C. I reperti provenienti dal tesoro del tempio, invece, tra cui lo splendido diadema, sono ospitati nel Museo archeologico nazionale di Crotone. Spostandosi sulla costa tirrenica, la città di Hipponion, ribattezzata poi dai Romani Vibo Valentia, è un esempio di subcolonia: fondata da Locri Epizefiri nel VII sec. a.C., ha fornito agli archeologi materiale interessante e talvolta rarissimo, come la laminetta in oro del VI sec. a.C., ripiegata più volte e incisa con una formula magico-religiosa, che faceva parte del corredo funebre di una donna. Grazie alla formula, la defunta avrebbe potuto attraversare gli Inferi indenne e arrivare ai Campi Elisi, assicurati ai seguaci della religiosità orfica, tipica della Magna Grecia. Infine, meritano almeno una menzione le due aree di Sibari e quella di Scolacium, a 10 km dall’attuale Squillace. Entrambe sono un esempio della stratificazione vissuta per secoli da questi centri, al punto che attualmente i resti visibili (teatri, abitazioni, terme, tabernae e edifici di culto) sono quasi completamente attribuibili all’epoca romana. Da visitare il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide, che ospita il bel bronzo Toro cozzante, del V sec. a.C.

Gli Ebrei

La leggenda narra che Reggio sarebbe stata fondata da Aschenez, nipote di Noé. Una leggenda senza alcun fondamento storico, ma che, ponendosi al confine tra realtà e fantasia, comunque può attestare una presenza di ebrei della nostra regione. A confermare questa presenza sono i resti della sinagoga, ricca di mosaici, rinvenuta alcuni anni fa presso Bova Marina e risalente al III/IV secolo d.C.: dopo quella di Roma, si tratta della più antica sinagoga occidentale. Anche a Cosenza doveva esserci, fin dall’antichità, un considerevole numero di Ebrei, che vi avevano il proprio quartiere, la Giudeca o Iudaica, la quale fu posta sotto la giurisdizione dell’arcivescovo nel 1903. A S. Severina esisteva il quartiere della “Iudea”, contiguo a quello antichissimo della “Grecia”. Ciò fa supporre che gli Ebrei vi fossero pervenuti fin dai tempi bizantini. Tuttavia una massiccia migrazione verso la Calabria si ebbe con l’avvento degli svevi nella regione, per il trattamento di favore accordato agli ebrei prima da Enrico IV e poi da Federico II, per incrementare le industrie della seta, della tintoria, del cotone, della canna da zucchero e della carta. E ciò non perché essi lavorassero in quelle industrie, ma perché ne intensificassero la produzione, contribuendo così al progresso dell’economia locale, attraverso il prestito di capitali. Essi praticavano tassi molto elevati e il sovrano Federico II, che pure aveva voluto che gli Ebrei si differenziassero dai Cristiani attraverso gli abiti indossati, ben si guardò di mitigare l’usura, giustificandola come una professione non contraria ai sacri canoni.

La Taxatio o Cedula subventionis del 1276 offre una documentazione attendibile che permette di stabilire che, in quell’epoca, comunità ebraiche erano presenti nella maggior parte delle località calabresi, grandi e piccole. Gli Ebrei, riuniti nel proprio Ghetto o Iudeca, si reggevano con ordinamenti propri, secondo le proprie tradizioni. Costituivano, dunque, una comunità a parte, regolata da leggi differenti da quelle osservate dai Cristiani, quali, per esempio, l’osservanza del sabato e la celebrazione della Pasqua. Per gli atti di culto avevano la loro sinagoga e per l’istruzione la propria scuola, che, spesso, coincideva con la sinagoga stessa. A Reggio la sinagoga era situata in una zona abitata da Cristiani e la promiscuità dava origine a non pochi inconvenienti. I Cristiani lamentavano le interferenze del rito ebraico durante lo svolgimento delle loro funzioni e, perciò, chiedevano che i Giudei distruggessero la sinagoga e ne costruissero un’altra nel proprio quartiere. Di fronte a questa situazione il governo angioino cercò di non scontentare né i Cristiani, né gli Ebrei. Fu dato ordine che, se le cose stavano come riferite dai cristiani, se, cioè, la sinagoga si trovava troppo vicino al loro quartiere, questa doveva essere demolita e gli Ebrei compensati in modo equo. Se, poi i Cristiani non ne volevano la distruzione, ma preferivano utilizzare l’edificio, esso poteva essere loro concesso ad un prezzo congruo. E, in ogni caso, agli Ebrei era consentito di costruire una nuova sinagoga nella loro zona. L’attività degli Ebrei si svolgeva soprattutto in campo economico e commerciale. A Reggio essi avevano nelle loro mani l’industria della seta e della tintoria. Gli Ebrei applicavano il metodo di tingere i tessuti con l’indaco e i prodotti pregiati venivano esposti e venduti non solo nelle principali fiere del Regno, ma anche nel resto d’Italia, in Francia, Spagna e nell’Africa mediterranea. Era proprio per l’impulso dato all’economia che gli Ebrei non erano solo tollerati, ma anche favoriti. La stessa benevolenza goduta a Reggio, fu ad essi assicurata anche a Catanzaro e nelle altre città della Calabria. Se il contributo all’incremento dell’industria e del commercio, soprattutto nel secolo XV, fu sensibile, essi non mancarono di distinguersi neanche in campo culturale. A Reggio fu impiantata una tipografia, la seconda nel Regno di Napoli, fin dal 1475, da Abraham ben Garton, che, in quell’anno, vi stampò il Pentateuco in ebraico, prima stampa di un libro in caratteri israelitici non solo in Italia, ma in tutto il mondo. E tre anni dopo un altro ebreo, Salomone di Manfredonia, impiantava una tipografia a Cosenza. Intanto, per ovviare alla piaga dell’usura, i maggiori responsabili della quale erano considerati proprio gli Ebrei, nacquero, nel secolo XV, i Monti di pietà, che si proponevano di prestare denaro ad un tasso molto esiguo o dietro consegna di un pegno. Di questa istituzione si fecero propagatori i Francescani, particolarmente il Beato Bernardino da Feltre. Ne furono fondati anche in Calabria, ma nel secolo XVI, quando ormai gli Ebrei non vi erano più. La convivenza tra gli Ebrei e i Cristiani, tuttavia, non fu sempre pacifica. Nel 1264 gli Ebrei di Castrovillari uccisero B. Pietro da S. Andrea, fondatore e propagatore del francescanesimo in Calabria. Altre volte furono i Cristiani ad infierire sugli Ebrei, accusati di pratiche malefiche, nefandezze ed altri misfatti. Così furono additati come colpevoli di avvelenare le acque delle fontane di Montalto e dei paesi vicini. Gli Angioini non furono teneri verso gli Ebrei, ma non si può neanche dire che furono dei persecutori; si adoperarono per la loro conversione alla fede cattolica, favorendo in ogni modo chi operava questa scelta. Nel Parlamento, tenuto a S. Martino della piana il 30 maggio 1283, si decretò che agli Ebrei non fossero imposti dei gravami oltre a quelli esistenti. Con l’editto del 1 maggio 1294 si concedevano particolari facilitazioni a chi di loro si fosse convertito alla fede cristiana. Viceversa il 4 aprile del 1307 veniva confermata la disposizione di Federico II, poi e riesumata da Carlo I d’Angiò, per cui essi dovevano differenziarsi dai cristiani nelle vesti. Dopo la pace di Caltabellotta (1302) alla città di Reggio furono concessi dagli Angioini diversi privilegi di cui usufruirono anche gli Ebrei che vi risiedevano. Tra gli altri vantaggi si ricorda la fiera franca del 15 agosto, che, accordata da Luigi e Giovanna d’Angiò nel 1375, faceva confluire nella città molti mercanti pisani, lucchesi e napoletani, per l’acquisto della seta e di altre mercanzie, di cui gli Ebrei avevano il monopolio. Nel 1417 l’Università di Catanzaro appoggiò la richiesta da essi rivolta al governo di essere dispensati dal portare il segno distintivo, l’esonero dal pagamento della “gabella della tintoria”, nonché l’assicurazione di non essere molestati né dagli ufficiali regi, né dagli inquisitori ecclesiastici. Poco dopo gli Ebrei ottenevano di formare una comunità unica con i Cristiani, senza alcuna discriminazione nei loro riguardi. Il re Alfonso il Magnanimo, negli anni 1444-1445, fece varie concessioni alle comunità ebraiche di Cirò, Crotone, Taverna ed altre città; nel 1447 concesse agli Ebrei di Tropea la parificazione tributaria ai Cristiani. Anche gli Ebrei di Castrovillari raggiunsero una pacifica convivenza con la popolazione locale. Quando essi lasciarono la città, nel 1512, fecero cessione della loro Scuola all’Università. A Montalto la sinagoga fu soppressa nel 1497 e le rendite furono destinate alla chiesa matrice, mentre la Scuola fu lasciata all’Università, che la trasformò nella Cappella della Madonna delle Grazie. La giurisdizione civile e criminale sugli Ebrei, dai Normanni e dagli Svevi, fu concessa ai vescovi. Nel 1093, la Giudaica di Cosenza fu sottoposta dal Duca Ruggero Borsa alla giurisdizione dell’arcivescovo, al quale gli Ebrei dovevano pagare le decime. Più tardi il re Guglielmo I trasferì alla Curia cosentina alcuni diritti sugli Ebrei, e Federico II, nel marzo 1212, concesse all’arcivescovo Luca non solo le decime ma, anche, la Scuola ebraica. Il papa Bonifacio IX, il 26 giugno 1403, dietro richiesta degli Ebrei di Calabria, esortò i vescovi a difenderli dalle vessazioni degli inquisitori. Ma la giurisdizione vescovile a poco a poco venne meno per le manomissioni dei baroni e delle Università, che la pretendevano. Il provvedimento non migliorò la situazione degli Ebrei, i quali furono angariati dagli ufficiali civili non meno che da quelli ecclesiastici. Di ciò gli Ebrei siciliani, trasferitisi a Reggio, si lamentarono con il re nel 1494; motivo per il quale il sovrano decise di restituire la giurisdizione della Giudeca all’arcivescovo. Ma a mettere la parola fine alle dispute relative alle competenze, intervenne la cacciata degli Ebrei dal Regno, nel 1510. E’ necessario notare, infatti, che alla tolleranza della Chiesa nei loro confronti, si oppose l’atteggiamento antitetico dei sovrani spagnoli. Essi, scacciando gli Ebrei da Regno, non solo commisero un atto di xenofobia, ma assestarono un colpo fatale all’economia dell’Italia meridionale, in generale, e della Calabria, in particolare.

Il periodo Bizantino:

Tra il X e l’XI secolo, la Calabria bizantina divenne la sede del misticismo ortodosso, con monaci provenienti da ogni lato dell’impero; venivano ad abitare queste terre scarsamente popolate, isolandosi nella natura, per essere più vicini nella contemplazione di Dio. In questo modo fiorirono in varie aree della regione: lauree, cenobi e monasteri basiliani; luoghi in cui vissero e studiarono un gran numero di personalità, che nei secoli successivi sarebbero stati venerati come santi dalla chiesa di Roma e di Costantinopoli, tra questi: San Fantino il Giovane, San Nicodemo, San Zaccaria del Mercurion, San Saba del Mercurion, San Luca di Demenna, San Leoluca da Corleone, San Macario Abate, San Nilo da Rossano, Sant’Elia Speleota, San Giovanni Therìstis e molte altre personalità. Questo, soprattutto nell’estremo lembo settentrionale della Calabria, denominato Mercurion, l’attuale area interna dell’Alto Tirreno Cosentino, che divenne un luogo talmente importante da essere definito la Nuova Tebaide.

Il periodo bizantino della Calabria, anche noto come seconda colonizzazione greca, è durato circa cinque secoli, dalla conquista giustinianea nella seconda metà del VI secolo all’occupazione da parte dei Normanni nella seconda metà dell’XI secolo. La Calabria è una regione dalla storia unica nel panorama italiano, infatti, dal 554 d.C. e per oltre 500 anni rappresenterà un pezzo di Oriente incastonato nell’Italia meridionale. Sotto il dominio bizantino la regione, che più di mille anni prima aveva fatto parte della Magna Grecia, subisce una seconda grecizzazione. Durante questo periodo la cultura greca ha lasciato profonde tracce che attraverso i secoli sono arrivate fino a noi.

 

I Normanni:

In Calabria (e ancor di più in Sicilia) i normanni hanno lasciato delle tracce profonde in diversi campi, tra i quali quello dell’architettura; anche se i terremoti hanno in gran parte distrutto il patrimonio monumentale riferibile a quel periodo. Queste tracce le troviamo in molti centri calabresi: Scalea, Laino borgo, Roseto, Malvito, Altomonte, Bisignano, Rossano, S. Marco Argentano, Luzzi (Sambucina), Montalto, Cosenza, S.Giovanni in Fiore, Corazzo, Taverna, Nicastro, Simeri, Catanzaro, Borgia, Squillace, Tropea, Nicotera, Serra S. Bruno (S. Stefano del bosco), Arena, Stilo, Bivongi, Bagnara, Gerace, Reggio Cal., Bova.

Ci sono significative tracce del loro passaggio a Mileto (VV) che fu scelta nel 1059 come capitale del regno dal Gran Conte Ruggero I, ed anche a Sant’Eufemia Vetere, nel territorio di Lamezia Terme. Qui in mezzo ad un agrumeto, si trovano i ruderi dell’abbazia benedettina di ” Santa Maria ” fondata nel 1062. Mentre a Mileto, su una collinetta dalle forme arrotondate, detta un tempo ” Monteverde “, é possibile osservare i ruderi dell’abbazia normanna della Trinità. Di quest’ultima, che in origine fu dipendente dall’abbazia lametina, si é interessato, fra gli altri, lo storico dell’arte prof. Giuseppe Occhiato. Questo autore ha individuato nell’Abbazia di “Santa Maria” a Sant’ Eufemia Vetere e in quella della Trinità di Mileto, poi seguite da quella di Gerace, le prime chiese che hanno importato nel nostro sud, lo stile nordico – benedettino delle costruzioni chiesastiche della Normandia. I modelli francesi di queste costruzioni sono costituiti dalle chiese di Cluny, Bernay, Saint ‘Evroul sur-Ouche, modelli che attraverso le due abbazie calabresi si diffusero anche nella vicina Sicilia, dove vennero costruite le cattedrali di Catania, Messina, Cefalù, Palermo. Da qui discende l’importanza delle abbazie lametina e miletina nel panorama dell’architettura del medioevo meridionale. I normanni, discendenti dei Vichinghi,furono abili costruttori oltre che conquistatori e nel sud Italia stipularono un accordo con il Papa per legittimare le proprie conquiste; in cambio si impegnarono a riportare sotto l’ influenza della chiesa di Roma tutti i territori conquistati, che erano di rito Bizantino. Perciò costruirono monasteri ed abbazie secondo modelli architettonici cluniacensi (da Cluny nel nord della Francia). A Mileto appartiene il primato di essere stata la prima sede episcopale latina di tutto il meridione, infatti Papa Gregorio VII, per compiacere il Gran Conte Ruggero che era molto affezionato alla città, nel 1081 vi istituì la diocesi. I primi artefici della conquista normanna furono i due fratelli Roberto il ” Guiscardo ” e Ruggero d’Altavilla, seguiti da Ruggero II. Essi erano particolarmente legati ai monaci benedettini francesi e fecero venire dalla normandia abati e monaci che, oltre a svolgere un ruolo religioso, fossero capaci di incidere profondamente anche sul piano sociale ed economico. Questi religiosi erano in un continuo rapporto di fiducia con i dominatori normanni ed erano considerati come ” baronizzati “. L’abbazia di Sant’Eufemia Vetere fu voluta da Roberto il Guiscardo nel 1062 come mausoleo per le anime dei suoi cari, mentre la Trinità di Mileto fu voluta (tra il 1063 ed il 1066) dal fratello Ruggero d’Altavilla, poi Conte di Calabria e di Sicilia, come tomba per sè e per la moglie Eremburga (il sarcofago di quest’ultima é oggi in mostra nel museo di Mileto). A costruire l’abbazia di Sant’Eufemia fu un monaco normanno, Robert de Grandmesnil. Si ritiene, infatti, che furono gli stessi religiosi benedettini a progettare le chiese in cui furono nominati abati o vescovi.

 

Gli Armeni

Popoli solo apparentemente lontani, che in un passato più o meno recente, comunque ricco e degno di una terra crocevia del Mediterraneo, hanno vissuto e lasciato tracce ancora oggi da riscoprire, studiare e interpretare nella nostra Calabria e oltre. E’ il caso degli Armeni, vittime della persecuzione ottomana durante la Prima guerra mondiale e del primo genocidio del Novecento. Durante la nuova ondata anti cristiana di siriani e turchi islamizzati, verso la fine dell’ottavo secolo d.C., gli Armeni approdarono anche sulla coste calabresi, in particolare sul litorale reggino, per rifugiarsi sulle alture. Pare che un gruppo si fosse raccolto in solitaria preghiera tra le montagne secondo le regole del monachesimo orientale diffusosi anche in Armenia grazie all’opera di San Basilio per sfuggire alle incursioni degli arabi provenienti dal mare. Qui coltivarono usi e tradizioni religiose e intrapresero attività agricole come la vinificazione, con la creazione di veri e propri Silos per custodire le derrate alimentari. Questo luogo è stato Brancaleone (anticamente denominato Sperlinga dal termine latino e greco significante caverna), di fondazione greca, culla dei Locresi prima del loro avanzamento, promontorio strategico unitamente a Reggio, Gerace e Bruzzano Zeffirio, dove oggi il rudere di un antico castello, denominato proprio Rocca Armenia, custodisce in una grotta segni di celebrazioni religiose tipiche della cultura del più antico popolo Cristiano. Brancaleone superiore con lo sviluppo della Marina, nella seconda metà del Novecento, fu abbandonato. Oggi conserva il fascino di un luogo antico, che custodisce anche i ruderi di una chiesa rupestre, probabilmente unica nel suo genere a queste latitudini e di cui ne esisterebbe una simile solo in Georgia.Gli Armeni sono arrivati in Calabria a partire già dal V° sec. d.C, sono stati commercianti, Stratioti, soldati o nobili condottieri. Nel IX secolo con l’avanzata araba su Reggio fu conquistata dagli Arabi capeggiati da Abû el’-Abbâs, che massacrarono gli abitanti e uccisero il vescovo- Nella vallata di Bruzzano, si stanziarono gli armeni e gli ebrei. Dei primi abbiamo le testimonianze nella toponomastica, Rocca degli Armeni a Bruzzano e nei manufatti religiosi: chiese grotte, di Brancaleone Superiore e a Bruzzano Vecchia. Bruzzano nel 925, fu distrutto dagli arabi, guidati da Abu Ahmad Gafar Ibn Ubayd.

Secondo la tradizione orale del territorio, dopo la distruzione di Bruzzano, gli abitanti superstiti si divisero ed alcuni si stanziarono sulla collina dove sorse Ferruzzano, altri sulla Rocca Armenia. Ma il toponimo “Rocca dell’Armenio” a quale insediamento si riferisce? Probabilmente a quello distrutto dagli arabi nell’862 quando il Wali di Sicilia, Ab-Allah Ibn Al-Abbas, occupò molte rocche bizantine in Sicilia e scatenò la sua furia guerriera in Calabria, distruggendo Qalat- Al Armanin (la Rocca degli Armeni), secondo quanto riferisce Al-Aktir, e che Michele Amari non sa dove collocare nella sua “Storia dei musulmani di Sicilia”. In seguito la comunità distrutta si ricompose, ma nel 925, come abbiamo accennato venne di nuovo massacrata. Proprio in questo periodo le dinastie berbere degli emiri di Sicilia, per via della scarsità della popolazione in Africa del Nord, andavano alla ricerca di mercenari nelle terre slave dell’Adriatico settentrionale tra gli schiavoni della Croazia o nella Dalmazia. Infatti nel 918 molti mercenari schiavoni al soldo degli arabi, sotto la guida di Masud devastarono Reggio e presero la Rocca di Sant’Agata forse nei pressi di Reggio stessa. In quel periodo la vallata di Bruzzano divenne area di acquartieramento delle truppe arabe e una comunità slava di croati, vi si stabilì, come ricorda il toponimo vicino, alla Rocca degli Armeni, “Schiavuni” o “Rocca Schiavuni”. Verso la fine del IX secolo e nel X, con il riaffermarsi della potenza bizantina in Italia, vediamo di nuovo con frequenza, sulla scena della vita politica della Penisola, battaglioni e capi armeni. Già nei primi decenni del IX secolo, si trova in Italia Arsace (Arthsak), ambasciatore di Niceforo I alla corte di Carlo Magno, il quale arrivò a Venezia per giudicare il doge Obelerio. Gli armeni combattevano in Italia, ai tempi di Basilio I, sotto il comando di Niceforo Foca il Vecchio, nonno dell’imperatore dallo stesso nome. Anzi, Niceforo il Vecchio impiantò una moltitudine di Armeni in Calabria, forse Pauliciani, come -numerosi erano gli Armeni in Italia anche sotto il comando del patrizio Cosma, nel 934. LA VALLE DEGLI ARMENI; oggi comprende i Comuni di Brancaleone, Staiti, Bruzzano Zeffirio, Ferruzzano, anche se la presenza armena in Calabria è presente in quasi tutte le provincie, riscontrata grazie alle ricerche condotte attraverso le attività della Comunità Armena Calabria che ha censito molti siti calabresi. La denominazione “Valle degli Armeni” è un termine coniato sulla base delle ricerche condotte su campo dal Prof. Sebastiano Stranges (Ricercatore e Archeologo onorario e Ispettore Onorario del Ministero per i beni e le Attività Culturali) collaboratore della Pro Loco di Brancaleone, nonché Socio Onorario, e dal Presidente della Pro Loco di Brancaleone Carmine Verduci che dal 2015 hanno trasformato questo territorio in una destinazione turistica che in breve tempo ha preso piede nel sistema turistico locale, Regionale, Nazionale ed Internazionale, con percorsi, itinerari turistici, eventi e convegni che riprendono questo aggettivo, identificando la porzione di territorio compresa tra Capo Bruzzano e Capo Spartivento fino ad ora sconosciuta, o meglio dire, identificata confusamente con vari e molteplici significati etimologici.

(Fonti: Sebastiano Stranges, Orlando Sculli, Carmine Verduci)

I Valdesi:

Si ritiene che verso il XIII secolo arrivarono in Calabria dal Piemonte piccoli gruppi di persone provenienti dalle valli a ridosso delle Alpi occidentali. Esse cercavano di sfuggire alla persecuzione alla quale erano soggette dato che praticavano una religione ritenuta eretica: erano di fede valdese. I valdesi che giunsero in Calabria furono ben accolti. Alcuni proprietari terrieri calabresi offrirono loro dei fondi scarsamente abitati da coltivare, in cambio di un canone annuo. Essi si insediarono nei paesi di Montalto, Argentina, San Sisto, Vaccarizzo e San Vincenzo. In seguito edificarono una loro propria città cinta da mura nella località di Guardia che venne conosciuta con il nome di Guardia dei Valdi, poi di Guardia Lombarda e infine come Guardia Piemontese. I valdesi erano apprezzati dai signori del posto. Erano pacifici e operosi agricoltori, pastori, allevatori di piccoli animali e tessitori. Vivevano la loro fede religiosa leggendo la Bibbia e pregando in occitano nell’interno delle loro case. Memori delle stragi avvenute decenni prima in Francia e Piemonte cercavano di dissimulare la loro religione. Aderivano almeno esteriormente ad alcune pratiche della Chiesa Cattolica, manifestando quello che in seguito Calvino definì il “nicodemismo”, termine derivato da Nicodemo, il fariseo che secondo i Vangeli di notte andava di nascosto ad ascoltare Gesù, mentre di giorno simulava una piena adesione alle tradizioni ebraiche. Le cose cambiarono radicalmente quando, nel 1532, le comunità valdesi del Nord decisero di aderire alla Riforma protestante. Alcuni predicatori provenienti da Ginevra incoraggiarono i valdesi di Calabria a praticare apertamente la loro religione. Essi costruirono una chiesa e cominciarono a parlare ad altri di quanto avevano appreso dalla lettura della Bibbia.

L’Inquisizione cattolica diretta da Michele Ghisleri (al secolo Antonio, divenuto poi papa San Pio V) si mise in moto inviando in Calabria i suoi rappresentanti per debellare la setta e costringere all’abiura gli eretici. Le disposizioni alle quali si dovevano sottoporre i valdesi erano durissime. Il Sant’Uffizio vietò loro di riunirsi in più di sei persone; non potevano parlare la loro lingua, l’occitano, ma utilizzare quella parlata localmente; dovevano ascoltare la messa ogni mattina; i bambini dai cinque anni in poi dovevano essere istruiti nella dottrina cattolica; furono obbligati alle pratiche della confessione e della comunione e all’ascolto delle prediche; era fatto divieto di intrattenere rapporti epistolari senza l’autorizzazione dell’Inquisizione; erano vietati i viaggi in Piemonte e a Ginevra e i loro eventuali figli là residenti erano tenuti a rientrare in Calabria, abiurando se eretici; fu imposto di non sposarsi tra di loro; dovettero demolire e non più ricostruire le case che avevano ospitato i predicatori; gli eretici pentiti dovevano indossare un abito giallo. Alcuni valdesi cercarono asilo a Ginevra e nelle valli piemontesi; altri si diedero alla macchia; la stragrande maggioranza rimase nei loro paesi non immaginando quanto sanguinaria potesse essere l’Inquisizione Romana. Non sortendo i risultati sperati il Sant’Uffizio intimò ai governatori locali di passare alle vie di fatto mettendo a morte chi praticava la religione eretica. Dopo una serie di distruzioni, razzie, violenze ed eccidi nei paesi vicini la repressione ebbe il suo culmine con l’occupazione mediante l’inganno di Guardia Piemontese il 5 giugno del 1561. La soldataglia cattolica si diede al massacro di uomini e donne, vecchi e bambini. Molti valdesi vennero squartati e appesi a decine ad alberi e pali lungo la strada che collega la Calabria alla Basilicata per servire da monito a quanti avessero osato mettere in discussione i dogmi della Chiesa Cattolica. Altri subirono un processo farsa e vennero messi al rogo in varie piazze del Meridione. Reminescenza di questa strage è piazza dei Valdesi a Cosenza. Le vittime furono migliaia. Chi scampò alla strage fu condannato a remare sulle galee; altri vennero venduti come schiavi; gli orfani inviati in istituti cattolici per esservi “rieducati”; i pochi rimasti nei paesi che un tempo avevano edificato e abitato liberamente furono costretti a una vita di umiliazioni e vessazioni da parte del clero cattolico. A Guardia Piemontese si insediarono prima i Gesuiti e poi i Domenicani che oltre a ripristinare tutte le summenzionate disposizioni dell’Inquisizione imposero ai sopravvissuti di praticare nella porta delle loro abitazioni uno sportellino apribile solo dall’esterno. In questo modo gli inquisitori potevano verificare in qualsiasi ora del giorno o della notte se coloro che avevano abiurato non praticassero di nascosto la loro fede eretica imperniata sulla lettura della Bibbia. Chi oggi percorre le stradine di Guardia può ancora vedere diverse porte delle vecchie abitazioni con questo caratteristico spioncino. La terribile repressione fece scomparire totalmente dalla Calabria la fede valdese. È rimasta memoria di quei pacifici credenti sterminati in nome di Dio nella lingua occitana parlata dai guardioli e negli abiti tradizionali delle donne del posto.

 

Gli Arbereshe;

Gli Arbëreshë sono una minoranza etnico-linguistica della Calabria originaria dell’Albania e della Grecia, arrivati in regione tra il XV ed il XVIII secolo per sfuggire all’invasione ottomana delle loro terre di origine. Gli Arbëreshë della Calabria rappresentano la popolazione più numerosa tra quelle stanziate in Italia, in molti casi mantengono ancora la lingua, gli usi e la religione dei loro antenati. Le popolazioni di etnia albanese originarie del sud dell’Albania e dal nord della Grecia iniziarono a muoversi verso l’allora Regno di Napoli dopo l’invasione delle loro terre natie ad opera dell’Impero Turco, subito dopo lo sgretolamento dell’Impero Bizantino. I primi profughi giunsero sul finire del XIV secolo, ma la prima vera migrazione di massa avvenne verso la metà del XV secolo.

I primi coloni si insediarono nei territori donati da Alfonso d’Aragona dislocati nell’attuale Provincia di Catanzaro, per l’aiuto prestato da Giorgio Castriota Scanderbeg e le sue milizie nel sopprimere la congiura dei baroni del 1448. La lingua parlata dagli Arbëreshë della Calabria è una varietà dell’antico tosco, un dialetto del sud dell’Albania detto Arbërisht, misto a vocaboli italici assimilati nei cinque secoli di permanenza in regione. Attualmente, si ritiene che solo il 45% dei vocaboli della lingua Arbëreshë sia di origine albanese. La lingua e l’accento Arbëreshë non sono presenti in tutti i centri italo-albanesi della Calabria, in quanto, essendo le comunità dislocate in modo non omogeneo in regione, spesso circondate da “comunità italiche”, hanno effettuato un percorso storico-integrativo diverso da un’area all’altra. Alcuni paesi, come Lungro, Acquaformosa, Civita e Frascineto, ancora parlano la lingua di origine; in altri centri, come Mongrassano, Cervicati, Cerzeto, Falconara Albanese, è quasi del tutto scomparsa.

(fonte: https://www.calabriaportal.com/popoli-della-calabria/4633-arbereshe.html)

 

I Greci di Calabria;

Capitolo a parte, ma nel contempo importante sono i “Grecanici” una delle tre minoranze linguistiche presenti in Calabria, discendenti dei primi coloni greci giunti in regione a partire dal VIII secolo a.C. L’area grecanica calabrese si estende da Capo Zefirio fino alle porte della città di Reggio Calabria, interessando il lembo più meridionale della regione. I primi insediamenti di popoli provenienti dalla Grecia si registrarono in Calabria già in epoca Micenea, ma fu solo con la massiccia migrazione iniziata nei primi anni dell’ VIII secolo a.C. che la presenza greca divenne imponente, soprattutto lungo le coste. In Calabria, i coloni greci svilupparono una civiltà che all’epoca non aveva eguali in tutto il mondo occidentale, tanto da essere denominata Megale Hellas, quella che conosciamo come Magna Grecia. La Calabria fu la principale regione in cui avvenne questo cambiamento, le più importanti città, fondatrici a loro volta di altre colonie nel resto d’Italia, erano quasi tutte situate lungo le attuali coste calabresi: Sybaris, Kroton, Locri Epizefiri, Rhegion, Kaulon, Medma, Hipponion etc.

La parabola greca iniziò a declinare quando le città iniziarono a scontrarsi tra di loro, indebolendo il loro sistema difensivo ed economico; ricevendo, infine, il colpo di grazia con l’arrivo in regione degli agguerriti Lucani e Brettii prima e, successivamente, dei Romani. Per uno “strano scherzo del destino”, i Romani, che con la loro supremazia militare e politica avevano quasi cancellato il mondo greco dall’Italia, furono gli stessi che a partire dal VI secolo d.C. riportarono l’ellenizzazione. Questa volta i Romani vennero da oriente, quelli che conosciamo come Bizantini e, a partire dal 535, con lo sbarco di Belisario in Sicilia, iniziarono una lunga guerra contro gli Ostrogoti, terminata nel 553 con la sconfitta dei germani. Il loro dominio in Italia, soprattutto in Calabria, durò fino al 1059, quando i Normanni, con la conquista di Reggio, li cacciarono per sempre dall’Italia. Il nuovo dominio greco in Calabria, anche se a fasi alterne e in continua lotta con Arabi e Longobardi, durò 506 anni. Furono proprio loro, i Bizantini, a partire dal VII secolo a sostituire l’antico nome Bruttium (leggi Bruzium), dato dai romani, con Calabria, traslandolo dal Salento. Nonostante il mondo greco in Italia terminò nel 1059, la lingua e molti tratti della cultura è arrivata fino ai giorni nostri. Il rito ortodosso, a Bova (RC), fu soppresso solo nel XVI secolo; questo, grazie all’impervio territorio reggino che ha protetto i grecofoni nei secoli, rifugiatisi sulle alture dell’Aspromonte per sfuggire alle scorrerie saracene, prima, e turche, poi.

 

RINGRAZIAMENTI:

Un ringraziamento alle fonti, che ci hanno permesso una ricostruzione sintetica, ma nel contempo approfondita, della storia della Calabria dei suoi popoli e delle sue genti.

Il progetto è stato realizzato con il supporto dei Volontari del Servizio Civile Universale della Pro Loco di Brancaleone.

Ogni immagine presente in questo articolo è a titolo illustrativo, si ringraziano gli autori delle immagini.

Borghi della Calabria; tra Tradizioni e Cultura Vinicola

FARE IL VINO, OPERAZIONI E PRATICHE DI CANTINA

La viticoltura in Calabria, iniziò al primo millennio a.C.. La penisola calabrese una volta era abitata dai Bruzi, popolazioni di stirpe indoeuropea che penetrarono in diverse ondate in Italia. I Greci a partire dal 750 a.C., colonizzarono le coste della Calabria, che chiamavano “Enotria” (Terra del Vino). Con le colonie Greche si andarono a creare due tipi di viticoltura, una di origine Italica, all’interno, e l’altra di origine Greca, lungo le coste, con centri di commercio a Crotone, Locri e Sibari.

Con l’arrivo dei Romani, si andavano a sostituire i vini greci. Alla fine dell’800, la fillossera portò alla completa distruzione dei vigneti della Calabria. Per molti anni la Calabria ha offerto vini da taglio sia ai produttori italiani che esteri.

La Calabria è, infatti, portavoce di un’antica tradizione vitivinicola locale

Nonostante poco meno del 10% del territorio regionale sia pianeggiante e gli ettari vitati ammontino a meno di 20.000, la regione Calabria è capace di distinguersi ed affermare la sua posizione nel ricco quadro vinicolo italiano grazie agli alberelli di uve autoctone come il Gaglioppo e il Magliocco ed il duro lavoro di piccoli artigiani vignaioli che credono costantemente nell’ enorme potenziale di questa terra baciata dal sole.

La Pigiatura

La pigiatura è la prima operazione meccanica a cui viene sottoposta l’uva dopo la vendemmia, ed ha la funzione di estrarre il succo e la polpa dagli acini, dando vita al mosto che dovrà poi essere trasformato in vino. E’ un’operazione particolarmente delicata che va eseguita con attenzione. E’ fondamentale che le uve non abbiano subito una pigiatura per schiacciamento durante il trasporto, cosa che potrebbe innescare fermentazioni indesiderate. La pigiatura viene condotta su uve intere utilizzando delle macchine chiamate pigiatrici.

La pigiatrice più utilizzata è quella a rulli, costituita da un telaio sul cui fondo sono poste una o due coppie di rulli di pressatura in gomma alimentare la cui rotazione schiaccia delicatamente gli acini. A seguire viene condotta la separazione dei raspi dal pigiato, ossia la diraspatura. Questa operazione può venir condotta direttamente sulla massa immediatamente prima della pigiatura utilizzando delle macchine particolari dette pigiadiraspatrici.

 

I Palmenti Rupestri

I palmenti rupestri sono gli antichi impianti di produzione vinicola. Essi sono ricavati su rocce di arenaria, spesso isolate, nelle quali erano solitamente scavate due vasche comunicanti tra loro da un foro.

I palmenti erano destinati alla pigiatura delle uve ed alla fermentazione dei mosti.
Il mosto ottenuto viene trasferito in fermentatori di legno, dove i lieviti aggiunti attiveranno la fermentazione del mosto a contatto con le vinacce (bucce e vinaccioli).

 

La Macerazione

La fase che contraddistingue la vinificazione in rosso da quella in bianco è  la macerazione. Nel mondo enologico il termine “macerare” indica il contatto della parte solida, quindi le vinacce, con la parte liquida, il mosto. Fondamentale per il prodotto finale che si vorrà ottenere è il tempo di macerazione: nei primi giorni del processo si estraggono soprattutto gli antociani, che conferiscono colori molto intensi in poco tempo. Nei giorni a seguire, parte dei pigmenti vengono riassorbiti dalle bucce andando a indebolire l’intensità del colore, ma conferendo più struttura e gusto al vino grazie ad una maggior estrazione di tannini e altri composti polifenolici. La quantità di colore e di sostanze estratte dipende sempre e comunque anche dal vitigno. Alcune varietà “cedono” più antociani di altre, etc. Durante la fermentazione le vinacce vengono spinte in alto dall’anidride carbonica e formano uno strato chiamato cappello, il quale limita il contatto con la parte liquida. Per rompere il cappello e rimescolare le bucce con tutto il mosto si ricorre dunque a diverse tecniche.
Una di esse è la follatura, un tempo era realizzata a mano con un bastone con cui si spingevano in basso le bucce dentro il mosto.

La Torchiatura

Una volta fermentata l’uva si procede con la fase della Torchiatura. La torchiatura può essere fatta con un torchio meccanico o idraulico. Vengono sistemate nel torchio le vinacce bagnate e vengono pressate, in questo modo avviene la separazione delle bucce dal succo d’uva. Le bucce pressate possono essere impiegate per fare ottimi distillati oppure per concimare in modo naturale il terreno.

Dopo la torchiatura, si ripone il succo d’uva nelle botti di legno o nei contenitori di acciaio inossidabile a seconda della destinazione finale del nostro vino.

 

 

A cura dei Volontari del Servizio Civile Universale- Pro Loco di Brancaleone APS

Progetto grafico a cura di Leonardo Condemi
Materiale fotografico a cura di Domenico Rodà

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